a cura della redazione
Nel momento in cui scriviamo questo editoriale il referendum contro la revisione della previdenza vecchiaia 2020 (PV2020) sembra riuscito: alcune forze sindacali (alcune sezioni VPOD e UNIA) e politiche (SolidaritéS e MPS) hanno contribuito a raccogliere le 50’000 firme necessarie affinché il prossimo 24 settembre non vi fosse solo un referendum “obbligatorio”, reso necessario dal decreto che accompagna la riforma relativa all’aumento dell’IVA dello 0,6% nei prossimi anni.
Vi sarà quindi un referendum che contesta la riforma PV2020 e che lo fa da sinistra, con argomentazioni che spiegano come quello approvata dalle Camere federali non sia il male minore; ma un vero e proprio atto di regressione sociale che apre la via al peggio di quanto, in un futuro non troppo lontano, si possa immaginare.
Queste settimane di raccolta firme hanno permesso di fatto di iniziare la campagna (ed era una delle ragioni per le quali il referendum – seppur non necessario al fine di un voto che ci sarebbe comunque stato – si è rivelato prezioso). In particolare abbiamo potuto sondare quali sono i temi e gli argomenti sui quali la popolazione appare più sensibile.
Tra queste l’aumento dell’età di pensionamento è sicuramente al centro delle preoccupazioni. E non solo, va da sé, da parte delle donne che sono direttamente chiamate in causa; ma, abbiamo potuto constatare, come anche gli uomini capiscano come questo ulteriore peggioramento per le donne rischia, se accolto, di rilanciare l’offensiva (già in atto da tempo) di chi vuole tenerci al lavoro ancora più a lungo, prima tappa l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni per tutti.
Ma anche la diminuzione delle rendite del secondo pilastro hanno attirato l’attenzione. Malgrado le difficoltà per comprendere un meccanismo pensionistico (che sembra costruito in modo complesso proprio affinché la gente normale debba rivolgersi agli “specialisti”), anche solo intuitivamente, guardando il proprio certificato assicurativo, molti si rendono conto della sproporzione sempre maggiore tra i contributi prelevati dal secondo pilastro e la tutt’altro che certa garanzia di validi rendimenti pensionistici . In altre parole sempre più si comprende che questo risparmio forzato rappresentato dal secondo pilastro serve gli interessi di chi questi capitali potrà utilizzarli (banche, compagnie assicurative, aziende stesse). Pagare di più e ricevere sempre meno (senza sapere quanto e come si riceverà): è questa una sintesi perfetta di quanto in materia di secondo pilastro ci propone la riforma PV2020.
Proprio in questi giorni i dipendenti del Cantone hanno ricevuto la comunicazione da parte della loro Cassa pensione che le rendite in futuro diminuiranno a seguito della diminuzione del tasso di conversione; proprio quel tasso di conversione il cui minimo ufficiale (per la parte obbligatoria) dovrebbe passare dal 6,8% al 6%. Tasso complessivamente già sceso attorno al 5% nei rendimenti reali. Uno dei tanti ulteriori indizi di quali prospettive incoraggia e prepara la revisione auspicata da PV2020.
Infine non possiamo non notare con un filo di tristezza il disperato tentativo di chi sostiene la riforma di presentarlo come uno “scontro” tra destra e sinistra, nel quali il “compromesso” rappresentato da PV2020 costituirebbe un successo per la “sinistra”. Tentativo patetico e penoso e che illustra bene quanto la “sinistra” abbia dimenticato le proprie rivendicazioni, contrariamente alla destra che per le proprie prospettive si batte anche quando ha solo segnato un primo passo, ritenuto comunque insoddisfacente. La destra padronale (o almeno una parte di essa) fa campagna contro PV2020 non perché sia un compromesso “progressista”, ma perché non rappresenta un progetto regressivo sufficiente a preparare le riforme di fondo che essa prospetta per tutto il sistema pensionistico. Pensare che lo faccia perché impaurita dal contenuto “progressista” di PV2020 significa chiudere gli occhi sulla realtà dei rapporti politici e sociali in questo paese.