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di Veronica Fagan*

Il 18 aprile scorso il primo ministro britannico Theresa May, indicendo delle elezioni anticipate per l’8 giugno, si aspettava che il loro risultato la rafforzasse. S’è prodotto l’esatto contrario. Le elezioni si risolsero in un sorprendente trionfo per Corbyn e in una significativa sconfitta per May. C’è oggi una possibilità concreta che nel corso del prossimo anno si installi un governo laburista, diretto da Jeremy Corbyn, eletto sulla base d’un manifesto socialista radicale.

Questa possibilità può avere enormi conseguenze per la sinistra, europea e non. La Gran Bretagna non è infatti un Paese periferico: è una delle maggiori potenze economiche, con pretese imperialiste, ed è stata all’avanguardia nella promozione del neoliberalismo. Un governo socialdemocratico di sinistra, eletto sulla spinta di un movimento di massa radicalizzato, avrebbe inevitabilmente un impatto positivo sulla classe operaia britannica ed europea.
Perché, allora, May ha lanciato questa sfida, poi persa? […] Dopo il referendum dell’estate 2016 con il quale il Paese aveva votato per l’uscita dall’Unione europea, sulle storiche contrapposizioni che su questa questione caratterizzavano il Partito conservatore era stata posta la sordina. La May, che aveva sostenuto, sia pur blandamente, il mantenimento del Paese nell’Unione, non appena sostituì [come primo ministro] David Cameron (dimessosi nelle ore immediatamente successive alla proclamazione dei risultati del referendum), formò un governo composto di antieuropeisti duri e puri. Il suo partito intendeva così contrastare il crescente sostegno di cui godeva il Partito per l’indipendenza del Regno Unito (UKIP) di Nigel Farage: adottandone politiche e approcci, in una sorta di “UKIPizzazione” del Partito conservatore.
Ma ciò non significava che tutti i conservatori fossero d’accordo con questo orientamento, e la May sapeva che questi contrasti si sarebbero manifestati maggiormente nel corso delle discussioni con Bruxelles, nei media e anche – potenzialmente – all’interno della stessa Camera dei comuni, dove essa disponeva di una debole maggioranza. Essa voleva dunque consolidare la sua posizione prima dell’inizio dei negoziati.
I conservatori non nutrivano che disprezzo per il dirigente laburista Jeremy Corbyn, e avevano tutti i motivi di credere che questo atteggiamento fosse condiviso dalla maggioranza degli stessi deputati laburisti. Con il prezioso aiuto dei principali media, infatti, il Partito laburista parlamentare (PLP) [1], fatta eccezione d’un gruppo di coraggiosi sostenitori di Corbyn, sin dal settembre 2015, quando quest’ultimo fu eletto [segretario del partito], non aveva fatto altro che tentare di ostacolarlo e denigrarlo.
L’assalto contro Corbyn toccò il suo punto più alto dopo il referendum del 2016, quando 172 dei 229 deputati laburisti votarono a scrutinio segreto una mozione di sfiducia contro il loro leader. Ma nel corso della elezione della direzione del Labour avvenuta in estate, Corbyn venne facilmente rieletto dal complesso dei militanti del partito.
Tuttavia, May e i conservatori sapevano che la maggioranza del PLP restava ostile al proprio dirigente. E infatti la destra laburista non si lasciava sfuggire alcuna occasione per evidenziarlo, con le parole e con gli scritti. I conservatori però avevano del tutto sottovalutato il ruolo che le idee politiche di Corbyn e il forte movimento che le propagandava avrebbero avuto nella campagna elettorale. E così i 22 punti percentuali di vantaggio che i sondaggi assegnavano ai conservatori si sono evaporati non appena la politica di Corbyn ha cominciato a essere discussa nel Paese.
