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di Manuel Kellner*

Il 24 settembre sarà ricordato per la perdita spettacolare dei partiti Cdu e Spd che avevano formato la Grande coalizione guidata dalla cancelliera Angela Merkel e per il successo drammatico dell’Afd dal profilo nazionalista, razzista, ultraconservatore e di estrema destra.

In effetti, la Cdu-Csu, con il 33% dei voti, perde l’8,5% in raffronto al 2013 e la Spd perde il 5,2 arrivando al 20,5%, espressione di un’erosione apparentemente irresistibile dell’elettorato socialdemocratico dopo la messa in opera delle controriforme antisociali dell’Agenda 2010 risalenti al governo Spd-Verdi guidato dal cancelliere Gherard Schröder.
L’Afd raggiunge il 12,6% dei voti contro il 4,7 del 2013 e diventa la terza forza del Bundestag con 94 deputati. Soprattutto, l’Afd diventa il primo partito in Sassonia con il 27% dei voti con la Cdu al 26,9 e in generale prima forza nell’elettorato maschile dei nuovi Laender della Germania Est. In Baviera l’Afd arriva al secondo posto dietro la Csu in numerose circoscrizioni.
L’Afd ha guadagnato più di un milione di voti dalla Cdu-Csu, circa mezzo milione dalla Spd e 4.000 dalla sinistra della Die Linke, mobilitando circa un milione di elettori che non erano andati alle urne nel 2013, con una partecipazione che ha raggiunto il 76,2% contro il 71,5 del 2013. A dispetto del grande successo elettorale, nel gruppo dirigente Afd regna lo scontro dopo le elezioni: Frauke Petry, infatti, eletta con il mandato diretto in Sassonia, co-presidente del partito dal profilo più “moderato” dei primi due candidati, Alexander Gauland e Alice Weidel, ha annunciato che non farà parte del gruppo parlamentare dell’Afd nel nuovo Bundestag. Le proposte di Gauland, sulla necessità di “aprire la caccia contro la Merkel” e le sue provocazioni verbali fascisteggianti, l’hanno scontentata.
Altro risultato spettacolare delle elezioni è il successo dai liberali Fdp che non avevano superato la soglia del 5% nel 2013 e che tornano al Bundestag con il 10,7% e 80 deputati guadagnando 5,9 punti percentuali. La Fdp ha potuto ottenere 1,3 milioni di voti dalla Cdu-Csu, 430.000 dalla Spd e 70.000 dalla Die Linke. I Verdi arrivano all’8,9% contro l’8,4% del 2013 e non perdono voti a vantaggio dell’AFd. Sono però “battuti” dalla Die Linke che ottiene il 9,2% guadagnando lo 0,6 rispetto al 2013 e ottenendo 69 deputati guadagnando anche in termini assoluti (il miglior risultato della Die Linke fu nel 2009 con l’11,9% dei voti).
La sera dopo le elezioni il principale candidato della Spd, Martin Schultz, ha dichiarato che il suo partito rifiuterà di continuare la Grande coalizione come partner minore della Cdu sotto la guida della cancelliera Angela Merkel. Vorrebbe rigenerare la Spd nel ruolo di partito di opposizione mettendo l’accento sui temi della difesa dei valori democratici e di giustizia social.
Se la Spd non ritorna su questa decisione la formazione di una coalizione governativa con la Cdu-Csu come partito maggioritario si annuncia difficile. Teoricamente la sola possibilità sarà quella di una coalizione “Giamaica” tra la Cdu, la Fdp liberale e il partito dei verdi (da qui i tre colori nero, giallo e verde, ndt). Difficile immaginare un compromesso in materia di politica climatica che, ad esempio, per la Fdp deve basarsi unicamente sul metodo del libero mercato. Nonostante non si possa escludere nulla – vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni – i risultati delle elezioni tedesche sfociano in una crisi politico-partitica che potrebbe anche portare a nuove elezioni anticipate a livello federale.
Per Die Linke (la formazione della sinistra, ndt) la partita è rilevante: condurre una lotta senza quartiere con azioni unitarie contro l’estrema destra presentandosi allo stesso tempo come la vera opposizione alle politiche capitalistiche e neoliberiste.

*Manuel Kellner, redattore di SoZ, membro di Die Linke e dell’Iso (la IVe Internationale in Germania)