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di Ernest Mandel

Era il 7 novembre del 1917 quando l’insurrezione di operai, contadini e soldati conquistò il Palazzo d’Inverno, a Pietroburgo, dando il via alla rivoluzione russa. Cento anni dopo crediamo sia prezioso ragionare su passato e futuro della rivoluzione smitizzandola dalle apologie staliniane, costruite da chi l’ha infangata e tradita, e sottraendola alle mistificazioni di chi da sempre vive nell’incubo che gli oppressi si disfino degli oppressori: i padroni, i loro comitati d’affari e gli apparati della propaganda.

Per questo, nelle ore dell’anniversario, proponiamo il primo capitolo di un volume appena ripubblicato da LaCoRi-Centro Livio Maitan, a cura di Antonio Moscato, tradotto da Titti Pierini, con un’introduzione storica di François Vercammen, prefazione di Franco Turigliatto e la grafica di Fabio Ferri. Si tratta di Ottobre ’17. Colpo di stato o rivoluzione sociale? La legittimità della rivoluzione russa. Il testo (15 euro, spedizione gratis, può essere richiesto alla nostra mail kallemillennium@gmail.com).

E’ in atto in questo momento una vera e propria campagna denigratoria della rivoluzione dell’ottobre 1917, all’Est come all’Ovest. Talvolta essa assume toni odiosi, basandosi su falsificazioni storiche e miti, per nulla diversi dalle falsificazioni e dai miti dello stalinismo. Combatterla non è indispensabile solo da un punto di vista scientifico e politico, ma è anche una ineludibile operazione di pulizia intellettuale. La lotta per la verità è anche una lotta per un minimo di decenza nella vita pubblica.
In questo primo Capitolo torneremo su tre di questi miti che ricorrono più di frequente negli scritti polemici contemporanei.

Il mito del colpo di Stato minoritario
La prima mistificazione riguarda la natura stessa della rivoluzione d’Ottobre. Sarebbe stata semplicemente un diabolico colpo di Stato, diretto da un manovriero magistrale, Lenin, e realizzata da una piccola setta di rivoluzionari di professione. I commenti seguiti al recente tentativo di golpe del 26 agosto 1991, a Mosca, sono da questo punto di vista estremamente significativi. Certuni non hanno esitato a scrivere che un secondo putsch (fallito) aveva permesso, nel 1991, di sopprimere quel che un primo putsch (riuscito) aveva creato nel 1917. La verità è completamente diversa. La rivoluzione d’Ottobre ha rappresentato il punto culminante di uno dei movimenti di massa più profondi che si siano mai conosciuti. All’epoca, in Europa, solo la sollevazione degli operai tedeschi del 1920 in reazione al putschKapp-von Lüttwitz e quella catalana del luglio 1936 contro la presa del potere militar-fascista dei franchisti hanno avuto un’ampiezza paragonabile, ma pur sempre più ridotta e meno prolungata.
Le fonti storiche non consentono dubbi sulla rappresentatività dei bolscevichi nell’ottobre 1917. Non c’è bisogno, per convincersene, di ricorrere agli scritti di coloro che erano più vicini a Lenin.(1) L’ampiezza del movimento di massa prima, durante e dopo l’Ottobre è ormai attendibilmente confermata.(2) Ci limitiamo qui a citare alcune delle tante testimonianze provenienti dagli avversari del bolscevismo.
N. N. Suchanov apparteneva alla corrente social-rivoluzionaria, eppure sottolinea: «[…] i bolscevichi lavoravano ostinatamente e instancabilmente. Stavano con le masse, nelle officine, tutto il giorno. Diecine di oratori, piccoli e grandi, erano attivi a Pietrogrado, nelle fabbriche e nelle caserme, ogni santo giorno. Per le masse, erano diventati parte della loro comunità, perché erano sempre presenti e prendevano le iniziative, nei particolari e nelle questioni più importanti della fabbrica o del quartier militare. Erano diventati l’unica speranza, non fosse altro perché, facendo tutt’uno con le masse, erano prodighi di promesse e di favole affascinanti, anche se semplici. Le masse vivevano e respiravano insieme ai bolscevichi. Erano in mano al partito di Lenin e di Trotskij. Era chiaramente assurdo parlare di una cospirazione militare anziché di un’insurrezione nazionale, quando il partito era seguito dalla larga maggioranza del popolo, quando aveva ormai conquistato di fatto il potere e l’autorità».(3) Lo storico tedesco Oskar Anweiler, severo critico dei comunisti, osserva da parte sua: «nei consigli operai della grande maggioranza delle città industriali e nella maggior parte dei consigli dei soldati delle guarnigioni dell’interno avevano la maggioranza i bolscevichi».(4)
Marc Ferro, un altro feroce critico dei bolscevichi, non può fare a meno di constatare: «in primo luogo, la bolscevizzazione fu la conseguenza della radicalizzazione delle masse e fu pertanto l’espressione della volontà democratica […] La radicalizzazione delle masse si spiega sufficientemente con l’inefficienza della politica governativa (dal maggio con la partecipazione dei socialisti) che, con la scusa della necessità, introdusse una procedura di conciliazione tra classi dirigenti e classi popolari. La trattativa, lungi dal trasformare l’ordine stabilito, lo perpetuava […] Di qui il malcontento, in città e nell’esercito. Perciò coloro che, fin dall’inizio, avevano contestato il principio stesso della collaborazione di classe vennero gratificati, e fra loro i più intransigenti, vale a dire i bolscevichi della tendenza di Lenin. I lavoratori chiedevano condizioni di vita meno disumane. Fu il rifiuto, brutale o furbesco, dei possidenti a portare all’occupazione delle fabbriche, al sequestro dei padroni e poi, dopo l’Ottobre, alla vendetta contro i borghesi. […] Il movimento è sorretto da una base popolare di cui abbiamo descritto le forme organizzative.
Quando i comitati in cui è strutturato partecipano al moto che porta all’Ottobre, la paura della repressione e la collera contro i dirigenti traditori bastano a spiegare un atteggiamento assolutista [!] elementare, senza rapporto con l’assolutismo bolscevico, ma solidale con il movimento da esso animato».(5) Secondo Dan, uno dei principali esponenti menscevichi, alla vigilia dell’Ottobre, le masse «cominciarono sempre più spesso a manifestare la loro scontentezza e la loro impazienza con moti impetuosi e infine si volsero […] al comunismo […]. Gli scioperi scoppiavano uno dopo l’altro. Gli operai cercavano di difendersi dal carovita che cresceva rapidamente, facendosi aumentare i salari. Ma tutti i loro sforzi erano inutili, data la continua svalutazione della moneta. I comunisti lanciarono nelle loro file la parola d’ordine del “controllo operaio” e li consigliarono ad assumere essi stessi la direzione delle industrie, per impedire il “sabotaggio” dei capitalisti. D’altro canto i contadini, per timore che aspettando la convocazione dell’Assemblea costituente le terre dei proprietari sfuggissero loro di mano, cominciarono a occuparle, a cacciare i proprietari terrieri e a bruciare le case padronali […]».(6)
La rivoluzione d’Ottobre si realizzò all’insegna della parola d’ordine “Tutto il potere ai Soviet!”, vale a dire ai consigli degli operai, dei soldati e dei contadini. Lo storico Beryl Williams sintetizza come segue il processo storico che condusse all’Ottobre: «Le masse vedevano nel potere dei Soviet, più che nei programmi dei partiti o nell’Assemblea costituente, la soluzione dei propri problemi. Solo i bolscevichi si identificavano realmente con il potere sovietico […] [Il loro] partito era perciò in grado di cavalcare l’ondata popolare fino alla presa del potere».(7) ricordiamo che al II Congresso dei Soviet i fautori della linea “Tutto il potere ai Soviet!” ottennero il 69,6% dei voti. Al Congresso panrusso dei deputati contadini, riunitosi dal 9 al 25 dicembre del 1917, si registrò una lieve maggioranza (S-r di sinistra e bolscevichi) a favore del potere dei Soviet. Lo storico Anweiler conclude, esaminando l’atteggiamento delle masse verso lo scioglimento dell’Assemblea costituente da parte del governo sovietico nel gennaio 1918: «nel popolo non si registrò quasi nessuna protesta contro il colpo di mano bolscevico e ciò non fu solo una conseguenza delle misure di intimidazione e di repressione dei bolscevichi, allora ancora relativamente “miti”. Altrettanto importante fu la circostanza che i bolscevichi nelle questioni fondamentali della pace e della terra avevano gia’ anticipato le decisioni della Costituente […]. Le masse operaie e contadine erano […] più inclini ad accordare il proprio favore alle misure pratiche del nuovo potere […]. Malgrado le insufficienze organizzative e il sistema rappresentativo spesso difettoso, le masse scorgevano nei soviet i “propri” organismi».(8)

Il mito dell’utopia assassina: il socialismo subito?