Il primo ministro ha dunque perso la sua risicata maggioranza [2]. C’è ora un Parlamento senza una maggioranza, e i conservatori possono governare solo con il sostegno di uno dei più reazionari partiti europei: il Partito unionista democratico (DUP) dell’Irlanda del nord. Un partito che ha non solo una lunga tradizione di sostegno dei gruppi terroristi lealisti [3], ma che è anche profondamente misogino (è assolutamente contrario all’aborto) e omofobo (ha votato contro il matrimonio per tutti). Un partito che è già costato molto caro ai conservatori (un miliardo di sterline): ma i gruppi femministi e LGBTIQ temono che questa non sia la sola ricompensa da lui rivendicata. [4]
Il manifesto laburista La causa principale dello straordinario risultato elettorale risiede nell’eccellente campagna condotta dal Partito laburista di Corbyn, basata su un audace programma che comprendeva:
•l’aumento delle tasse per il 5 % dei più ricchi e per le imprese;
•la rinazionalizzazione delle ferrovie;
•la soppressione dei costi di scolarità;
•l’aumento del finanziamento del Servizio nazionale di sanità (NHS) e il rifiuto dei principali presupposti del neoliberalismo;
•altre misure analoghe in altri campi [5].
Non si tratta di un complesso di misure rivoluzionarie o anticapitaliste ma, nell’attuale situazione politica della Gran Bretagna, era ciò che ci voleva: una rottura del consenso neoliberale che ne ha caratterizzato la politica negli ultimi trent’anni.
La linea sostenuta da Corbyn e dai suoi nel Partito laburista – l’austerità è una scelta politica e noi rifiutiamo questa scelta – […] è stata al centro del dibattito elettorale e già nel corso delle due elezioni per la direzione laburista aveva comportato un massiccio aumento degli iscritti al partito.
Notevoli sforzi sono stati fatti per calcolare esattamente il costo di ogni punto programmatico e per dimostrare come il denaro necessario a coprirlo potesse essere reperito con l’aumento della tassazione del 5 % dei più ricchi e delle imprese. […] E ciò in netto contrasto con il manifesto dei conservatori, nel quale, come ha sottolineato Emily Thornberry, segretaria alla Difesa nel Governo ombra laburista [6], le uniche cifre presenti erano costituite dal numero delle pagine [7] […]
Ma sono stati i vari attacchi alla situazione degli anziani – che per decenni sono stati in maggioranza loro elettori – a mettere a nudo con maggiore evidenza la cieca arroganza dei conservatori. Essi volevano procedere a una verifica dell’opportunità della concessione di un contributo di 200 sterline annue alle persone di oltre 65 anni per far fronte all’aumento delle spese per il riscaldamento. Inoltre, per compensare le crescenti spese dell’assistenza sociale, prevedevano una tassa da parte di coloro che usufruivano di cure a domicilio, calcolata sulla base del valore della loro abitazione. Infine, intendevano rimettere in discussione il principio secondo il quale le pensioni venivano rivalutate annualmente di almeno il 2,5 %, sostituendolo con aumenti equivalenti al tasso d’inflazione o in linea con la crescita del reddito medio. Erano fiduciosi: pensavano di poterlo fare mantenendo il vantaggio loro assegnato dai sondaggi.
Il manifesto elettorale laburista ha cambiato tutto, e la politica ha ripreso la sua centralità nei dibattiti dominati sino ad allora dagli attacchi personali a Corbyn. Tutti hanno cominciato a discutere della società in cui avrebbero voluto vivere, e così l’asse del dibattito s’è spostato a sinistra, favorendo Corbyn contro la May.
Su una serie di problemi Socialist Resistance, la sezione britannica della IV Internazionale, non è d’accordo con il manifesto laburista. La critica principale riguarda il fatto che nulla vi è detto circa il sistema elettorale, particolarmente antidemocratico: l’uninominale a un solo turno, il cosiddetto First Past the Post (Il primo prende il seggio). Nel corso delle elezioni legislative del 2015, per eleggere un deputato dell’UKIP è stato necessario ottenere un numero allucinante di voti (3,9 milioni), e per eleggere il deputato dei Verdi ne sono occorsi 1,1 milioni. Ogni deputato liberale ha invece richiesto solo 299.000 voti, ogni laburista 40.000, ogni conservatore 34.000. E sono bastati 26.000 voti per ogni deputato del Partito nazionale scozzese (SNP). L’UKIP era arrivato terzo per numero di voti, ma non ha ottenuto che un solo deputato, mentre al SNP, con meno della metà dei voti dell’UKIP, sono andati 56 seggi.
