di Pablo Stefanoni e Ayelén Oliva*
A Caracas, ci sono venditori ambulanti ed anche alcuni tassisti che ti informano, tramite bigliettini scritti a mano, che oramai accettano solo pagamenti via carta o con il telefonino. Tanti sono i commercianti che accettano di venderti delle merci solo se paghi tramite transazioni bancarie. Il corralito (2) di fatto che limita il ritiro nei bancomat all’equivalente d’un dollaro al giorno, si è così trasformato in una paradossale logica di “bancarizzazione” dell’economia informale ed anche di quella illegale. Quindi, adesso, Nicolas Maduro vorrebbe introdurre la moneta elettronica per poter vincere la “guerra delle banconote”.
Durante le ultime settimane, le penurie son sembrate meno gravi, in ogni caso trattandosi di beni alimentari. Però, i prezzi della maggior parte dei prodotti sul mercato libero sono proibitivi per la maggioranza dei venezuelani. Le lunghe code davanti alle panetterie, alle farmacie o ai supermercati fungono da segnale indicatore dell’arrivo eventuale in negozio di merci a prezzo controllato.
E, come ai tempi dell’Unione sovietica, tanta gente fa la coda senza però sapere cosa potrà comperare. Però tutto serve, che sia per il proprio consumo , per farne incetta o per poterlo semplicemente scambiare con altri beni di consumo. Vivere sta diventando sopravvivere e il “chi non fa prova di ingegno non mangia” sta diventando la versione venezuelana del celebre “chi non lavora non mangia” di socialista memoria. E l’ingegno sta spingendo sempre più la società al di là dei limiti di ciò che è legale e di ciò che non lo è.
In questo scenario di crisi economica esacerbato dal crescente isolamento del governo nei confronti dell’Europa e degli Stati Uniti, tutto lasciava supporre –anche allo stesso Maduro che aveva rinviato le elezioni di un anno- un’amara sconfitta del Partito socialista unificato del Venezuela alle elezioni dei governatori nell’ottobre scorso. E’ quindi fuor di dubbio che la vittoria del chavismo la terza domenica d’ottobre ha scatenato euforia fra le fila pro-governative e al contempo profonde fratture nell’opposizione.
Guerra economica?
La guerra economica è diventata un ritornello obbligato nel discorso ufficiale. Maduro ha spinto la cosa sino ad attribuire ad “sabotaggio internazionale” i ritardi nella consegna delle nuove banconote, stampate in Svezia, chiamate a rimpiazzare quelle di 100 bolivares oramai ridotte ad essere centesimi del dollaro.
Secondo Manuel Sutherland, la “guerra economica si basa sull’idea di una specie di collusione assoluta tra imprenditori locali e stranieri per gonfiare i prezzi delle merci (la cosiddetta “inflazione indotta”) per poterle contrabbandare oppure distruggere. Questo tipo di lock out borghese era già stato sperimentato durante il golpe del 2002 ed il “paro petrolero”, il blocco padronale della produzione di petrolio, ma non è sostenibile sulla durata”. Per questo economista marxista, “le cause della crisi sono altre, come l’esistenza di tipi di cambio-valute differenziati, una massa monetaria aumentata del 330’000%, il deficit fiscale permanente, il problema dell’accesso al mercato delle divise, la caduta generale dell’offerta di beni, la fuga dei capitali (il Venezuela detiene il record mondiale in materia) e la svalutazione meteorica della moneta. Adesso s’è arrivati al punto di chiedere una ristrutturazione del debito estero. Molti di questi problemi si ritrovano in altri paesi dell’America latina dove la sinistra non è al governo, ma nessuno ne parla in termini di guerra economica”.
Anzi, la Bolivia governata da una sinistra “bolivariana” ne è il contro-esempio: il suo modello è elogiato per i suoi tassi annuali di crescita attorno al 5%, per la bassa inflazione e la stabilità macroeconomica, tutte cose che spiegano i successi elettorali della presidenza di Evo Morales da dieci anni in quà.