Seconda mistificazione, secondo falso storico: i bolscevichi avrebbero realizzato il loro putsch per dare vita in Russia, immediatamente o a breve termine, a una società ideale, a un paradiso in terra. Avrebbero «portato al potere l’utopia», per riprendere l’espressione dello storico sovietico Alexandre Nekrič (che, pure, ci aveva abituati a una maggiore oggettività nei suoi scritti precedenti).(9)
In realtà, la presa del potere da parte dei Soviet aveva lo scopo di realizzare obiettivi molto concreti e precisi: bloccare immediatamente la guerra; distribuire la terra ai contadini; garantire il diritto all’autodecisione delle nazionalità oppresse; evitare la disfatta della “rossa” Pietrogrado, che Kerenskij intendeva consegnare all’esercito tedesco; bloccare il sabotaggio economico della borghesia; instaurare il controllo operaio sulla produzione; impedire la vittoria della controrivoluzione.
Questi obiettivi si possono sintetizzare nella classica formulazione marxista: portare a termine la realizzazione dei compiti storici della rivoluzione democratico-borghese (nazional-borghese), instaurando la dittatura del proletariato; vale a dire: la distruzione dello Stato, in primo luogo dell’apparato statale borghese. La rivoluzione ha conosciuto sicuramente una rapida trascrescenza verso la realizzazione di tali obiettivi sociali, non perché i bolscevichi fossero degli utopisti, ma perché le masse operaie hanno respinto qualsiasi autolimitazione della propria emancipazione, come aveva previsto Trotskij nel 1906. Sentendosi padrone nello Stato e in piazza, non erano più disposte a rimanere subordinate nelle fabbriche, a lasciarsi ancora sfruttare in eterno.(10)
Le iniziative di controllo operaio sono andate moltiplicandosi spontaneamente, nelle fabbriche, alla vigilia e all’indomani della rivoluzione d’Ottobre. Sono anche sfociate semi-automaticamente nell’occupazione e nell’esproprio di fabbriche, quando gli industriali hanno preso l’iniziativa di massicci licenziamenti o di serrate.(11)
I bolscevichi non si aspettavano di realizzare l'”utopia”, cioè il socialismo subito e soltanto in Russia. In realtà, respingevano all’unanimità un’ipotesi del genere. Lenin non ha mai nascosto alle masse russe che, per lui, la conquista del potere in Russia aveva la funzione storica di incoraggiare la rivoluzione internazionale, in primo luogo la rivoluzione tedesca (approfittando del fatto che i rapporti di forza erano più favorevoli al proletariato in Russia che non negli altri paesi del mondo).
Julius Braunthal ha sottolineato come questa questione rivestisse una grande importanza agli occhi di Lenin: «”E’ in gioco l’intero avvenire della rivoluzione operaia internazionale, del socialismo”. E’ l’argomento che ritorna praticamente in tutti gli articoli e in tutte le lettere in cui incalza il Comitato centrale, nell’autunno del 1917, a passare all’azione. Non fa che ripetere: «La maturazione crescente e l’ineluttabilità della rivoluzione socialista mondiale non possono più essere messe in discussione […]. Siamo alle soglie della rivoluzione mondiale. Saremmo veramente dei traditori dell’Internazionale se, in un momento del genere, rispondessimo solo con alcune risoluzioni all’appello della rivoluzione tedesca (ad esempio, [ai marinai] della marina militare tedesca)”».(12)
Non se ne deve dedurre, naturalmente, che nella propaganda bolscevica non sia stato fondamentale un indirizzo socialista, che questo non abbia influenzato se non marginalmente le iniziative concrete che sono state prese. Per Lenin e per i bolscevichi, in quel momento – contrariamente “alle loro posizioni prima dell’aprile 1917” – “potere dei Soviet”, “potere operaio” (od operaio e contadino) e indirizzo socialista erano in pratica considerati sinonimi. Lenin però non ha mai cessato di mettere in evidenza come questo significasse soltanto che si poteva – e si doveva – cominciare a impegnarsi per questa strada e nient’altro.