Naturalmente, meno deputati razzisti vi sono, ed è il caso dell’UKIP, tanto meglio. Ma non si ottiene niente truccando le elezioni a loro danno, perché è necessario sconfiggerli sul piano politico. Tanto più quando simili trucchi impediscono anche l’elezione di deputati di sinistra. Noi riteniamo che all’interno del Partito laburista e più in generale nella società occorra una campagna a favore del sistema proporzionale: se il Labour Party si impegnasse a farla finita una volta per tutte con l’attuale situazione ne ricaverebbe una maggiore credibilità politica.
Riteniamo inoltre che la posizione del Partito laburista sulla Scozia ponga problemi molto seri. Noi appoggiamo il diritto del Parlamento scozzese a organizzare un secondo referendum sull’indipendenza. In tale referendum i nostri militanti scozzesi farebbero una campagna a favore del “Sì”, mentre quelli dell’Inghilterra e del Galles sosterrebbero tale scelta, come già è avvenuto nel precedente referendum.
L’orientamento unionista del Partito laburista in Scozia, sommato alla sua linea destrorsa degli ultimi decenni, ha spinto un gran numero di suoi elettori, iscritti e militanti a sostenere il SNP. In Scozia, in effetti, il successo elettorale di Corbyn è stato molto più contenuto rispetto al resto della Gran Bretagna, anche se la sua campagna e il suo manifesto hanno avuto anche qui un impatto positivo. Ma sulla questione dell’indipendenza scozzese occorrerà ancora lottare per arrivare a un cambiamento radicale nell’orientamento del Partito laburista.
Libertà di circolazione? La questione più dibattuta, e sulla quale si sono maggiormente manifestate divisioni nella sinistra, riguarda l’orientamento del Partito laburista nei confronti dell’Unione europea, con la libertà di circolazione in particolare e, più in generale, il problema dei migranti.
Nonostante le voci che insinuano il contrario, nel corso del referendum Jeremy Corbyn ha fatto campagna per restare nell’Unione. Se la sua campagna non è rientrata in quella ufficiale a favore del mantenimento nella UE, ciò è dipeso dal fatto che egli non voleva figurare assieme ai conservatori e al grande capitale: non ricadere insomma nell’errore che indubbiamente aveva indebolito il Partito laburista in occasione del referendum sull’indipendenza scozzese. Era infatti essenziale che Corbyn fosse chiaro su un punto: che cioè avrebbe accettato il risultato del referendum. Non farlo sarebbe stato antidemocratico.
Ma il Partito laburista aveva un altro problema. Benché la maggior parte dei suoi elettori si fosse pronunciata per restare nell’Unione europea, una maggioranza dei suoi deputati era stata eletta in circoscrizioni dove l’uscita dalla UE era risultata maggioritaria. Per impedire che queste circoscrizioni passassero ai conservatori, Corbyn doveva riconquistare il voto d’un buon numero di questi elettori ed elettrici. Il manifesto laburista, promettendo servizi pubblici per tutti, era uno strumento essenziale a questo fine, ma occorreva anche che risultasse chiaro sin da subito che il Partito laburista avrebbe accettato il risultato del referendum. […]
Ecco quanto dice il manifesto laburista a proposito dei cittadini dell’Unione che vivono in Gran Bretagna:
Un governo laburista garantirà immediatamente i diritti in atto a tutti i cittadini della UE che vivono in Gran Bretagna e otterrà diritti equivalenti per i cittadini del Regno Unito che hanno scelto di vivere nei Paesi della UE. I cittadini della UE non si limitano a pagare le tasse alla nostra società: ne fanno parte. Non possono essere usati come merce di scambio.
Quest’ultimo punto è stato sottolineato in modo particolare da Corbyn sia prima delle elezioni che in seguito, in reazione alle “proposte” di Theresa May all’Unione europea. Si tratta di una buona presa di posizione. […]
Naturalmente il dibattito non finisce qui. Il problema è sapere se la immigrazione europea sarà ancora permessa dopo l’uscita della Gran Bretagna dalla UE. Su questo punto il manifesto è meno preciso, ma sembra dire che un governo laburista sostituirebbe la libertà di circolazione con la libertà di lavorare (probabilmente per tutti i migranti): in altre parole, coloro che avessero un impiego potrebbero circolare. A ciò si accompagna una presa di posizione molto forte contro l’esacerbazione del razzismo da parte della destra: «Il Partito laburista non trasformerà i migranti in capri espiatori, né li accuserà di essere responsabili dei problemi dell’economia».
