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di Giuseppe Sergi

Il dibattito sul salario minimo legale in Ticino sta prendendo una brutta piega. Da un lato, è evidente, vi è chi non ne vuole sentire parlare e cerca di guadagnare tempo (governo, padronato, alcuni partiti politici); dall’altro chi vuole accelerare a tutti i costi, buttando là alcune cifre (che hanno come unico obiettivo di apparire compatibili con le sentenze dei Tribunali) che potrebbero rappresentare, come affermano, “il punto di partenza” per introdurre un salario minimo generalizzato in Ticino.

Sullo scorso numero di Solidarietà abbiamo già cercato di fare un po’ di chiarezza nella discussione, ricordando come, ad esempio, alcune cifre buttate là in qualche modo non aiutano certo a far emergere quelle che devono essere delle esigenze minime per intraprendere questa strada. In particolare pensiamo a proposte di salari minimi che non permettono a chi vuole seguire questa discussione di capire dove si situi, almeno dal punto di vista quantitativo, il dibattito.
Per prima cosa a rendere difficile la comprensione della questione vi è l’articolazione pubblica del salario in salario orario, sulla scia delle decisioni di Neuchâtel e il relativo pronunciamento del Tribunale federale. Ma poiché il pagamento del salario mensile è di gran lunga la regola, appare necessario affinché il dibattito sia chiaro, ricondurre la discussione a questo livello. Affermare che si è per 20, 21 o 22 franchi non significa, per la stragrande maggioranza dei salariati e della popolazione, assolutamente nulla.
Il Tribunale federale ha detto che fissare un salario minimo sulla base di 20 fr. all’ora è compatibile con le leggi di questo paese e non rappresenta un ostacolo alla libera concorrenza. E come potrebbe esserlo un importo così ridicolo? Perché 20 fr. orari altro non sono che 3’464 fr. mensili versati 12 volte: un totale annuale di 41’568 franchi; se poi il salario minimo fosse fissato a 21 fr. avremmo un salario minimo di 3’637 fr.mensili ed un salario annuale di 43’644 franchi. Se ritraducessimo questi salari annuali in salari mensili come normalmente vengono percepiti dai salariati nelle normali discussioni avremmo, rispettivamente, un salario mensile di 3’197 fr. (per 13 mensilità nel caso di 20 fr.) e di 3’357 fr. (per 13 mensilità nel caso di 21 fr.).
Evidentemente non ci siamo. E non ci siamo nemmeno con le proposte di coloro che, muovendosi nella stesa logica dominante, propongono 3’500 franchi o 3’750, senza dirci se questi salari sono per dodici o tredici mensilità: cosa che fa una bella differenza.
Noi pensiamo che un lavoratore impiegato normalmente a tempo pieno (40 ore settimanali) non possa ricevere un salario inferiore ai 4’000 franchi mensili per 13 mensilità, cioè almeno 52’000 franchi annui.
In altre parole, e lo diciamo non perché sia un modello in sé ma per offrire un termine di paragone, pensiamo che debba ricevere almeno lo stipendio che la grande catena di distribuzione LIDL garantisce ai propri dipendenti non qualifica che lavorano a tempo pieno.
Costoro infatti (come spiega la stessa catena nella sua documentazione) ricevono un salario minimo mensile (e si tratta del salario minimo per un lavoratore o una lavoratrice senza esperienza professionale)di 4’100 franchi per 13 mensilità (sulla base di un orario di 41 ore settimanali). Un orario che per certi che può essere considerato di 40 ore visto che diverse categorie di lavoratori e lavoratrici (ad esempio coloro che hanno compiuto i 50 anni) godono di cinque settimane di vacanze (6 dopo i 60 anni).
Lungi da noi l’idea di idealizzare la politica di LIDL. Sappiamo quale politica di gestione del personale essa conduce, ad esempio attraverso una sistematica assunzione di personale a tempo parziale e precario che viene sfruttato in modo intensivo (è noto a tutti che la stragrande maggioranza dei tempi parziali hanno un rendimento di gran lunga superiore alla loro quantificazione ufficiale – ed è la ragione per la quale il padronato, in linea di massima, vi fa ricorso). Ma le considerazioni salariali che abbiamo fatto per questa catena commerciale potrebbero valere anche, dal punto di vista salariale, per altri gruppi (COOP, Migros, etc.) che, comunque, per un’attività a tempo pieno non qualificata (sulla base di 40 o 41 ore), versano un salario di 4’000 franchi per 13 mensilità, cioè 52’000 franchi all’anno.
