di Gippò Mukendi Ngandu
E’ oramai guerra vera e proprio contro i migranti. Il Codice di salvataggio imposto nei fatti alle Ong e l’approvazione alla Camera della missione navale e militare in Libia costituiscono un vero e proprio dispositivo di guerra, al contempo militare e poliziesco, volto a bloccare nuovi sbarchi sulle coste italiane.
La missione navale in acque libiche sarebbe, secondo il governo Gentiloni, una risposta dovuta alla pressante richiesta di aiuto al governo italiano da parte di Al Serraj, Primo ministro del governo di accordo nazionale della Libia, per un “sostegno tecnico con unità navali italiane nel comune contrasto al traffico di esseri umani da svolgersi in acque libiche” come ha riferito la ministro degli esteri Pinotti alle Commissioni esteri riunite di Camera e Senato. In realtà, ciò che dice il senatore del Pd Esposito, noto per il suo accanimento contro il movimento No Tav, corrisponde alla verità:”Per alcune ong il tema è solo salvare vite umane: noi non possiamo permettercelo” e per queste ragioni il governo italiano da il via ad un nuovo atto di guerra.
L’attività svolta di salvataggio nei confronti di donne, uomini e bambini che cercano disperatamente di attraversare il Mediterraneo deve essere imbrigliata. Per questo il governo vuole imporre la presenza a bordo delle navi della polizia giudiziaria con le armi in dotazione, il divieto di trasferire persone da una nave all’altra, senza tenere conto della stabilità di una nave nel caso di gravi emergenze, e soprattutto la collaborazione con le autorità libiche con l’obiettivo di riportare i salvati sulle coste del paese nord africano, posto assolutamente non “sicuro dove riportare le persone in fuga, né dal territorio europeo né dal mare”, come ha giustamente scritto Medici Senza Frontiere, tra le ong che non hanno aderito al Codice, al ministro degli Interni Minniti, ben conscia che le attività di ricerca e soccorso non costituiscono la soluzione per affrontare i problemi causati dai viaggi sui barconi e le morti in mare, ma sono necessarie in assenza di alternative perché le persone possano trovare sicurezza.
Eppure l’alternativa ci sarebbe, come già scrisse due anni fa Antonio Moscato dopo una delle più gravi stragi del Mediterraneo del XXI secolo, il naufragio del Canale di Sicilia del 18 aprile 2015, quando persero la vita 900 persone, per cui il problema degli scafisti sparirebbe in pochi giorni se si consentisse a chi fugge dal proprio paese l’uso di normali traghetti, al prezzo normale di poche decine di euro. L’idea fu ripresa e rilanciata dal Presidente della regione Puglia Emiliano, oggi rientrato a più miti consigli.
Le misure adottate sono state ben altre, tese ad una crescente militarizzazione del Mediterraneo, non di certo a salvaguardia delle persone che cercano di raggiungere le nostre coste. Nel corso degli ultimi anni questo ruolo è stato in molti casi svolto proprio dalle Ong. Ora siamo, infatti, al paradosso che che nel 2017 gli sbarchi sono accresciuti solo del 1% e nel mese di luglio addirittura dimezzati – secondo i dati del Viminale nel mese scorso, infatti, sono 11.183 i migranti approdati in Italia via mare rispetto ai 23.552 dello stesso mese del 2016 (-52,5%) – mentre le vittime accertate nel Mediterraneo, secondo i dati dell’Oim (Organizzazione Internazionale delle migrazioni) dall’inizio del 2017 al 21 giugno scorso, sarebbero un totale di 2.108, 2011 dei quali deceduti sulla rotta tra il Nord Africa e l’Italia. Di questo ritmo è molto probabile che si raggiungano o si superino le oltre 4000 vittime dell’anno scorso.
Siamo di fronte ad un vero e proprio omicidio di massa senza che i reali colpevoli siano messi sul banco degli imputati, ossia i diversi governi italiani ed europei che anno dopo anno aggiungono nuovi tasselli alla legislazione che ha portato alla costruzione dell'”Europa fortezza”. A tal proposito non brilla nemmeno il governo Tsipras, il cui ruolo è stato determinante nell’accordo razzista concluso tra l’Unione Europa, la Turchia e la Grecia, che ha attribuito alla Turchia la responsabilità di occuparsi della maggioranza dei rifugiati all’interno delle proprie frontiere e ha posto la Nato come garante attraverso la sua flotta.
Il caso dell’accusa alla nave Juventa della Ong Jurgen Rettet è emblematico. Siamo di fronte ad una azione di rappresaglia contro ad una Ong la cui unica colpa è stata quella di non aver sottoscritto il Codice. L’accusa è quella di aver salvato vite umane senza sequestrare i barconi con cui viaggiavano, come se una Ong avesse compiti di polizia e di voler portare i richiedenti asilo in territorio italiano, quindi di non aver ottemperato all’obbligo di respingimento, ossia di non aver consegnato i salvati nelle mani di quegli aguzzini che li avrebbero sommersi, messi in un campo di concentramento o nei migliori dei casi in una galera, sottoposti a soprusi, violenze e torture.
In questo caso è intervenuta la magistratura che in questa vicenda non è stata affatto neutrale, ma che ha contribuito ad innescare gli attacchi rivolti alle Ong, sintonizzandosi con la deriva securitaria e autoritaria impressa dal governo Gentiloni – Minniti. Ricordiamo come si è arrivati a questo esito? Le accuse di connivenza con gli scafisti rivolte alle Ong non sono infatti partite dall’estrema destra, dalla Lega Nord e da alcuni principali esponenti del M5s che poi le hanno cavalcate bensì da Frontex, ossia l’agenzia europea della guardia di frontiera che già nel dicembre del 2016 aveva sollevato alcuni dubbi sull’operato delle organizzazioni non governative che partecipano all’attività di soccorso nel mare Mediterraneo. Si accese, così, una polemica sulle presunte relazioni tra le stesse Ong e le strutture criminali che gestiscono il traffico di migranti; e sui finanziamenti che alcune di quelle Ong riceverebbero da sostenitori sospetti perché interessati a «destabilizzare il quadro economico del nostro Paese». É chiaro che le Ong ponevano in seria discussione il reale obiettivo per cui Frontex è nata, ossia il respingimento dei migranti.
Il capo della Procura di Catania, Carmelo Zuccaro, espresse di seguito un sospetto sull’attività delle Ong, e in seguito la Commissione Difesa del Senato decise, di avviare un’indagine conoscitiva, che poi si è conclusa con un documento che riconosce come infondate tutte le accuse alle Ong, sulla base anche delle testimonianze dei più alti gradi della Marina militare, della Guardia costiera e della Guardia di finanza. Lo stesso Zuccaro ritornò sulle proprie idee ritenendo di non disporre di «alcun fondamento probatorio» per suffragare le proprie ipotesi accusatorie. Nel frattempo fu proprio il M5s a cogliere l’occasione per imbastire una vera e propria campagna contro le Ong, secondo l’Onorevole di Maio “taxi del Mediterraneo” e a sostegno dei respingimenti. Nelle stesse conclusioni della Commissione Difesa venne fuori l’insistenza sulla necessità di un «coordinamento permanente» per razionalizzare «l’attività disordinata» in quel tratto di mare proprio alla presenza delle Ong, concludendo sulla necessità di «una contestuale riduzione delle relative imbarcazioni nell’area», come riferisce puntualmente Luigi Manconi sul Manifesto del 1°agosto (Ong nel mirino).
Evidentemente c’è stata sin dall’inizio la ferrea volontà di coinvolgere tutti gli apparati dello Stato nella sporca guerra ai migranti, una guerra che non ammette dissensi nei “sacro santi interessi della Patria”, anche per approdare un largo consenso nel predisporre misure eccezionali. E’ sempre più evidente che il governo punta a rispondere all’estrema destra viene giocata sul suo terreno, attraverso la strumentalizzazione delle paure per militarizzare il territorio, inasprire il diritto penale, instaurare un clima sempre più poliziesco, far accettare misure liberticide. Le misure di eccezione diventano la norma. La barbarie è di casa e si sta progressivamente approdando alla negazione dell’umanità di interi gruppi sociali, come i migranti e alla criminalizzazione di chi li sostiene e li appoggia a meno che non abiuri la propria identità ponendosi così al servizio di chi detiene il potere.
Il richiamo, d’altro canto, all’unità nazionale si è rivelato proprio nel voto a sostegno della missione navale in acque libiche. Alla Camera, infatti, hanno votato a favore anche gran parte dei parlamentari di Mdp, per “responsabilità nazionale”. Al senato Mdp ha votato come un sol uomo a favore. Del resto cosa ci si sarebbe dovuto aspettare da coloro che sono stati in prima linea in una serie di interventi cosiddetti “umanitari”. Hanno espresso voto contrario Lega e M5s unicamente perché la missione non garantirebbe i respingimenti. Cosa aspettarsi da un movimento che chiaramente punta a sostituire la vecchia classe dirigente per una nuova in nome della difesa degli stessi interessi nazionali che le vecchie classi dirigenti hanno difeso, secondo loro male in passato, ossia quelli della borghesia. Si è distinta solo Sinistra italiana che in teoria dovrebbe sciogliere i nodi dei rapporti col Pd e con gli ex Pd, ma che evidentemente ha paura di perdere i rapporti con queste forze con le quali tutt’ora governa in alcune regioni.
E’ così partita la missione italiana in Libia, sua ex colonia, in aiuto di un primo ministro che non gode di certo di un consenso popolare e che controlla solo alcuni territori della vecchia Tripolitania e che comunque garantisce il pieno funzionamento dei campi di concentramento esistenti e dei nuovi che seguiranno in seguito alle trattative col governo italiano. In Libia, d’altro canto, sono in gioco altri interessi nazionali. Avremo modo di scriverne nei giorni seguenti.
Quel che manca è una voce dissonante. Troppo spesso lo gridiamo invano. La ricostruzione di una reale unità della sinistra antiliberista e anticapitalista, troppo spesso evocata nei pur necessari momenti elettorali, dovrebbe partire da una reale opposizione alla deriva razzista autoritaria, poliziesca e militarista che sta attraversando l’Italia e l’Europa, mettendo in campo iniziative concrete di solidarietà nei confronti dei migranti e di unità tra proletari autoctoni e migranti. Unire ciò che le classi dominanti hanno da secoli cercato di dividere non è facile, ma è la sfida ineludibile a cui siamo posti di fronte.