Siamo ancora lontani da ciò che ci vorrebbe – per esempio, c’è una certa tensione fra l’affermazione essenziale dei migranti come esseri umani e il ricorso a termini che li disumanizzano come «la gestione della migrazione» -, ma siamo anche nella giusta direzione. Socialist Resistance è favorevole al «No Borders» (Nessuna frontiera), ma ciò non significa che noi pensiamo che questa posizione possa ottenere facilmente un sostegno di massa, soprattutto a solo un anno di distanza dall’avvelenato referendum sulla UE nel corso del quale il razzismo e l’opposizione all’immigrazione sono stati legittimati dai media e da molti esponenti politici di primo piano.
Che i cittadini provenienti dalla UE e i difensori dei diritti dei migranti concentrino la loro attenzione su questi aspetti è perfettamente comprensibile. Tuttavia noi riteniamo sia più produttivo chiedersi qual è concretamente la posizione del Labour in materia, qual è quella che noi vorremmo assumesse e come fare per farlo muovere ulteriormente nella giusta direzione. Ma per questo occorre prima riconoscere che la posizione espressa nel manifesto non è del tutto malvagia. E occorre poi avanzare proposte concrete […].
Noi critichiamo gli esponenti politici laburisti, alla stessa stregua di quelli di altri partiti, quando riteniamo che facilitino il razzismo. Vi sono infatti state dichiarazioni di deputati laburisti sostenitori di Corbyn che secondo noi sono pericolosamente scivolate in questa direzione. Come nel caso di Angela Rayner, segretaria all’Istruzione nel Governo ombra, quando ha detto che la migrazione è responsabile della diminuzione dei salari. […] Ma sappiamo che altri dirigenti laburisti di primo piano hanno un orientamento del tutto opposto e si battono per esso all’interno del partito […].
La campagna elettorale laburista La natura stessa della campagna laburista è stata significativa. Per sette settimane, dal 18 aprile all’8 giugno, Corbyn ha preso la parola in 90 raduni, in oltre 60 città, con lo slogan: For the Many not the Few (Per i molti, non per i pochi). Si è trattato di grandi meeting, con migliaia di partecipanti, a volte convocati sulle spiagge o nei parchi per mancanza di sale in grado di accogliere tutti. Il messaggio era che campagne come quelle in difesa del Servizio nazionale sanitario, dei sindacati o dei militanti costituivano una parte essenziale della sua campagna elettorale.
Ovunque in Gran Bretagna migliaia di militanti sono scesi in strada per parlare con le elettrici e gli elettori del progetto del Labour. Molti di coloro che s’erano iscritti al partito dopo le elezioni del 2015, compresi quelli che l’avevano fatto in appoggio a Corbyn, non avevano poi partecipato alla vita quotidiana del Labour. Ora però s’erano attivati, poiché avevano compreso ch’era vitale impedire una vittoria conservatrice.
Anche i sindacati e i movimenti sociali, in modo particolare quelli centrati sui servizi pubblici, hanno avuto un ruolo importante. È il caso, in particolare, dei sindacati degli insegnanti (nessuno dei quali è al momento affiliato al Partito laburista [8]), che hanno organizzato una campagna straordinaria sul finanziamento delle scuole. Gli studenti e i loro genitori si sono mobilitati e in numerosi stabilimenti scolastici sono stati affissi cartelli di denuncia dei tagli di bilancio effettuati dai conservatori, che li costringevano a dedicare molto tempo alla raccolta di fondi o di richiedere l’aiuto dei genitori per l’acquisto dei libri e della cancelleria. […]
La campagna centrale dell’apparato del Partito laburista, al di fuori del controllo di Corbyn, è stata invece di carattere difensivo e poco reattiva. Gli iscritti erano di solito incoraggiati a occuparsi solo della propria circoscrizione, anche là dove c’era la certezza di una vittoria. Qualche risorsa supplementare è stata assegnata alle circoscrizioni in cui il deputato laburista aveva perso il seggio nel 2015, ma anche quando i sondaggi hanno cominciato a segnalare la caduta dei conservatori, non si è fatto nulla per investire maggiormente nei loro punti deboli.