Lenin sapeva che una società socialista pienamente sviluppata (nel senso tradizionale, marxista, del termine: una società senza classi) avrebbe potuto vedere la luce solo dopo la vittoria della rivoluzione internazionale. Lo ripeteva nel gennaio del 1918, di fronte al III Congresso dei Soviet: «lo non mi faccio illusioni: abbiamo soltanto cominciato il periodo di transizione al socialismo, non siamo ancora arrivati al socialismo. […] Noi siamo lontani anche dalla fine del periodo di transizione dal capitalismo al socialismo. Non ci siamo mai lasciati cullare dalla speranza di poterlo portare a termine senza l’aiuto del proletariato internazionale».(13)

Il mito di un partito-setta di fanatici
Terza mistificazione, terzo falso storico. Il putsch dell’Ottobre 1917 sarebbe stato perpetrato da una piccola setta di rivoluzionari di professione ipercentralizzata, fanatizzata e manipolata da Lenin, avido di potere, e di potere assoluto. In realtà, nei mesi dal febbraio all’ottobre 1917 il Partito bolscevico era diventato un partito di massa, che raccoglieva l’avanguardia effettiva del proletariato russo: i dirigenti naturali della classe, riconosciuti come tali da questa. Il numero dei rivoluzionari di professione (di funzionari) nelle sue file era estremamente ridotto.(14) Era il partito meno burocratico che si sia mai visto. Contava appena 700 funzionari su oltre 250.000-300.000 membri. Tra l’altro, funzionava in modo molto democratico: le discussioni, le divergenze d’opinione erano parecchie e, in genere, si esprimevano pubblicamente.(15)
La libertà d’espressione non riguardava solo qualche dirigente in minoranza che spiegava pubblicamente le proprie posizioni (ad esempio, Bucharin e i “comunisti di sinistra”), incluso in quotidiani non del partito, ma interi organismi del partito stesso. Ad esempio, per mesi, il Comitato di partito di Vyborg spedì nel 1917 i propri agitatori nella flotta del Baltico, per opporsi agli argomenti del Comitato di Pietrogrado, considerato troppo tollerante verso il governo provvisorio.
Due tendenze bolsceviche si sono pubblicamente contrapposte durante le conferenze dei comitati di fabbrica, prima della rivoluzione d’Ottobre. La prima era rappresentata da Miljutin e Larin, sostenuti da Rjažanov, Lozovskij e Šljapnikov, e voleva combinare il controllo operaio con l’obiettivo della pianificazione centralizzata. La seconda, rappresentata da Trotskij e da Čubar, insisteva soprattutto sull’iniziativa di base decentrata.
