di Lucio Finzi
Ci viene spesso ripetuto (lo fa ancora il recente messaggio sul salario minimo) quanto siano importanti i contratti collettivi di lavoro (CCL). Essi sarebbero il pilastro del sistema delle relazioni sociali di questo paese, grazie al quale lo stesso ha potuto raggiungere il proprio benessere.
Questa posizione è difesa dal padronato e dalle organizzazioni sindacali, ripetuto come un mantra indipendentemente dal contenuto di questi CCL, indipendentemente cioè dal fatto che essi rappresentino un progresso materiale e sociale per i salariati che vi sono sottoposti.
Lo stesso ragionamento lo abbiamo visto in materia di salario minimo legale. Anche qui i promotori dell’iniziativa poi approvata dal popolo non si sono preoccupati di fissare un minimo “dignitoso”, non avrebbero nemmeno potuto farlo dal punto di vista costituzionale (e questo la dice lunga sulla dimensione profondamente filo-capitalistica degli assetti costituzionali di questo paese); per poi ritrovarsi, come ora, a dover subire un salario minimo che è una vera offesa alla dignità di chi lavora, come indichiamo in altri articoli su questo stesso numero del giornale.
In realtà la vera discussione non dovrebbe vertere sulla validità di questi strumenti, o sulla superiorità di uno o dell’altro; questi strumenti sono validi non in quanto tali (un CCL o una legge sul salario minimo non è buona di per sé), ma a partire dai loro contenuti, da quello che propongono e dispongono, dai progressi materiali che i loro contenuti permettono di fare ai salariati nelle loro condizioni di vita e di lavoro.
Salario minimo e CCL: stessa lotta?
Quello che sta accadendo in questi ultimi mesi, ancora negli ultimi giorni, testimonia un fenomeno particolare nel quale viviamo una convergenza tra CCL e salario minimo legale tutta tesa non a favorire il miglioramento delle condizioni di lavoro dei salariati, ma esattamente il contrario. Salario minimo legale (ai livelli proposti) e CCL concorrono a spingere i salari verso il basso (rispetto ai salari reali storicamente versati in alcuni settori), rappresentando quindi una combinazione micidiale a sostegno del dumping salariale.
Un esempio spettacolare di quanto andiamo dicendo ci è fornito dal fresco rinnovo del CCL per gli impiegati di commercio firmato dalla Camera di Commercio e da una serie di sindacati, alcuni poco rappresentativi, altri di primaria importanza come l’OCST che,non dimentichiamolo, rappresenta numericamente il sindacato più importante nel Cantone.
Questo CCL ha una portata limitata. Esso vale solo per le 31 aziende che sono firmatarie dello stesso: in tutto sono poco più di 2’000 i lavoratori sottoposti, si e no meno del 10% di quanti lavorano in questo ambito (basti pensare alle compagnie assicurative, alle banche, etc.: insomma a tutto il settore impiegatizio privato non certo di piccole dimensioni in Ticino).
Un CCL che, tuttavia, non nasconde le proprie ambizioni “contribuire allo sviluppo positivo del settore amministrativo ticinese”, promuovendo “…in particolare: lo sviluppo sociale, economico e professionale dell’azienda e dei collaboratori; una moderna organizzazione del lavoro; il mantenimento della concorrenzialità della piazza ticinese in un’economia sociale; soluzioni d’interesse comune fra gli addetti del settore e nei confronti delle autorità e dell’opinione pubblica”.
Ci si può chiedere come uno strumento così limitato possa avere ambizioni così grandi, indipendentemente dal fatto che i sottoscrittori dichiarino di volersi impegnare a fare crescere la rappresentatività di questo CCL, estendendolo ad altre aziende.
Ma, forse, l’obiettivo di simili CCL è un altro. Pensiamo infatti che esso sia proprio quello di dare una sponda alla fissazione di un salario minimo legale sui livelli proposti dal governo. Lo si capisce benissimo quando si va a vedere a quale livello è stato fissato il salario minimo per un “impiegato generico”. Troviamo (per una settimana lavorativa di 42 ore) un salario annuale di 43’290 franchi, pari a 3’330 franchi mensili (perlomeno costoro hanno la decenza di parlare una lingua a tutti comprensibile dividendo questo salario annuale per 13 mensilità).
3’300 franchi è in linea quasi perfetta con quanto propone oggi il governo (ricordiamo che, calcolati su tredici mensilità) le proposte del governo oscillano tra i 3’112 e i 3’195 franchi mensili: se teniamo conto che le proposte del governo partono da una media oraria settimanale leggermente inferiore (41,5 ore, rispetto alle 42 di questo CCL) vediamo che praticamente siamo agli stessi livelli.
A questo punto il gioco è fatto. Come si può criticare un governo che propone un salario minimo legale che corrisponde a quello che le parti sociali hanno appena concordato, attraverso un “sacro” CCL, per un settore importante come quello impiegatizio? Lo stesso ragionamento potrebbe essere fatto con il CCL del settore della vendita i cui salari minimi si avvicinano di molto a quelli proposti dal governo.
Ecco allora che CCL e legge sul salario minimo si riuniscono in una stessa lotta: quella di spingere verso il basso tutto il sistema salariale in una prospettiva di medio-lungo termine. Una lotta di classe: dei dominanti contro i dominati.