Momentum [9] ha svolto un lavoro eccellente, scavalcando l’apparato, spezzando la routine e incitando gli elettori a impegnarsi nella campagna, con risultati molto buoni. [10]
A livello locale la campagna elettorale è stata molto diversificata. Alcuni deputati hanno raramente menzionato il Partito laburista, e ancor meno Corbyn, nel loro materiale elettorale, sforzandosi di presentarsi in quanto meri difensori di interessi locali. Alcuni di questi hanno addirittura fatto propria la favola secondo la quale una politica radicale avrebbe condotto inevitabilmente alla sconfitta. Altri hanno proseguito nella loro lotta contro Corbyn. Il risultato elettorale ha però poi costretto molti di costoro a fare pubblica ammenda e a compiacersi della campagna elettorale e del suo risultato. Non che ciò rappresenti per la maggior parte di loro una sincera svolta politica: ma comunque la posizione di Corbyn alla direzione del partito ne è uscita rafforzata.
Nel Partito laburista continuano a convivere due partiti: uno che sostiene Corbyn e un altro controllato dall’apparato e dalla destra del PLP. Ma la campagna elettorale ha modificato i rapporti di forza a favore di Corbyn.
Le elezioni legislative britanniche si concludono generalmente su un momento di pausa politica: il governo, riconfermato o nuovo che sia, si installa e traduce il suo manifesto in un programma di legislatura, mentre i militanti si riposano dalle fatiche della campagna. Questa volta è avvenuto il contrario.
Jeremy Corbyn ha avuto un ruolo chiave in proposito. Alla vigilia degli scrutini, quando ormai era evidente che i risultati sarebbero stati molto migliori per lui di quanto sperassero i conservatori e i suoi oppositori di destra nel Partito laburista, dalla sua circoscrizione di Islington (Grande Londra) ha esortato i suoi sostenitori a proseguire la campagna.
Quando l’Assemblea del popolo – un movimento sociale militante – ha convocato per il 1° luglio una manifestazione con parole d’ordine come «Via i conservatori» e «Non un giorno di più», il cancelliere del Governo ombra John McDonnell ha chiesto che un milione di persone scendesse in piazza. Corbyn e McDonnell non fanno distinzione fra ciò che sostengono in parlamento e ciò per cui i militanti si battono nei luoghi di lavoro, nelle comunità e nelle piazze. Anzi, se ne nutrono.
Grenfell: dei morti neoliberali A distanza di qualche giorno soltanto dalle elezioni, un tragico avvenimento ha evidenziato il mutamento nei rapporti di forza fra i due principali partiti e i loro dirigenti: l’incendio di un grattacielo che ospitava alloggi sociali, la Grenfell Tower, nel nordovest di Londra, che è costato la vita ad almeno 78 persone.
Milioni di persone hanno potuto vedere, con orrore, sugli schermi televisivi, come un edificio di 23 piani bruciasse con estrema rapidità. Il fatto è avvenuto a Kensigton and Chelsea, il comune più ricco di Gran Bretagna, dove la giunta conservatrice s’era posta all’avanguardia nelle riduzioni del bilancio e nelle privatizzazioni. Benché questo quartiere vanti numerosi ricchissimi residenti, non era certo questa la condizione degli affittuari di Grenfell. Per chiunque conoscesse la zona nord di Kensington, non è certo stata una sorpresa apprendere che la prima vittima identificata fosse un rifugiato siriano.
Questa tragedia, che si sarebbe facilmente potuto evitare, è il frutto della deregolamentazione neoliberale che ha sacrificato dei proletari sull’altare dell’austerità. John McDonnell ha giustamente detto che le vittime erano state «assassinate da scelte politiche» [11].
