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di Matteo Pronzini*

Finirà tutto a tarallucci e vino, un’altra volta. Dopo aver letto i numerosi articoli e i verbali pubblicati dalla stampa risulta chiaro che più che una sottocommissione di vigilanza sugli scandali Argo 1 e dei permessi falsi, quella che avrebbe dovuto indagare sulle responsabilità e le lacune è diventata una sottocomissione scaricabarile. I rappresentanti dei partiti si sono ingegnati a sminuire le responsabilità del proprio Dipartimento o alleato e a distribuirle equamente a tutti in base al ben noto principio del mal comune, mezzo gaudio.

Alla fine si parlerà di casi isolati, si modificheranno un pochino le procedure e morta lì.

La verità è che manca la volontà di fare chiarezza e affrontare certi problemi alla radice. Il peggio è che entrambi gli scandali non sarebbero venuti alla luce senza un elemento esterno: per il caso Argo 1 è stata l’inchiesta su un presunto reclutatore dell’ISIS e la denuncia per violazioni delle condizioni di lavoro per i dipendenti; nel caso dei permessi falsi è stata la scoperta di documenti contraffatti in Kosovo a quanto pare a far partire l’inchiesta. Questo dimostrerebbe che all’interno delle nostre istituzioni non ci sono gli anticorpi per contrastare certi malandazzi, ma nessuno sembra preoccuparsene.
Prendiamo il caso Argo 1, ad esempio. Un mandato diretto affidato a una ditta costituita da poco, che non aveva esperienza nel settore, non disponeva di dipendenti per garantire lo svolgimento del lavoro come concordato e ha dovuto assumere interinali dal secondo giorno. Niente a che vedere con i criteri che sono stati pubblicati nel bando di concorso, apparso poco tempo fa sui giornali per svolgere questo compito. Le referenze di cui aveva parlato il consigliere di Stato Beltraminelli pare in realtà che si limitino a un precedente impiego del responsabile operativo della Argo 1 in un’altra ditta di sicurezza attiva nel settore dell’asilo, la «proposta strutturata che comprende anche l’accompagnamento sociale» presentata dalla ditta si è rivelata essere un semplice opuscolo pubblicitario e, se le accuse mosse a due dei dipendenti della Argo 1 fossero confermate, il millantato «accompagnamento sociale» si tradurrebbe nel «lasciare i richiedenti l’asilo in balia di un reclutatore dell’ISIS e di un manesco che maltratta minorenni». Dopo sei mesi di inchiesta della sottocommissione, di questi dettagli non si parla più e il problema sembra essere quali frasi includere o meno nel rapporto. Eppure quell’agenzia di sicurezza qualcuno l’ha scelta ed è chiaro che le ragioni invocate finora non reggono alla prova dei fatti; nessuno però sembra voler scoperchiare il vaso di Pandora dell’attribuzione dei mandati, anzi. E non sarà una commissione d’inchiesta parlamentare a cambiare le cose, basta vedere cosa è successo con la Logistica: mesi di lavori per sentirsi dire che «non è stata trovata la pistola fumante» e per elaborare raccomandazioni mai applicate.
Lo scandalo dei permessi facili è stato archiviato ancora più velocemente: caso isolato di corruzione che non potrà ripetersi in futuro visto che sono cambiate le procedure. L’audit svolto dal Governo riguardava infatti le procedure future, ma nessuno ha esaminato se ci sono lacune nel sistema del rilascio dei permessi e se bisogna cambiare radicalmente approccio. Sembra che la storia si ripeta: quando è stato rivelato che l’80% delle prostitute con permesso B in Svizzera ha ottenuto i documenti in Ticino si è cambiata la procedura, ma nessuno si è interrogato a fondo sul perché di questa anomalia. Stessa cosa per l’alta percentuale di ricchi stranieri di Paesi terzi: nessuno si è preso la briga di controllare se veramente risiedono sul territorio o se una volta ottenuto il permesso se ne vanno altrove in Svizzera.
Ora il caso del permesso B a Gennaro Pulice solleva un problema ben più grave, quello della facilità con cui la criminalità organizzata si infiltra nell’economia locale. Sembrerebbe – il condizionale è d’obbligo visto che nessuno ha confermato – che l’ex killer della ‘ndrangheta abbia ottenuto il permesso grazie a un intermediario e sei mesi prima che il suo nome fosse iscritto nel Registro di commercio. Al di là delle accuse di corruzione lanciate dal collaboratore di giustizia, qualcuno si è chiesto se effettivamente ci sono intermediari che si occupano di far ottenere i permessi a ricchi stranieri e se è possibile ottenere un permesso di dimora sei mesi prima dell’iscrizione al Registro di commercio? Visto che le organizzazioni criminali si infiltrano nel tessuto economico, la reazione più logica sarebbe effettuare controlli più approfonditi su chi richiede il permesso di dimora per aprire una società da noi. Perché non dimentichiamoci che Pulice, oltre ad ottenere il permesso B, ha potuto anche operare indisturbato in diverse società.
E invece niente, se non la rassicurazione del consigliere di Stato Norman Gobbi che casi come quelli di Pulice non possono ripetersi perché ora i funzionari dell’Ufficio migrazione cercano i nominativi su Google (ci sono tecniche per cancellarli) e richiedono il certificato penale (che riporta solo le condanne passate in giudicato, e neanche tutte). Eppure meno di due mesi fa abbiamo scoperto grazie alla stampa estera che a Bissone vive la figlia di un boss della ‘ndrangheta e amministratrice unica di una società con sede a Grono. Staremo a vedere se anche questo sarà uno dei tanti casi isolati che si moltiplicano in Ticino.

*Opinione pubblicata sul Corriere del Ticino del 3.8.2017.