di Matteo Pronzini*
Lo scorso 26 ottobre, il sindacato Unia Ticino ha portato alla ribalta la questione dei fallimenti in Ticino e le conseguenze che ne derivano in termini economici e sociali. In particolare è stato sottolineato come si stiano affermando i fallimenti a scopo di lucro. Il quadro è drammatico:
· Nel 2016, la liquidazione di fallimenti ha generato delle perdite finanziarie[1] pari a 198 milioni di franchi;
· In Ticino queste perdite rappresentano, sempre nel 2016, il 5,50% dei ricavi (3,574 miliardi di chf) e il 119% degli investimenti netti (167 milioni di chf) (cfr. Consuntivo 2016);
· In Ticino, negli ultimi 21 anni (1995-2016), la media annua di tali perdite è di 252,5 milioni di franchi mentre la media annua per cantone è pari a 132,4 milioni di franchi;
· In Ticino, nell’arco di 21 anni sono stati polverizzati qualcosa come 5,55 miliardi di franchi sotto forma di perdite finanziarie derivanti dai fallimenti.
La realtà emersa dai dati statistici è resa ancora più inaccettabile dall’affermazione di un fenomeno relativamente recente, ossia quello dei “fallimenti a scopo di lucro”. Il problema fondamentale è che il fallimento si sta progressivamente affermando quale strumento di gestione aziendale, quale strumento illecito per realizzare profitti a scapito dei lavoratori, delle assicurazioni sociali e delle finanze pubbliche (comunali, cantonali e federali).
Sempre più spesso si registrano casi in cui i datori di lavoro non solo non pagano più i salari ma prelevano tutti gli oneri sociali in busta paga senza riversarli alle competenti istituzioni. Lo stesso avviene per le imposte, da quella alla fonte all’imposta sul valore aggiunto. Questi imprenditori infarciscono letteralmente di debiti e precetti esecutivi la propria azienda, per poi fallire tranquillamente. O, peggio ancora, continuano imperterriti e tranquilli a incamerare profitti (occultati a bilancio) e debiti (posti a bilancio) fino al momento in cui uno dei creditori deciderà di avvalersi dell’onerosa procedura di fallimento (anticipo spese).
L’analisi contabile di molti fallimenti, grazie in particolare alle graduatorie nei fallimenti, mostra come sempre più spesso le imprese falliscano lasciando solo qualche spicciolo di attivi ma montagne di debiti. E nella stragrande maggioranza dei casi, questi debiti concernono i salari non versati, gli oneri sociali non pagati e le imposte inevase.
La natura pianificata di molti fallimenti è pure dimostrata dagli scoperti assolutamente marginali nei confronti dei fornitori. In effetti, affinché il meccanismo dei fallimenti a catena possa generare profitti è necessario continuare a produrre (teoricamente anche sottocosto, tanto il margine di profitto è garantito dal mancato pagamento delle spettanze salariali, degli oneri sociali, del pagamento di imposte e tasse…!). Per fare ciò è ovviamente fondamentale non bruciare i ponti, le relazioni con i fornitori (di varia natura), altrimenti il meccanismo salterebbe. In sostanza, il almeno 7 fallimenti su 10 sono riscontrabili crimini fallimentari aventi un carattere penale.
Il funzionamento di questo “metodo” è garantito dal fatto che i promotori dei “fallimenti a scopo di lucro” hanno perfettamente capito di poter agire in questo modo perché garantiti da un sistema che si limita a emettere precetti esecutivi, senza prendere misure, penali e politiche, più radicali. Un settore dell’imprenditoria ha capito che in Ticino l’accondiscendenza politica nei confronti dei fallimenti è tale che questi possono essere usati, né più, né meno, come veri e propri strumenti per agire sul tasso di profitto.
Ed è proprio questo l’aspetto fondamentale di un sistema ormai malato: questi imprenditori, e il loro numero cresce, hanno capito di poter agire in questo modo perché le autorità politiche, le istituzioni pubbliche e para-pubbliche, le amministrazioni, ecc. tollerano questa politica aziendale. Sostanzialmente l’unico segnale di un intervento istituzionale è l’emissione di precetti esecutivi a raffica. Detto altrimenti, questi imprenditori sanno di poter agire nella quasi totale impunità. Esclusi evidentemente i casi perseguiti dagli uffici di esecuzioni e fallimenti, ormai sovraccarichi, le altre istituzioni si limitano esclusivamente a inoltrare un semplice precetto esecutivo. Praticamente nessuna altra iniziativa è intrapresa per contrastare questo fenomeno.