E’ una tradizione che è rimasta viva. Se ne trova traccia ancora nel 1921, al X Congresso del Partito comunista, quando infuriava la battaglia per vietare le frazioni in seno al PC (ritorneremo dopo su questo Congresso). Nella discussione, Lenin se l’era presa violentemente con Kiselev, un delegato che aveva criticato alcuni poteri disciplinari straordinari concessi dal progetto di risoluzione al Comitato centrale. Poiché i termini polemici erano andati ben oltre il suo pensiero, non esitò a pronunciare subito un’autocritica: «Compagni, mi dispiace molto di aver adoperato la parola “mitragliatrice” e prometto solennemente di non usare in avvenire parole simili neppure in senso figurato poiché esse spaventano inutilmente i compagni, e dopo di ciò non si può più capire che cosa essi vogliano (Applausi). Nessuno si accinge a sparare a nessuno da nessuna mitragliatrice, e siamo assolutamente certi che né il compagno Kiselev, né nessun altro avrà bisogno di sparare».(16)
Il Partito bolscevico era allora un partito estremamente inserito nella società russa e nelle sue forze più vive. Lo ricordava, sei anni dopo la rivoluzione, di fronte all’ascesa della frazione staliniana, la prima Piattaforma dell’Opposizione di Sinistra, con una formulazione sorprendente: «il Partito [era] quella viva collettività indipendente che con sensibilità afferra la realtà delle cose perché è legata a questa realtà con mille fili».(17)
Se la rivoluzione d’Ottobre non è stata un colpo di Stato, non è neanche stata soltanto lo sbocco di un movimento di massa spontaneo. E’ anche stata un’insurrezione metodicamente preparata e condotta dai bolscevichi e dai loro alleati, favorevoli al potere dei Soviet: gli anarchici e i social-rivoluzionari di sinistra. Non si trattava di un’insurrezione clandestina e minoritaria. Si trattava di un’insurrezione organizzata alla luce del sole, fondamentalmente in seno alle istituzioni che emanavano dai Soviet. Era il frutto di una nuova legittimità, impostasi alla stragrande maggioranza dei lavoratori e dei soldati e poi, poco dopo, a una buona parte dei contadini.
La legittimità dei Soviet e dei Consigli di fabbrica prendeva il sopravvento su quella del Governo provvisorio, dello Stato Maggiore militare, dei padroni e dei proprietari fondiari. Nelle fabbriche, gli operai riconoscevano dunque in misura crescente l’autorità dei Consigli di fabbrica anziché quella dei padroni.(18) A Pietrogrado, grazie all’agitazione e all’organizzazione magistralmente dirette da Leone Trotskij, tutti i reggimenti della guarnigione decisero in assemblee pubbliche di non riconoscere più gli ordini dello Stato Maggiore e della gerarchia militare e di riconoscere invece quelli del Soviet e del suo Comitato militare rivoluzionario.
In condizioni del genere ha potuto realizzarsi, il 25 ottobre 1917, il rovesciamento “tecnico” del governo provvisorio, provocando perdite assai contenute: è costato meno morti di quanti non ve ne siano normalmente per incidenti stradali in un normale fine-settimana nei principali paesi europei.(19)
Che cos’è dunque stata, sinteticamente, la rivoluzione d’Ottobre? L’apice di un formidabile movimento di massa, guidato verso la presa del potere da un partito operaio strettamente radicato fra le masse. Un partito che cercava innanzitutto di realizzare i più scottanti obiettivi immediati della popolazione, pur in vista dei più vasti obiettivi socialisti internazionali e nazionali.(20)

Note
1) Cfr. soprattutto: D. Mandel, The Petrograd Workers and the Soviet Seizure of Power, Londra 1984; R. Lorenz, Die Russische Revolution 1917: Der Aufstand der Arbeiter, Bauern und Soldaten, Nymphenburger Verlagsanstalt, 1981; J. Reed, 10 giorni che sconvolsero il mondo, Torino 1971; S. A. Smith, Red Petrograd, Cambridge 1983; e naturalmente L. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, Milano 1964.
2) Cfr., oltre ai testi citati alla nota precedente: E. H. Carr, Storia della Russia sovietica, Torino 1964-1984; G. Comte, La révolution russe par les témoins, Parigi 1963; M. Ferro, La rivoluzione del 1917, Firenze 1974; R. Kohn, Die Russische Revolution in Augenzeugenberichten, Monaco 1977; M. Liebman, Le léninisme sous Lénine, Parigi 1975; R. Medvedev, La rivoluzione d’ottobre era ineluttabile?, Roma 1976; fra le analisi uscite in URSS in epoca post-staliniana, citiamo, specie in rapporto alla classe operaia: A. G. Egorova, Rabocij klas v Oktjabr’skoj revoljutcii, Mosca 1967; G. A. Trukan, Rabocij klas v bobe za pobedu i uptovenie sovetskoj vlasti, Mosca 1975; P. N. Amosov e AA. W., Oktjabr’skoj revoljucij, Mosca 1967; P. N. Amosov e AA. VV., Oktjabrskaja Revoljucija i Fabzavkomy, Mosca 1927.