Queste scelte consistono nell’annacquamento dei regolamenti edilizi, che consentono di costruire o restaurare degli immobili facendo più profitti: impiegando materiali pericolosi, non installando luci di emergenza, porte antincendio ed estintori automatici. […]
I materiali impiegati per isolare la torre – così come avviene in innumerevoli altri edifici in tutta la Gran Bretagna – erano infiammabili: ma meno cari di altri meno pericolosi. Le organizzazioni degli inquilini protestavano da anni a causa di altri problemi di sicurezza: per zittirli li si è minacciati di provvedimenti legali. Nel 2014 essi avevano scritto che i lavori «di rinnovo» avevano trasformato la torre in una trappola mortale [12]. E poi nel 2016: «È terrificante pensarlo, ma il Gruppo d’azione di Grenfell è fermamente convinto che solo una catastrofe potrà dimostrare l’inettitudine e l’incompetenza del nostro proprietario» [13].
A mano a mano che ulteriori informazioni su questo fatto vengono alla luce il furore aumenta, sia nel nord di Kensington che altrove. In proposito sono emblematiche le visite effettuate da due dirigenti politici. Il primo ministro Theresa May s’è sì recata a Grenfell, ma senza incontrarvi gli inquilini feriti e traumatizzati. S’è invece riunita, a porte chiuse, con i membri dei servizi di soccorso […]. Così quando Corbyn, nel corso del dibattito parlamentare sulla tragedia, ha detto che «da Hillsborough [14] a Grenfell il modello è lo stesso: le voci dei lavoratori vengono ignorate», rifletteva i sentimenti di milioni di persone. Scacciare i conservatori ed eleggere un governo Corbyn sarebbe il modo migliore per evitare altre Grenfell: anche se ciò significherebbe doversela prendere con numerosi enti locali gestiti da laburisti che hanno anch’essi praticato l’austerità invece di combatterla.
Dopo la tragedia di Grenfell è risultato evidente infatti come altri consigli comunali (laburisti compresi) e altre società private hanno utilizzato gli stessi materiali e le stesse pratiche impiegate a Grenfell. Il consiglio comunale di Camden, laburista, ha fatto evacuare diversi suoi grattacieli. Dapprima l’evacuazione era stato spiegata col fatto che i rivestimenti esterni erano gli stessi di quelli di Grenfell, ma in seguito si è saputo che oltre a ciò nel corso di un recente «rinnovamento» tutte le porte antincendio erano state tolte. […]
In (impaziente) attesa d’un governo laburista I risultati elettorali inattesi di conservatori e laburisti hanno modificato la situazione politica in Gran Bretagna. Molti di coloro – media e destra laburista – che all’inizio attaccavano Corbyn, riconoscono ora che “può essere primo ministro”.
Nel discorso del trono della regina [per presentare il nuovo governo] alcuni dei peggiori punti del manifesto conservatore sono spariti. Ufficialmente perché il DUP si sarebbe opposto a certi aspetti, come per esempio la fine delle garanzie pensionistiche: ma è la pressione di Corbyn che deve anche avervi avuto un ruolo. E ora si sta sviluppando un vero e proprio dibattito sulla fine dell’austerità, anche nei media dominanti.
Se per ora la direzione del Partito conservatore da parte di Theresa May non sembra in discussione, ciò si deve unicamente al fatto che questo partito non ha sottomano alcuna alternativa. I sondaggi dicono che qualunque altro potenziale leader sarebbe ancor meno popolare di lei di fronte a Corbyn. Dopo tutto, il Partito laburista di quest’ultimo ha messo in discussione ogni forma d’austerità, prima ancora che qualche personaggio. Ma quando l’ex cancelliere conservatore George Osborne, attuale caporedattore del quotidiano londinese «Evening Standard», parla di lei come di un cadavere ambulante [15], risulta evidente come la posizione della May sia molto precaria. […]
Il 28 giugno, in occasione delle prime interrogazioni rivolte al Primo ministro alla Camera, Corbyn s’è felicitato del fatto che quel giorno stesso fossero stati annunciati procedimenti contro i responsabili di Hillsborough, per concentrarsi poi sulle lezioni da ricavare da Grenfell e sui provvedimenti da prendere a favore delle vittime e per prevenire il ripetersi di tragedie analoghe, non solo nei grattacieli ma anche in altri edifici in cui materiali simili erano stati impiegati.
Ora i membri del Partito laburista hanno ripreso fiducia in se stessi. Stanno preparandosi per nuove elezioni, possibili in qualunque momento se la crisi del Partito conservatore si approfondisce. Elezioni che il Labour avrebbe tutte le possibilità di vincere sulla base di una piattaforma di rivendicazioni radicali.
I militanti che hanno aderito al Partito laburista dopo le elezioni del 2015 hanno molto in comune con quelli che nello Stato spagnolo hanno fatto altrettanto nei confronti di Podemos per poter lottare per una società diversa. Nella storia e nella strutturazione del movimento operaio britannico vi sono alcune particolarità che hanno fatto sì che una simile aspirazione si concretizzi nelle fila di un partito socialdemocratico invece di dar vita a una nuova organizzazione alternativa. Una vittoria elettorale di Corbyn e un suo governo rappresenterebbero un passo avanti per la sinistra, non solo britannica, ma anche europea.

Londra, 28 giugno 2017

*Veronica Fagan è caporedattrice di «Socialist Resistance» e dirigente della sezione britannica della IV Internazionale
Note
[1] L’equivalente dei nostri Gruppi parlamentari, ma con caratteristiche peculiari nell’ambito della struttura del Labour [Nota del traduttore]
[2] Sui risultati elettorali vedi in questo sito Regno Unito | Riemerge una sinistra: riformista, sì, ma anche combattiva
[3] Nel contesto politico nordirlandese, “lealisti” sono i partiti e le organizzazioni favorevoli al mantenimento dei legami con la Gran Bretagna, all’interno del Regno Unito. [Ndt]
[4] https://www.theguardian.com/politics/2017/jun/26/the-conservativedup-deal-what-it-says-and-what-it-means
[5] http://www.labour.org.uk/index.php/manifesto2017
[6] Nella tradizione politica britannica, e di altri Paesi anglofoni, è istituzionalizzato il Governo ombra, formato dal maggior partito d’opposizione. [Ndt]
[7] http://talkradio.co.uk/news/theresa-may-so-arrogant-only-numbers-manifesto-are-page-numbers-says-labours-emily-thornberry
[8] L’adesione al Labour può avvenire sia in modo individuale, sia collettiva, attraverso l'”affiliazione” di un sindacato. [Ndt]
[9] Network di circa 150 gruppi locali e circa 23.000 militanti formatosi per appoggiare Corbyn. [Ndt]
[10] Attraverso il sito web: https://www.mynearestmarginal.com
[11] http://www.independent.co.uk/news/uk/grenfell-tower-fire-victims-murdered-political-decisions-john-mcdonnell-glastonbury-festival-a7807551.html
[12] https://grenfellactiongroup.wordpress.com/2014/08/26/is-grenfell-tower-a-firetrap/
[13] https://grenfellactiongroup.wordpress.com/2016/11/20/kctmo-playing-with-fire/
[14] Nel 1989 vi si era svolto un incontro di calcio nel corso del quale, in seguito a cariche della polizia che avevano sospinto i tifosi del Liverpool in un’area già superaffollata, si ebbero 96 morti e 766 feriti. La stampa aveva propalato notizie false, accusando di ubriachezza i tifosi. Solo nel 2016 si è potuto ottenere un verdetto sulla colpevolezza, dopo che erano stati varie volte avvertiti, degli organizzatori.
[15] https://www.theguardian.com/politics/2017/jun/11/george-osborne-says-theresa-may-is-a-dead-woman-walking

Titolo originale: Conservateurs en crise, le Parti travailliste de Corbyn en plein essor, pubblicato su «Inprecor», n. 641, juillet 2017, pagg. 9-13. Traduzione dal francese di Cristiano Dan. Sono stati apportati lievi tagli, indicati da […], relativi a passaggi di secondaria importanza o a ripetizioni, e in alcuni punti si è proceduto a sintetizzare il contenuto. Il testo integrale in francese si può comunque trovare nel sito di «Inprecor»
http://www.inprecor.fr/article-Grande-Bretagne-Conservateurs%20en%20crise,%20le%20Parti%20travailliste%20de%20Corbyn%20en%20plein%20essor%20?id=2043