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di Edgardo Lander*

La morte di Chávez nel 2013 e il collasso di poco successivo dei prezzi del petrolio determinarono il crollo di due fondamentali pilastri del processo bolivariano, ed è da allora che questo è entrato in una crisi profonda. La crisi strutturale dell’esaurirsi del sistema della rendita petrolifera, che si andava verificando a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso e sembrava essere stata superata nel primo decennio di questo, riappare con rinnovato vigore.

Maduro, mancando della capacità leaderistica di Chávez, vince nel 2013 le elezioni presidenziali, con un distacco di meno del 2% dei suffragi. Nel 2015, l’opposizione vince con larghissima maggioranza le elezioni parlamentari, ottenendo i due terzi dei seggi; una maggioranza qualificata, con la quale avrebbe potuto nominare i membri del Tribunale supremo di giustizia (Tsj) e del Consiglio elettorale nazionale (Cne), se si rispettassero le regole imposte dalla Costituzione. Il governo di Maduro riconosce subito di avere perso la maggioranza del sostegno popolare e di non poter quindi rimanere al potere se si sottomette ai dettami costituzionali.
Si comincia allora a prendere una serie di misure che vanno sostanzialmente allontanando il governo dalla Costituzione bolivariana: viene cancellato il referendum di revoca che si era celebrato come una delle principali conquiste della democrazia partecipativa; si rinviano le elezioni dei governatori, che si sarebbero dovute obbligatoriamente tenere nel dicembre del 2016; si nominano, in modo incostituzionale, i membri del Tsj e del Cne; infine, misconoscendo per la prima volta i risultati di un’elezione popolare, tramite il Tsj il governo dichiara in stato di rivolta [quindi sciolta di fatto] l’Assemblea nazionale (il Parlamento) e ne distribuisce le competenze costituzionali tra l’Esecutivo e lo stesso Tsj. Dal febbraio 2016 il presidente Maduro ha governato basandosi su poteri auto-attribuitisi di stato d’emergenza, senza tener conto per questo dell’avallo costituzionale richiesto dell’Assemblea nazionale, e per un periodo molto superiore a quello massimo consentito dalla Costituzione.
In queste condizioni, da aprile a luglio si scatena una forte offensiva antigovernativa dell’opposizione. In questa si combinano massicce mobilitazioni pacifiche nelle principali città del paese, atti di violenza, distruzioni di installazioni pubbliche nel campo della scuola, della sanità e dei trasporti, oltre ad azioni terroristiche e all’intervento di gruppi paramilitari appoggiati da fuori. Il governo risponde con una repressione indiscriminata, a sua volta rafforzata da collettivi civili armati, che attaccano violentemente le mobilitazioni di oppositori. Ne risulta una escalation di violenza che ha prodotto 120 morti, centinaia di feriti e arrestati, molti dei quali direttamente deferiti a tribunali militari.
Il tutto, nel contesto in cui Maduro annuncia il 1° Maggio la convocazione di un’Assemblea nazionale costituente (Anc). Una Anc si ricollega a un atto democratico all’inizio di un processo partecipativo in cui i più ampi e più diversi settori della società potranno deliberare, contrattare e concordare criteri e norme di fondo sulle forme con cui procedere verso il modello di società al quale si aspira. Fu realmente questo il caso del modello della Costituente convocata attraverso un referendum nazionale nei primi mesi del governo Chávez, nel 1999. Ma quella ricca esperienza non ha nulla in comune con la convocazione effettuata dal presidente Maduro.
Sebbene la Costituzione non sia del tutto esplicita al riguardo, essa fissa tuttavia una differenza chiara tra “prendere l’iniziativa” di una convocazione(cosa che può fare un presidente) e “convocare”, che è attribuzione esclusiva del popolo sovrano (art. 347). Questo implica che ci dovrebbe essere stato un referendum consultivo sul fatto se si dovesse “convocare” o meno, come accadde nel 1999. Ovviamente non lo si è fatto perché al governo mancava il sostegno elettorale richiesto per vincere la consultazione. Altrettanto problematico è stato il disegno dei collegi elettorali, del tutto illegale e antidemocratico, che cercava di trasformare l’attuale minoranza di sostegno al governo in maggioranza schiacciante nell’Anc.
Sono state alterate le modalità con le quali si erano svolte le precedenti elezioni, si è creato un doppio sistema di rappresentanza: territoriale e di settore. In quello territoriale si è assegnata una straordinaria sovra-rappresentanza ai municipi rurali, meno popolati, rispetto a quelli urbani che concentrano una popolazione più ampia e dove è maggiore il rifiuto del governo. Si è violato in forma manifesta e intenzionale il principio costituzionale della rappresentanza proporzionale.
Del pari problematico è il disegno della partecipazione settoriale. Nei collegi si stabiliva che si sarebbero eletti costituenti settoriali ciascuno in rappresentanza di sette settori della popolazione. Si sono esclusi dal diritto al voto di settore all’incirca cinque milioni di cittadini, creando così una sperequazione fra cittadini di prima categoria con diritto a votare due volte e altri cittadini di seconda classe, con diritto soltanto ad un voto.