Anzi, gli interventi prospettati dal Governo ticinesi vanno in un senso opposto, ovvero verso un indebolimento ulteriore dall’azione politica necessaria a contrastare con decisione questa deriva. A questa conclusione si arriva analizzando il progetto di “Riorganizzazione dei settori Registri ed Esecuzioni e fallimenti della Divisione della Giustizia”, presentato lo scorso 14 luglio dal Consigliere di Stato Norman Gobbi e dalla direttrice della Divisione della giustizia Frida Andreotti. Un progetto adottato nel quadro delle misure di risparmio contenute nella manovra di risanamento finanziario da 185 milioni presentata nella primavera del 2016 dal Consiglio di Stato.
Il consigliere di Stato Norman Gobbi intende, fra le altre cose, risparmiare 1’460’000 franchi nel solo Settore esecuzione e fallimenti, ossia il principale settore votato alla difesa dei creditori vittime dei fallimenti. Questa misura è tanto più inaccettabile considerando alcuni dati presentati dal Dipartimento delle istituzioni.
Il Settore esecuzione e fallimenti conta 110 collaboratori e una spesa totale di 13,7 milioni di franchi. Le entrate, principalmente rappresentato da quanto recuperato dai fallimenti, ammontano a 24 milioni di franchi. Dal punto di vista finanziario, i tagli proposti (che si tradurranno in massima parte in tagli del personale) non solo non si giustificano ma appaiano ridicoli a fronte di un settore che presente un forte attivo.
Il saldo positivo di 10,3 milioni di franchi permetterebbe di tranquillamente creare 50 posti di lavoro supplementari, altamente qualificati. Con questo aumento di forza lavoro, si aumenterebbero anche le entrate poiché aumenterebbero i crediti recuperati grazie all’azione di questi ufficiali. Questo sarebbe sicuramente un segnale politico di un cantone che ha la ferma intenzione di combattere i crimini fallimentari.
Gli effetti del piano di riorganizzazione elaborato dal Dipartimento delle istituzioni non si fermano qui. Anche la nuova organizzazione del settore è un vettore d’indebolimento della capacità di intervenire su questo fronte. Attualmente il settore è organizzato sulla base di una suddivisione fra Sopra e Sottoceneri, con due responsabili per le due regioni. Il responsabile degli uffici fallimenti del Sopraceneri si occupa anche di allestire, per tutti gli uffici cantonali, le denunce insinuate al Ministero pubblico qualora esista il sospetto di reati fallimentari, facilitando e migliorando il lavoro degli inquirenti. I risultati finanziari citati più sopra, sono anche il frutto di questa impostazione.
Ora, il responsabile del Sopraceneri ha rassegnato quest’estate le sue dimissioni. Nel suo progetto di Riorganizzazione Gobbi ha di fatto approfittato della partenza di questa importante figura dirigenziale per eliminarne il posto. Infatti, dal nuovo assetto del settore esecuzioni e fallimenti è scomparsa la suddivisione in due uffici (Sopraceneri e Sottoceneri), sostituiti da un unico ufficio cantonale accollato all’Ufficio di Lugano. E soprattutto ci sarà un solo responsabile che si troverà ovviamente con un carico di lavoro aumentato e, soprattutto, difficilmente potrà svolgere l’importante funzione di collante con il Ministero pubblico. E così anche sul piano organizzativo e operativo, il settore esecuzioni e fallimenti ne uscirà ulteriormente indebolito.
Il progetto di Riorganizzazione testimonia di come la questione dei fallimenti non costituisca assolutamente una priorità politica, nonostante i segnali indichino chiaramente la gravità della situazione.
Alla luce di quanto sviluppato più sopra, sottoponiamo al Governo i seguenti interrogativi:
1) Perché davanti ai dati pubblici sui fallimenti, in particolare quelli relativi alle perdite derivanti dalle liquidazioni di fallimenti, il Governo non ha concretizzato nessuna misura importante d’insieme per combattere questa grave fenomeno?