D’altro canto, una parte consistente del saccheggio delle risorse naturali dello Stato venezuelano è organizzata da settori dell’alta gerarchia statale come risulta dalle rivelazioni del nuovo procuratore di Stato nominato dall‘Assemblea constituente, Tarek William Saab, a proposito di affari multimillionari nell’arco petrolifero del’Orenoco.
In questi giorni in cui il prezzo di un uovo equivale a quello di quattro pieni di benzina, la gestione dei carburanti è fonte di corruzione. E al contrabbando di petrolio con la Colombia partecipano in tanti, funzionari chavisti o membri dell’opposizione, civili o militari, piccoli e grandi. Nello stesso tempo, la carenza di beni a prezzi controllati favorizza la loro rivendita sempre più cara al mercato nero promuovendo la corruzione e contribuendo alla rarefazione dei beni di consumo. D’altronde si racconta che in varie isole dei Caraibi così come nelle città di frontiera si trovano in abbondanza i prodotti alimentari che mancano altrove nel paese.
Conseguenza della crisi, la povertà e l’estrema povertà aumentano e parte delle conquiste sociali degli anni passati diventano vane. Crescono la malnutrizione infantile, le malattie epidemiche come la malaria, la mortalità materna ed infantile legate alla povertà così come ad una severa crisi del sistema sanitario dovuta alla carenza di mezzi e di medicinali essenziali.
Opposizione allo sbando
Di prima mattina lo scorso 18 agosto, l’ex procuratrice generale Maria Luisa Ortega e suo marito, il deputato Gustavo Ferrer, scapparono su un gommone sino ad Aruba dove li aspettava un aereo privato con destinazione Bogotà. Scappavano da Caracas per sfuggire all’ordine di cattura. Non viaggiavano da soli. Li accompagnavano la vice-direttrice del pubblico ministero Carmen Gonzales Sanchez ed il giudice anti-corruzione, Arturo Villar Esteves. Appena giunta all’estero, Ortega Diaz ha ribadito la sua fedeltà al chavismo ed alla costituzione del 1999 diventando così la faccia visibile del cosiddetto “chavismo critico” che, in questi ultimi mesi ha deciso di rompere con Nicolas Maduro.
Alcuni mesi prima, il 1° maggio, il presidente del Venezuela aveva sorpreso tutti convocando un’ Assemblea nazionale costituente, l’ANC, “profondamente operaia, comunale, del popolo”. Non fu difficile capire che con quella decisione il governo cercava una via d’uscita di fronte alla pressione esercitata, nelle piazze, dall’opposizione e che tentava così di riprendere le redini dell’agenda politica. La strategia ha funzionato. E l’insediamento dell’ANC ha rappresentato una svolta nella dinamica politica in corso nel paese.
Dal punto di vista governativo, veniva così bloccata l’emmoragia politica di cui soffriva il governo dalle legislative del 2015, quando perse i due terzi dei deputati all’Assemblea nazionale. L’elezione alla Costituente fece vece di spartiacque “fra chi è leale e chi tradisce”. Fra questi figurava un gruppo nutrito di dirigenti politici che accompagnarono il chavismo durante gli ultimi vent’anni, fra cui Ortega e di Ferrer. E così l’ala ufficiale più dura che s’è ripiegata su se stessa.
Rea d’aver denunciato la rottura dell’ordine democratico con la giudiziarizzazione delle competenze del potere legislativo e d’aver messo in discussione pubblicamente la legittimità della convocazione della Costituente, Luisa Ortega è stata rimossa dal suo incarico e, da quel momento, agisce dall’estero contro il governo. Assume da allora un’opposizione sempre più frontale giungendo persino ad accusare il governo di partecipare a delle reti di narcotraffici.
Il caso di Ferrer è meno noto. Con tre altri deputati della maggioranza, il marito della Ortega ha rotto in agosto -al momento della Costituente- con il PSUV per dar vita ad un blocco indipendente in seno al Parlamento. Con lui, c’è pure l’ex militante comunista e funzionario ai tempi di Chavez, Eustoqui Contreras. E’ lui che si è pubblicamente chiesto: “avremo due constituzioni chaviste oppure una costituzione chavista rimpiazzerà un’altra costituzione chavista?”. Aveva anche suggerito invano una consultazione popolare preliminare all’elezione della Costituente sulla pertinenza di tale elezione.