Secondo la Costituzione, votare non è obbligatorio. Naturalmente, esponenti governativi, a partire dal presidente, minacciarono gravi conseguenze per quei cittadini che non avessero partecipato al voto. Si è ricorsi ad elenchi degli impiegati pubblici, dei lavoratori delle imprese di Stato e dei beneficiari dei programmi sociali per avvertirli che avrebbero perso il posto di lavoro e i benefici di cui godevano qualora non avessero votato. Una volta trascorse le elezioni si sono moltiplicate le denunce dell’effettiva applicazione di tali sanzioni.
Per queste elezioni, il Cne ha smantellato i principali meccanismi di controllo che avevano trasformato il sistema elettorale venezuelano in un modello di trasparenza e affidabilità. Non ci sono stati svariati controlli richiesti dalle norme elettorali. Non si è usata vernice indelebile per garantire che ogni elettore votasse una sola volta. Si è di fatto soppresso il ruolo dei registri elettorali. Questi registri erano controllati dalla partecipazione di rappresentanti dei diversi gruppi politici per confermarne la correttezza. Quando, all’ultimo momento, il Cne ha deciso che gli elettori potessero votare in qualsiasi seggio elettorale del proprio municipio, e poi anche al di fuori del proprio municipio, è sparito questo strumento vitale di controllo e trasparenza del processo elettorale.
Per il modo incostituzionale con cui si è convocata l’Anc e per i posti perentoriamente riservati dal registro dei/delle candidati/e, hanno partecipato come candidati, votanti e testimoni soltanto i sostenitori del governo, trasformando le elezioni del 30 luglio praticamente in un’elezione interna del PSUV, senza testimoni esterni.
Ai mezzi di comunicazione di massa si è vietata la copertura del processo elettorale, impedendo ai giornalisti di avvicinarsi a meno di 500 metri di distanza dai seggi. Ciò ha trasformato queste elezioni in qualcosa che tutto è, meno che pubblico.
Il presidente di Smartmatic, la società che ha fornito la base tecnologica per tutte le tornate elettorali completamente automatizzate svoltesi a partire dal 2004, ha dichiarato di non poter garantire la veridicità dei risultati presentati dal Cne perché erano stati manipolati e si era aumentato di almeno un milione il numero del totale dei votanti.
Non vi è motivo alcuno di fidarsi dei risultati annunciati dal Cne. Ha dichiarato la partecipazione di 8.089.320 votanti, una cifra a dir poco altamente sospetta. Non vi è alcun rapporto con quel che indicavano, senza eccezioni, tutti i principali sondaggi d’opinione effettuati nel paese prima delle elezioni, che fornivano proiezioni di livelli di partecipazione ben inferiori, né con gli exit polls.
I risultati hanno suscitato un grave malessere nei settori di base del chavismo e in alcuni degli alleati nel Polo Patriottico. È risultato evidente che le domande erano formulate in modo tale da assicurare che il nuovo potere costituente fosse l’espressione fedele del potere costituito, garantendo l’elezione di tutti i principali dirigenti del PSUV e di tutti i ministri e i governatori dimissionari dagli incarichi per presentarsi a queste elezioni.
I gravi problemi che sta attualmente affrontando il paese non sono di ordine giuridico-normativo. Non è con modifiche costituzionali che si risolveranno la seria crisi umanitaria nell’ambito dell’alimentazione e della salute, la profonda recessione e il deterioramento dell’apparato produttivo, o l’esistenza di un debito estero che non si sa come pagare. Ancor meno si può sperare che una Costituente che, nel migliore dei casi, non ha ricevuto il sostegno del 58,47% dell’elettorato, possa fungere da strumento di dialogo e di pacificazione.
Si è prodotto, in queste elezioni, lo smantellamento del sistema elettorale che con tanta fatica si era riusciti a mettere insieme dal 2004. In un paese così polarizzato, con tanta violenza, questo smantellamento non è poca cosa. Ci lascia senza un pilastro fondamentale delle possibilità di convivenza democratica. Non abbiamo più un arbitro affidabile. Ormai il problema non è se si svolgeranno o meno elezioni, ma occorre anche chiedersi a che servano procedure elettorali se il presunto arbitro neutrale, pubblicamente e notoriamente, ha smesso di esserlo. Che accadrà nel paese se si arriva alla totale soppressione di qualsiasi scelta elettorale? Significa che si instaureranno la violenza, il terrorismo paramilitare e la repressione statuale come modo per porre sotto processo le nostre inevitabili differenze?
A partire da oggi, venerdì 4 agosto, quando sembra si insedi la nuova Assemblea costituente, il paese entra in una fase di maggiore incertezza. I portavoce del governo hanno annunciato che si tratta di un’assemblea plenipotenziaria e super-costituzionale che potrebbe, ad esempio, intervenire direttamente alla Procura Generale della Repubblica e soppiantare l’attuale parlamento nazionale, la cui vigenza è prevista fino al gennaio 2021.
Indipendentemente dal fatto che si consulti o no la popolazione sulla nuova Costituzione che questo corpo eventualmente elabori, a partire da questo momento il governo passa a disconoscere, in linea di fatto, la Costituzione del 1999.

* Sociologo venezuelano, fa parte della Piattaforma Civica in Difesa della Costituzione in Venezuela, ed è stato uno degli organizzatori principali del Forum Sociale Mondiale del 2006 a Caracas.