2) Se il Governo considera gli elementi statistici esposti nella presente interpellanza come i sintomi di una situazione finanziaria e sociale non più accettabile, è d’accordo, come primo passo concreto, con il ritiro immediato del progetto “Riorganizzazione dei settori Registri ed Esecuzioni e fallimenti della Divisione della Giustizia”, in particolare le misure concernenti il Settore esecuzioni e fallimenti?
3) In questo senso, il Governo come spiega le parole della direttrice della Divisione giustizia Frida Andreotti, la quale, nella Regione del 18 agosto 2017, affermava che il partente responsabile degli uffici fallimenti del Sopraceneri – incaricato di preparare le denunce insinuate al Ministero pubblico in caso di sospetti reati fallimentari perché, come ammesso dallo stesso consigliere di Stato Gobbi nella trasmissione Modem della RSI in data 27 ottobre, “unico avvocato del Settore esecuzione e fallimenti”-, sarebbe stato sostituito nel suo ruolo. Affermazione che invece non trova manifesto riscontro nel progetto di “Riorganizzazione dei settori Registri ed Esecuzioni e fallimenti della Divisione della Giustizia”.
4) Di conseguenza, tenuto conto anche dell’attivo di 10, 3 milioni di franchi registrato nel 2016 dal Settore esecuzioni e fallimenti, il Governo è d’accordo di procedere a un decisivo potenziamento in termini di nuove forze e di nuove competenze, computabili in diverse decine di nuovi posti di lavoro qualificati, del Settore esecuzioni e fallimenti? E ciò anche in considerazione del fatto che questo investimento permetterebbe di aumentare il recupero di masse ingenti di attivi oggi platealmente sottratti all’interesse pubblico.
5) Per legittimare l’importanza di perseguire, anche ricorrendo alla repressione penale dei fallimenti, si chiede allo spettabile Governo di fornire i dati sui recuperi in termini finanziari legati all’azione, nella sua forma attuale, del Servizio esecuzione e fallimenti. Più concretamente, quanti milioni sono stati recuperati grazie alle denunce penali, per crimini fallimentari, effettuate dal Settore esecuzione e fallimenti? Inoltre, quante sono le segnalazioni per crimini fallimentari inoltrate dai servizi dello Stato al Ministero pubblico negli ultimi 5 anni e quante di queste sono state oggetto di una condanna penale?
6) Il Governo è d’accordo che il decisivo investimento nelle capacità di contrastare i fallimenti, in particolare di quelli a scopo di lucro, deve essere inserito in un progetto più ampio, in termini finanziari e organizzativi, di lotta alla criminalità economico e alle forme più brutali – di stampo criminoso – della forza lavoro?
7) Come si può desumere dalle statistiche, negli ultimi 21 anni le perdite dovute alle liquidazioni di fallimenti sono state mediamente di 252 milioni di franchi a livello ticinese. Queste perdite sono dovute anche alla passività politica con la quale il problema è stato trattato dal Governo ticinese. Alla luce di queste considerazioni, il Governo non crede che tutto il pacchetto di risparmi, di tagli della spesa pubblica vada rivista alla luce dei risultati anche finanziari derivanti da una lotta “senza quartiere” ai fallimenti, in particolare nei confronti di quelli criminosi?
8) Alla stessa stregua, queste perdite possono essere considerate come un importante “aiuto indiretto alle imprese”. Detto altrimenti, queste ingenti perdite imprenditoriali sono state scaricate sulla collettività pubblica. Ora, considerata l’urgenza politica e sociale di contrastare e ridurre questo aiuto indiretto all’imprenditoria ticinese, il Governo non considera come ingiustificati i progetti di sgravi attuali e futuri nei confronti delle imprese attive in Ticino? Il Governo non crede che gli sgravi fiscali, presenti e futuri, non abbiano ragione d’essere, alla luce del fatto che la collettività già si accolla le perdite milionarie provocate dalle imprese di questo cantone?
* Interrogazione al Consiglio di Stato del Deputato MPS Matteo Pronzini del 2 novembre 2017.
[1]Le perdite si riferiscono agli attestati di carenza beni emessi a seguito della procedura fallimentare.