Però, le conseguenze più gravi della elezione della ANC si sono fatte sentire in seno all’opposizione. Creata nel 2009 con l’unico scopo di raggruppare le forze opposte al chavismo, la Mesa de unidad democratica, la MUD, soffre di una crisi interna tanto forte che la spinge al bordo della dissoluzione, una situazione che pochi potevano immaginare dopo il trionfo elettorale del 2015. Più matrimonio d’interesse che matrimonio d’amore, sino ad ora, la MUD aveva saputo far convivere espressioni politiche tanto diverse quali, da un lato, i vecchi storici avversari di Accion democratica e COPEI -i due partiti che governarono alternativamente il paese dal 1958 all’arrivo al potere di Chavez- con forze nuove come Primera Justicia, il partito dell’ex candidato alla presidenza ed ex governatore dello Stato di Miranda, Henrique Capriles, e Voluntad popular, il partito di Lepoldo Lopez -accettato come membro d’una Internazionale socialista dai confini ideologici assai flesibili, malgrado la sua prossimità con la destra di Miami.
Dopo mesi di scontri di piazza -più di cento sono stati i morti- ed un referendum dell’opposizione svoltosi senza la presenza di osservatori internazionali ed al quale hanno preso parte più di sette milioni di persone, l’ANC è entrata in funzione con una legittimità discutibile visti i sospetti di frodi elettorali ed il rifiuto dell’opposizione di partecipare alla sua elezione. Quindi, nessuno si aspettava quanto poi successo il 15 ottobre. Il colpo è stato particolarmente duro per una MUD che nel 2015 aveva, grazie alla maggioranza ottenuta al Parlamento, ripreso per la prima volta il controllo di uno dei poteri in Venezuela e che contava ormai su un futuro di vittorie.
Già paralizzata dalle misure amministrative prese nei suoi confronti da un tribunale costituzionale al servizio del governo, l’Assemblea nazionale, cioè il parlamento si è trasformata in strenua sostenitrice del rispetto della Costituzione chavista del 1999. Per giorni, le reti sociali hanno allora riecheggiato degli insulti massicciamente proferiti all’indirizzo dei leader dell’opposizione da parte delle loro stesse basi. La delusione è stata tanta e ha alimentato l’astensionismo. Così la fortezza che sembrava sul punto di cedere per la rima volta da tre decenni s’è rivelata, una volta ancora, inespugnabile. Riaffiora cos ìl vecchio dibattito strategico: la piazza o le urne?
Conigli per la rivoluzione?
Alcune settimane or sono, il presidente del Venezuela ha annunciato la sua volontà di incrementare l’allevamento di conigli per far fronte alla crisi alimentare. Le burle, dentro e fuori dal Venezuela, non si sono fatte attendere mentre lo stesso Maduro si ingegnava a spiegare con tanto di calcoli e diagrammi l’apporto alimentare che si poteva sperare in funzione differenti ipotesi di riproduzione per poi biasimare quanti, in Venezuela, considerano i conigli più come mascottes che come un genere alimentare.
Però, quello dei conigli non è un aneddoto isolato, anzi, è intimamente legato al ruolo dei Comitati locali di approvviggionamento e di produzione, noti come CLAPS, una delle basi della soppravivenza elettorale e politica del governo. Una publicazione recente dedica ampio spazio all’unità socioproduttiva dei pompieri di Del Valle con tanto di foto di pompieri che esibiscono fieramente, tenendoli per le orecchie, conigli dai vari pellami e finisce per rivendicare “tutto il potere ai CLAPS”. Nel contesto di crisi alimentare, i CLAPS, responsabili della distribuzione, casa per casa di borse di beni alimentari a basso prezzo, si trasformano in strumenti di politica (e controllo) sociale assai efficace.