Naturalmente, come abbiamo detto, andrebbe fatta una discussione più di fondo sul concetto stesso di salario minimo, sulla sua equità concettuale. Non dobbiamo infatti dimenticare, e proprio nei giorni nei quali ricorre il 150° anniversario della pubblicazione de Il Capitale di Marx, che è proprio il lavoro salariato (nei vari stadi del processo di produzione e distribuzione) a contribuire in modo totale alla creazione di ricchezza. Una ricchezza che solo in parte gli viene restituita attraverso il salario diretto, quello indiretto (pensioni) e quello sociale. Porre la questione in termini di salario minimo legale significa in qualche misura legalizzare questo “furto” di ricchezza prodotta immanente al capitalismo e al suo funzionamento.
Ma, messa temporaneamente da parte questa discussione – che pure si deve costantemente tenere presente – bisogna interrogarsi su una serie di criteri che possano evitare di fissare un salario minimo legale che, proposto come strumento di difesa dei lavoratori e di lotta contro il dumping salariale, non si trasformi di fatto in strumento di promozione del dumping salariale.
Abbiamo a più riprese sottolineato questo aspetto (e ci siamo concretamente battuti contro) nella proliferazione in Ticino, nell’ambito delle cosiddette misure di accompagnamento, di salari minimi legali attorno ai 3’000 franchi regolati dai cosiddetti contratti normali di lavoro (CNL) e quindi con salari annuali che si aggirano attorno ai 36’000.
L’introduzione di un salario minimo legale come quelli proposti, attorno ai 3’500 franchi per 12 mensilità, consentirebbe certo di combattere i numerosi casi di supersfruttamento che sempre più spesso vengono denunciati (in particolare in alcune regioni del Ticino) e che rappresentano, val la pena ricordarlo, solo la punto di un iceberg che pensiamo sia abbastanza importante. Anche se questo terreno il problema principale irrisolto è quello del controllo del rispetto di questi salari: un terreno sul quale la situazione appare ampiamente deficitaria visto come sono andate le cose in materia di rafforzamento dell’ispezione del lavoro (sconfitta di misura della iniziativa MPS e approvazione di un controprogetto implementato solo parzialmente, come denunciano anche coloro che lo avevano sostenuto in funzione anti-MPS).
Ma in materia salariale, ed in particolare sulla questione di un salario minimo legale, non basta guardare verso il basso, si deve piuttosto guardare verso l’alto, soprattutto se il salario proposto è molto più basso rispetto al valore generale dei salari realmente versati. Appare infatti chiaro che dal momento in cui si inserisce un salario minimo legale questo entrerà nella dinamica salariale, nel movimento generale dei salari, influenzando tutto il sistema salariale.
Un piccolo esempio. Il contratto collettivo di lavoro nel settore della vendita firmato da OCST e padronato, qualora riuscisse ad essere dichiarato di obbligatorietà generale, introdurrebbe un salario minimo legale per il settore di 3’200 franchi (per 13 mensilità: cioè circa 41’600 franchi all’anno). Ora è evidente che un salario di questo genere diventerebbe il punto di riferimento per lo sviluppo di tutta la dinamica salariale del settore. Certo, non diminuirebbero a breve termine i salari degli attuali occupati presso la grande distribuzione; ma quest’ultima potrebbe sicuramente utilizzare il fatto che pagano già ora salari del 30% superiori (cioè attorno ai 4’000 come nell’esempio che abbiamo citato qui sopra) per rifiutare, ad esempio, qualsiasi miglioramento salariale o contrattuale. Senza dimenticare che i salari individuali superiori pagati in realtà contrattuali importanti (pensiamo al FoxTown dove i minimi salariali sono pure attorno ai 4’000 fr.) rischierebbero di essere messi sotto pressione. Così come lo sarebbe tutta la politica contrattuali dei grandi gruppi di distribuzione che, riferendosi a questo salario minimo legale, potrebbero essere tentati di chiedere condizioni regionali particolari per i loro salari (ad esempio il CCL di COOP o Migros).
Per questo appare assai importante che il salario attorno al quale si lancia la discussione sul salario minimo non diventi uno strumento, e potente, di dumping nel medio – lungo termine: esattamente il contrario di quello che si vorrebbe da chi lo ha promosso.
Le proposte attuali dei favorevoli al salario minimo (a cominciare dai promotori dell’iniziativa , Verdi) si muovono proprio in questa direzione, veri e propri apprendisti stregoni.