a cura della redazione
Siamo dunque al momento della verità. Finite le dichiarazioni pompose, finite gli attestati di solidarietà perlomeno insinceri (alla luce di quanto sta accadendo), finite le intenzioni di difendere quello che fino a poco tempo fa era considerato un patrimonio industriale, sociale e, anche, culturale. Secondo il Municipio di Bellinzona, capitanato da Mario Branda, e secondo il governo ticinese, capitanato da Manuele Bertoli, secondo la commissione della gestione del Gran Consiglio (presieduta da Pelin Kandemir Bordoli) è ormai tempo di smetterla con rivendicazioni considerate “massimalistiche” e di adeguarsi al sano realismo rappresentato dalle proposte delle FFS.
Proposte che, va ricordato ancora una volta, si rimangiano quello che negli ultimi tre anni (per non andare ancora più indietro) non solo le FFS hanno sostenuto, ma hanno addirittura fissato in accordi sottoscritti con i lavoratori e con Municipio e Cantone. Ma, si vede che oggi il rispetto di patti sottoscritti poco tempo prima lascia il tempo che trova.
E pensare che a ragionare in questo modo sono aziende che dovrebbero avere una morale da azienda “pubblica” (le FFS) e autorità politiche (il Municipio di Bellinzona e il governo del Cantone Ticino) per i quali il rispetto di accordi sottoscritti dovrebbe avere un valore granitico, come quello delle stesse leggi. Ma sicuramente costoro pensano che si tratta di posizioni “estremistiche” , incapaci di comprendere quanto sia necessario, nella democrazia moderna, lo spirito di adattabilità e flessibilità.
Così oggi tutti corrono verso il 2030, verso la nuova e moderna Officina. Poco importa se essa sarà poco più che un moderno (e sicuramente superattrezzato) deposito, liquidando tutta una tradizione di lavoro, di conoscenze, persino di innovazione vien voglia di dire (perché l’innovazione non è nata certo con l’informatica); poco importa se vi lavoreranno, nella migliore delle ipotesi, 200 lavoratori contro gli attuali 450 e passa occupati nel settore della manutenzione (Officina e altri); poco importa se le prospettive industriali sono di basso profilo tali da non ospitare la manutenzione di prodotti che garantiranno sviluppo e continuità sia dal punto di vista produttivo che tecnologico; poco importa se lo sviluppo di questa ipotesi rappresenta di fatto la condanna a morte del centro di competenza, da tutti indicato come foriero di possibili grandi sviluppi produttivi.
Tutte queste cose al Municipio di Bellinzona e al governo ticinese non sembrano interessare. E sono pronti a mettere sul tavolo più di 100 milioni per un progetto che rischia di valere veramente poco sia dal punto di vista produttivo che da quello occupazionale e sociale. Un progetto che, di fatto, ritorna alle intenzioni già manifestate dalle FFS nel 2008 (ed anche prima: in realtà il declino dell’Officina comincia, come ha giustamente fatto notare di recente Gianni Frizzo, con il processo di divisionalizzazione avviato all’inizio degli anni duemila). Un progetto che, di fatto, vuole annullare l’Officina come entità industriale, chiudendo un ciclo storico durato più di un secolo.
Certo, il mondo cambia ed è necessario andare avanti, aggiornarsi e modernizzarsi. Ma nessuno potrà affermare che in questi anni i lavoratori dell’Officina, sostenuti dalla popolazione e da tutti coloro che si sono messi a disposizione, non abbiano anche proposto soluzioni tese a modernizzare l’attività produttiva. Le proposte (compresa la creazione del centro di competenza) sono sempre venute dalla iniziativa dei lavoratori dell’Officina. Mai da coloro che oggi si apprestano ad assumere i panni del becchino di una grande esperienza produttiva, umana e sociale.
Noi ci opporremo a tutto questo, con tutte le nostre forze saremo, ancora una volta, a fianco dei lavoratori dell’Officina e di tutti coloro che vorranno sostenerli.