3) N. N. Suchanov, The Russian Revolution 1917, vol. II, Oxford 1955, pp. 528, 579 (tr. It.: Cronache della Rivoluzione russa, 2 voll., Roma 1967).
4) O. Anweiler, Storia dei Soviet. 1905-1921, Bari 1972, p 337.
5) M. Ferro, Dès Soviets au communisme bureaucratique, Parigi 1980, pp. 139-140, 164.
6) J. Martov, F. Dan, Storia della socialdemocrazia russa, Milano 1973, pp. 244-245.
7) B. Williams, The Russian Revolution. 1917-1921, Londra 1987, pp. 38, 39.
8) O. Anweiler, op. cit., pp. 401-402.
9) A. Nekrič, L’armée rouge assassinée, Parigi 1965.
12) J. Braunthal, Geschichte der Internationale, 2 volI., Berlino/Bonn 1978
13) Lenin, Rapporto sull’attività del Consiglio dei Commissari del popolo, 11 (24) gennaio1918,
in Opere, voI. XXVI, Roma 1966, p. 444.
14) Cercando di dimostrare che fin dagli inizi era presente una tendenza alla burocratizzazione del movimento di massa, M. Ferro dimostra in realt. il contrario. Alla II Conferenza dei Consigli di fabbrica, sui quali prevalentemente i bolscevichi si basavano, i membri direttamente eletti dagli operai erano il 93%, quelli nominati dai sindacati, dai partiti e dai Soviet il 7%. Alla III Conferenza dell’ottobre 1917, tali percentuali diventano rispettivamente: 88% e 12% (M.Ferro, op. cit., p. 118): difficile considerare “burocratizzato” o in via di “burocratizzazione” un organismo con l’88% dei membri che sono operai di fabbrica, eletti direttamente dai loro compagni di lavoro.
15) Trotskij, nella sua Storia della Rivoluzione russa, segnala che il Partito bolscevico designò come suoi rappresentanti nella presidenza al Il Congresso dei Soviet 14 delegati bolscevichi, 6 dei quali si sono opposti all’insurrezione.
16) Lenin, Osservazioni sull’intervento di Kiselev a proposito della risoluzione sull’unità del partito (16 marzo 1921), in Opere, voI. XLII, Roma 1968, p. 261.
17) Da La piattaforma dei 46 del 23 ottobre 1923, pubblicata in appendice a E. H. Carr, Storia della Russia sovietica, vol. lI: La morte di Lenin. L’interregno1923-1924, Torino 1965, p. 344.
18) Cfr. in S. A. Smith (op. cit., pp. 58-60, 63- 64, 85-86. 139 sgg.) le numerose iniziative di controllo operaio nelle fabbriche. Le Guardie rosse furono, del resto, l’emanazione delle milizie istituite dai consigli.
19) «La facile e quasi del tutto incruenta vittoria del 25 ottobre 1917 parve implicare l’assenso della vastissima maggioranza della popolazione, ed . giustificata l’orgogliosa affermazione fatta dai bolscevichi secondo cui, del poco sangue che cost. la rivoluzione, la maggior parte fu sparso nei tentativi che furono compiuti per strappare ai bolscevichi stessi una vittoria gi. conquistata» (E. H. Carr, op. cit., voI. I: La Rivoluzione bolscevica. 1917-1923, Torino 1964, pp. 150-151).
20) S. A. Smith, op. cit., pp. 150-156, contesta giustamente la tesi di parecchi storici occidentali che sostengono che i bolscevichi erano contrari in modo congenito al controllo operaio istituzionalizzato. Purtroppo, per., fa anche lui qualche concessione, basandosi sugli “anni bui” del 1920-1921. AI riguardo, non accenna quasi allo sviluppo delle posizioni di Lenin e di Trotskij al III e al IV Congresso dell’Internazionale Comunista (IC) e a quelle di Trotskij, dell’Opposizione di Sinistra e della IV Internazionale in favore del controllo operaio a partire dal 1923.