Intervista a Jean-François Marquis* a cura di Guy Zurkinden
Un importante numero di lavoratori sembra perdere il controllo sul proprio lavoro…
La ricerca mette effettivamente in evidenza due tendenze che dovrebbero interpellare le organizzazioni sindacali. In primo luogo, la parte dei salariati che dispone di una certa autonomia nel proprio lavoro e che vi trova una dimensione stimolante è orientata al ribasso. È, ad esempio, il caso della possibilità di modificare i metodi di lavoro (diminuzione dall’80% al 72% tra il 2005 e il 2015) o il fatto di imparare cose nuove (diminuzione dall’86% al 70%).
L’autonomia è una dimensione essenziale per affrontare le esigenze del lavoro ed evitare, o ridurre, il loro impatto negativo sulla salute. In secondo luogo, il controllo sui propri orari diminuisce. Nel 2005, il 45% dei salariati aveva orari fissati dalle aziende, senza possibilità di cambiamento. Nel 2015, questa quota è passata al 58%.
Al contempo, una parte crescente di salariati e salariate è confrontata a esigenze di flessibilità che provengono dai datori di lavoro. Ad esempio, nel 2005, il 25% dei salariati doveva cambiare regolarmente i propri orari con qualche giorno di anticipo, addirittura la vigilia o il giorno stesso. Questa quota è passata al 38% nel 2015. Sempre nel 2015, il 14% dei salariati e salariate doveva più volte al mese, o più spesso, recarsi al lavoro con un termine molto breve.
Esiste un bisogno di flessibilità presso i salariati: pensiamo, ad esempio, ai problemi per una coppia con bambini, che deve gestire le limitazioni degli orari di lavoro di entrambi, di tempi di trasporto sempre più lunghi fino al lavoro, della cura dei bambini e della gestione delle loro attività. L’inchiesta della Seco tende tuttavia a mostrare che un’importante parte dei salariati subisce un’altra flessibilità: quella imposta dai datori di lavoro per rispondere alle proprie esigenze.
Il lavoro diventa anche sempre più faticoso…
I risultati pubblicati dalla SECO mostrano un aumento della parte di salariati esposti a rischi fisici. Per esempio, il 45% dei salariati dovevano, nel 2015, assumere posizioni dolorose o faticose per almeno un quarto del proprio tempo di lavoro, contro il 33% di dieci anni prima. L’inchiesta svizzera sulla salute aveva già messo in evidenza la stessa tendenza tra il 2007 e il 2012.
Il lavoro in numerosi settori dei servizi in crescita comprende un’importante dimensione fisica. Basti pensare agli ausiliari di cura o alle infermiere che devono spostare malati nel loro letto o aiutare persone anziane. O a tutte quelle e tutti quelli che lavorano nei centri di logistica o nei trasporti. Evidentemente i rischi fisici fanno parte delle condizioni di lavoro più fortemente collegate a uno stato di salute degradato e al logorio.
L’indagine mostra che una proporzione importante di salariati e salariate presenta problemi di salute. Si tratta di un effetto delle condizioni di lavoro sempre più dure?
Lo studio della Seco non cerca di misurare direttamente il collegamento tra il fatto di essere esposti a rischi sul proprio lavoro e lo stato di salute. Io, invece, lo avevo fatto analizzando i dati dell’inchiesta svizzera sulla salute. Si constata effettivamente che i salariati esposti a un cumulo di rischi fisici o psicosociali hanno una probabilità maggiore di essere meno in salute rispetto a quelli che non sono esposti a questi rischi… Siccome si tratta di ricerche trasversali -una fotografia in un preciso momento- questi risultati non sono sufficienti per stabilire un legame di causalità. Tuttavia, convergono con la letteratura scientifica, la quale ha ben documentato questi legami di causalità.
Il 13% dei salariati pensa che potrebbe perdere il proprio posto di lavoro entro sei mesi, più di un terzo pensa che gli sarebbe difficile, in questo caso, ritrovare le stesse condizioni salariali. Questa insicurezza ha un effetto sulla salute?
Sì, l’insicurezza del lavoro è molto chiaramente associata a un rischio accresciuto di essere in cattiva salute. Secondo i dati pubblicati dall’Ufficio federale della statistica, le persone che dichiarano di avere uno stato di salute non buono sono il doppio tra quelle che temono di perdere il loro lavoro, rispetto a coloro i quali non hanno paura di perdere il proprio lavoro.
* Jean-François Marquis, è membro della VPOD e autore del libro Conditions de travail, chômage et santé. La situation en Suisse à la lumière de l’Enquête suisse sur la santé 2007 (Editions Page 2, Losanna, 2010).