Se il chavismo non brilla certo per la sua efficienza in termini di gestione, è stato però capace di avviare un’infinità d’organizzazioni e programmi sociali. Così come le celebri “Misiones” (3) furono decisive per il trionfo di Chavez nel referendum revocatorio del 2004, esistono oggi centinaia di forme di una supposta “democrazia partecipativa” costitutive di quel “potere comunale”, chiamato dall’immaginario del chavismo più radicale a sostituirsi alla democrazia borghese.
Ci sono quindi decine di migliaia di persone attive in un ambito sovra-ideologizzato di denuncie costanti di nemici della rivoluzione e di proselitismo permanente, c’è una mobilitazione profonda del “sottosuolo della patria” di cui l’opposizione non riesce a capire l’importanza in un contesto di forte segregazione territoriale. “Qui non si parla male di Chavez” indicano cartelli posti in diversi spazi di Caracas o le sigle di certe reti televisive statali.
Legati ad altre strutture come le Unità di battaglia Hugo Chavez, il fronte Francisco Miranda, le milizie (4) o i procuratori popolari (la cui funzione è la denuncia degli speculatori), i CLAPS controllano la distrubuzione di prodotti importati ad un tasso di cambio di 10 bolivares per un dollaro allorché il corso al mercato nero è di 40’000 bolivares per un dollaro. Enormi sono dunque le opportunità di approfittare di questa situazione con un conseguente massiccio sviluppo della corruzione.
Chi ha votato con i piedi e chi non ha votato
E’ l’Assemblea costituente, una specie di potere di fatto che prende le decisioni per acclamazione, che aveva fissato le elezioni dei governatori che tanto aspettava l’opposizione. Rimandata da più di un anno da Maduro che aveva decretato l’impossibilità di indire elezioni al momento in cui l’opposizione cercava di destabilizzarlo, la scadenza elettorale era particolarmente attesa dall’opposizione che si preparava oramai a dare la stoccata finale al governo.
E’ la ragione per la quale, man mano che nella notte del 15 ottobre si contavano i voti, i risultati, hanno avuto l’effetto di una bomba. Sembrava un quesito impossibile da risolvere. Ma com’era possibile che il governo vincesse in diciotto dei ventitre collegi? Com’era possibile che, nel bel mezzo di una crisi dalle dimensioni spettacolari, i candidati governativi registrassero il 54% mentre l’opposizione, con i suoi 45% era ben lontana dai 70% pronosticati?
Le forze di governo hanno più o meno conservato i sei milioni del 2015 mentre l’opposizione ne ha persi milioni. Così, il PSUV ha conservato 15 dei 20 governatorati vinti nel 2012; ne ha persi 5, ma ne ha anche strappati 3 all’opposizione: quelli di Miranda, Lara e Amazonas. Dal canto suo, l’opposizione ha perso questi ultimi tre, ma ne ha vinto cinque, mentre ci son state accuse di frodi in un governatorato.
Si è certo giocato su un campo inclinato in favore della squadra governativa grazie ai mezzi messi a disposizione, alla nomina in alcuni governatorati di “protettori”, una sorta di governatori paralleli finanziati dal governo o al ricorso alla tattica del “topo folle” consistente a cambiare all’ultimo momento i luoghi dei seggi elettorali dove la gente poteva votare. Però, le denuncie per frodi vere e proprie si limitano allo stato di Bolivar, nella zona mineraria dell’Orenoco dove pochi voti separano il candidato governativo da quello dell’opposizione.
L’appello all’astensione lanciato da una parte dell’opposizione che non voleva riconoscere la legittimità dell’autorità elettorale qualificata come “serva del governo” ha pure giocato un ruolo. Così come l’hanno anche giocato le migliaia che “hanno votato con i piedi”, emigrando. “2,2 milioni di Venezuelani hanno smesso di votare. E’ così che l’opposizione ha perso per 765’000 voti”, cerca di spiegare quella parte dell’opposizione che ha rifiutato l’astensionismo.
Poi, l’ultimo colpo dato ad una opposizione perlomeno traballante è stato l’obbligo fatto ai governatori eletti di prestare giuramento di fedeltà davanti alla nuova assemblea constituente ponendoli in tal modo davanti a un dilemma: giurare e riconoscere di fatto la Costituente oppure essere dimessi. Se tutti concordavano nella denuncia della legittimità della nuova assemblea, le opzioni però divergono: così, mentre dalla tribuna del Parlamento il suo presidente Freddy Guevara (di Voluntad Popular) spiegava che solo la radicalizzazione della rivolta nelle piazze (senza che però ci siano né le forze né la determinazione ad occupare le piazze) sarebbe in grado di dare una via d’uscita alla crisi attuale, l’ex-presidente del legislativo, quel vecchio Zorro di Henry Ramos Allup, dissentiva vistosamente scutendo enericamente la testa.
Le divergenze tra Accion Democratica e Voluntad Popular sono sempre più profonde. “Le dittature si abbattono con i voti, non a colpi di fucile”, ha concluso Ramos Allup, dirigente di Accion democratica (AD)un partito dalle origini anti-imperialiste fondato negli anni quaranta sulla base delle idee “apriste” di Victor Haya de la Torre. (5)
Seppur molto indebolito dal ricordo del Caracazo (6) e delle centinaia di morti quando governava Carlos Andrès Perez, AD, il partito del mitico Romolo Betancourt (7) conta oggi quattro dei cinque governatori eletti nei ranghi dell’opposizione. Questi hanno prestato sermento davanti a Delcy Rodriguez, la presidentessa dell’assemblea nazionale constituente, mentre il governatore eletto dello stato di Zulia, membro di Primera Justicia è stato allontanato dalle funzioni alle quali aspirava per aver rifiutato di riconoscere di fatto l’ANC.
Accusata di “tradimento” da Henrique Capriles, l’ex candidato alla presidenza contro Maduro, AD, che non fu per caso il grande partito populista della storia del Venezuela, sta guadagnando spazi nell’oposizione e potrebbe cambiare la dinamica che prevale dalla morte di Chavez nel 2013 con Capriles e Lopez quali soli punti di riferimento dell’opposizione.
Paradossi
In questo contesto di crisi, l’introduzione del “Carnet de la Patria”, un documento d’identità elettronico indispensabile per potere accedere ai beni alimentari e di prima necessità ed alle prestazioni sociali, appare come una forma di “biosorveglianza” che alimenta i fantasmi dell’opposizione. A partire da questo tessuto di “potere popolare”, il governo ha meso in atto una specie di politica delle “necessità vitali” con la quale, sino ad un certo punto, non solo neutralizza le critiche dell’opposizione, ma trae addirittura vantaggi politici da una situazione di crisi e di difficoltà dalla quale dovrebbe invece uscire avvantaggiata l’opposizione.
Un esempio di questi paradossi è quello dei cosiddetti “collettivi”, una variopinta rete di organizzazioni armate, più o meno autonome, spesso motorizzate, che non solo controllano la distribuzione dei beni alimentari ma che al contempo garantiscono una certa foma di sicurezza nei quartieri di una delle città più pericolose del mondo. Lo stesso governo aveva provato a prenderli in mano per farne degli strumenti di controllo politico però, siccome l’eliminazione pura e semplice dell’opposizione non è possibile, sono i “coletivos” che stabiliscono le variegate forme locali di tolleranza dell’espressione politica dell’opposizione. Così, per esempio, un’importante dirigente giovanile di un partito d’opposizione ci raccontava che, malgrado esplicite intimidazioni fisiche, i “coletivos” del suo quartiere tollerano la sua presenza nel Consiglio comunale per non esasperare un crescente malcontento popolare. D’altronde, si pensi solo al fatto che nel 2015, quartieri emblematici come quello del “23 gennaio” dove votava Chavez -e dove riposano i suoi resti- furono conquistati dall’opposizione.
Il disprezzo per Maduro, le conseguenze disastrose di quattro mesi di proteste, la stanchezza sociale, il rifiuto della violenza, la riconversione delle energie di ognuno verso le esigenze della sopravvivenza quotidiana così come il timore del popolo chavista di un revanscismo dell’opposizione spiegano, a dosi variabili, un risultato che ha sorpreso tutti. Tuttavia, la congiuntura attuale non può essere capita senza tener conto dell’imponente spiegamento amministrativo, del controllo di parte del reddito petroliero da parte di settori governativi, dell’adesione militare (per ragioni politiche ed economiche) al governo e dei vari modi in cui s’è inclinato il campo da gioco in favore del potere.
Adesso, Maduro è talmente entusiasta che ha già convocato un nuovo scrutinio per eleggere i sindaci (8) e si dice addirittura che starebbe pensando ad elezioni presidenziali anticipate. Divisa, l’opposizione ha annunciato che non vi prenderà parte sperando di potersi ricompattare. Però, in quel caso, moltissimi sarebbero i sindaci, membri dell’opposizione, che perderebbero il posto e che chiedono quindi di non boicottare l’elezione.
“Il Venezuela è il Venezuela, fottuti ma felici” ha sintetizzato Maduro in una specie di essenza antropologica del carattere nazionale. Se la “felicità” è discutibile, è certo che “il Venezuela è il Venezuela”: hanno finalmente incominciato a capirlo quanti azzardarono pronostici troppo sicuri per una realtà troppo inafferrabile.
* Rispettivamente, redattore responsabile della rivista Nueva Sociedad e docente di giornalismo.
(1) Nel 2016, l’inflazione ha raggiunto tassi di poco superiori al 250% e il Fondo monetario internazionale prevede un’inflazione del 652% nel 2017 e di più del 2300% nel 2018. E quest’anno, il PIL dovrebbe essere del 20% inferiore a quello dello scorso anno.
(2) Corralito: è il nome che fu dato alle misure economiche prese in Argentina il primo dicembre del 2001 per far fronte alla penuria di banconote limitando le possibilità di ritirare soldi al di là di 250 pesos alla settimana. Il termine prende origine dal corral, il recinto, che imprigionava le mandrie.
(3) Le Misiones, programmi sociali lanciati da Chavez dopo il colpo di stato del 2002 in materia di alimentazione, educazione, salute pubblica e educazione, supponevano un’importante e strutturata partecipazione popolare
(4) La Milicia nacional bolivariana è composta da circa centomila civili armati dal governo che ha già annunciato la sua volontà di portarne gli effettivi a 500’000
(5) L’APRA, Allianza popular revolucionaria americana, movimento pan-americanista fondato dall’uomo politico peruviano Victor Haya de la Torre nel 1924. Antimperialista e anticomunista, l’APRA rivendicava delle soluzioni indo-americane ai problemi dell’America latina ed ebbe successi più o meno importanti nei vari paesi portando uno dei suoi, Alan Garcia, alla presidenza del Perù nel 1984.
(6) E’ chiamata Caracazo la terribile repressione (con forse tremila morti) con la quale Perez mise fine, nel febbraio dell’89, alla rivolta popolare contro l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e la volontà di privatizzazione di parte del settore pubblico.
(7) Romulo Betancourt, 1908-1981, fondatore nel 1937 di Accion democratica, a due riprese presidente del Venezuela, dal 1945 al 1948 e dal 1959 al 1964, fu l’ispiratore della Costituzione del 1963 che permise le prime vere elezioni democratiche nel 1964. Due anni prima, era sfuggito ad un attentato contro la sua persona organizzato da Rafael Lenidas Trujillo, dittatore della Repubblica dominicana, ciò che contribuì non poco al suo mito.
(8) L’elezione dei sindaci avrebbe già dovuto aver luogo più di un anno fa, ma, nel timore di una conferma della vittoria delle destre del dicembre del 2015, era stata sospesa.
Tratto da: www.revistaanfibia.com. La versione italiana è stata curata da Paolo Gilardi ed è apparso sul sito http://rproject.it