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di Antonello Zecca

L’azienda sperava fosse un Black Friday. I lavoratori e le lavoratrici dello stabilimento Amazon di Castel San Giovanni (Piacenza), lo hanno trasformato in un Red Friday.

In uno dei giorni più caldi dell’anno per i profitti aziendali, fa di nuovo irruzione l’arma più classica del movimento operaio, quella di cui molti soloni avevano a suo tempo decretato prematuramente la fine, ma che si dimostra ancora lo strumento più efficace per far male ai padroni. Chiamato da CGIL, CISL, UIL, ma sostenuto immediatamente anche da sindacati conflittuali come il SI COBAS, il primo sciopero in uno stabilimento italiano della multinazionale della logistica sta registrando un indubbio successo: il 50% dei circa 1600 contrattualizzati ha aderito all’astensione dal lavoro sul primo turno di lavoro (06-14). L’azienda annuncia invece un’adesione al 10%, ma omette di aggiungere che può convocare nel frattempo altri lavoratori e lavoratrici interinali per coprire i buchi nella produzione e provare a rompere l’efficacia dello sciopero, con un’attitudine antisindacale degna della fine dell’Ottocento. Inoltre, l’adesione più alta allo sciopero si attende per il turno notturno (dalle 22:45 alle 05:30), in cui ancor più efficace può essere il danno inflitto all’azienda.

Il fatto che anche una certa percentuale dei 2000 interinali presenti in azienda abbia deciso di aderire allo sciopero, nonostante la maggioranza di essi non lo abbia fatto per paura di ritorsioni da parte delle “agenzie di somministrazione”, dà il segnale dell’esasperazione raggiunta dai lavoratori e dalle lavoratrici di Amazon, rappresentativa nella sua particolare crudezza, di tutto il settore della logistica, oggi indubbiamente centrale nel quadro della divisione internazionale del lavoro in cui è inserita l’Italia. Da questo punto di vista, particolare importanza riveste la solidarietà ricevuta da nove stabilimenti Amazon in Germania, che hanno aderito alla protesta, oltre ad un sito francese.

Sebbene media e azienda abbiano proditoriamente sottolineato che la protesta non ha ragion d’essere dal momento che i lavoratori e le lavoratrici Amazon sono i e le più pagati/e del settore (1.450 euro lordi al mese… immaginarsi ciò che accade nelle altre aziende), lo sciopero ha in realtà anche e soprattutto motivazioni che attengono alle durissime e spietate condizioni di lavoro: 17-20 ore di movimentazione merci attraverso lo stabilimento, con relativi infortuni e patologie muscolo-scheletriche che colpiscono anche i e le più giovani, controllo asfissiante sui lavoratori e le lavoratrici, che hanno tempi rigidamente cronometrati e inflessibilmente puniti in caso di non rispetto (le vessazioni sui e sulle dipendenti che si recano ai servizi igienici ha un sapore tardo-vittoriano), per non parlare di depressione, ansia e stress fortissimo che colpiscono un numero molto elevato di dipendenti causando spesso l’abbandono per esaurimento. Naturalmente anche la rivendicazione salariale è forte, rivendicando nello specifico la “riduzione del turnover, l’allungamento della durata dei contratti in somministrazione e la condivisione di percorsi di stabilizzazione, il rispetto della parità di trattamento retributiva sui livelli di inquadramento e sulla negoziazione di premi economici integrativi, un utilizzo corretto del monte ore garantito”.

Questa è la realtà della cosiddetta industria 4.0 che dimostra ancora una volta, e rappresenta al meglio, la capacità del capitalismo di combinare tecnologie estremamente moderne e avanzate e forme di sfruttamento tra le più “antiche”, ma a cui il Capitale ricorre ogniqualvolta sia libero di farlo.

Quasi con una consonanza di intenti, nello stesso momento 800 lavoratori della SAME di Treviglio, organizzati dalle RSU FIOM appartenenti al Sindacato è un’altra Cosa – opposizione CGIL, componevano un corteo multiforme e combattivo recandosi prima alla sede dell’INPS e successivamente al Comune di Treviglio, in sciopero per abrogare la legge Fornero, ritornare al sistema retributivo con 40 anni di contributi e per reclamare a gran voce l’indizione dello sciopero generale. Linee completamente ferme e grande entusiasmo, per una mobilitazione molto ben riuscita.

La giornata di oggi dimostra che:

1) non è vero che, in assoluto, non c’è disponibilità alla mobilitazione da parte di lavoratori e lavoratrici. Anche nelle condizioni di più duro sfruttamento, c’è un chiaro spazio di costruzione per azioni radicali di lotta;
2) questa costruzione, soprattutto in una fase in cui la spinta “dal basso” è molto ridotta, presuppone un’opera costante e quotidiana da parte delle avanguardie sindacali sui luoghi di lavoro, da parte di quel sindacalismo di classe che deve trovare le vie dell’unità d’azione, oltre le divisioni di sigla, oltre rivalità miopi e dannose, a partire dalla costruzione di scadenze concrete di mobilitazione, in cui la convergenza avrebbe un effetto moltiplicatore;
3) c’è la potenzialità di unire e ricomporre le lotte che, pur attualmente piccole e frammentate, esistono comunque su tutto il territorio nazionale, sulla base di una prospettiva e parole d’ordine chiare, in grado di contribuire al superamento delle divisioni generazionali e settoriali per la saldatura di un’unità di classe al cui sabotaggio padroni e governo lavorano quotidianamente in maniera scientifica;
4) c’è spazio per la costruzione di mobilitazioni almeno europee, in cui lavoratori e lavoratrici impiegati/e nella stessa azienda multinazionale possano condurre campagne e vertenze contro condizioni salariali e lavorative che li accomunano, rafforzando l’efficacia della lotta e l’unità oltre le frontiere.

Il lavoro da fare è moltissimo e difficile, ma i segnali che giungono dai lavoratori e dalle lavoratrici in lotta, ci suggeriscono che c’è anche terreno fertile per la ricostruzione di un nuovo movimento operaio e che ci sono buoni motivi per contemperare il pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà.