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a cura della redazione

1. Questo autunno catalano ha rappresentato una sfida al regime del 1978 che non ha precedenti dai tempi della transizione [1]. L’autorganizzazione del 1° ottobre e lo sciopero generale del 3 [ottobre] sono stati i due grandi momenti di scavalcamento delle forze istituzionali, che hanno ampliato la base dell’indipendentismo e facilitato, quanto meno temporaneamente, l’alleanza fra indipendentisti e non-independentisti, in uno scenario in cui la mobilitazione popolare assumeva il protagonismo politico. È a partire da qui che si devono affrontare, con autocritica e audacia, le sfide che ci attendono. La risposta repressiva del regime – con l’applicazione dell’[articolo della Costituzione] 155, le incarcerazioni [di alcuni leader indipendentisti] e l’imposizione di elezioni il 21 dicembre che ne è derivata – ha prodotto una situazione di impasse, aggravata dal fatto di non aver approfittato della spinta popolare per sviluppare una strategia di ruptura costituente in grado di mantenere l’unità del blocco formatosi il 1° e 3 ottobre. A distanza di due mesi dal 1° ottobre riteniamo che sia necessario un riorientamento strategico del sovranismo che, nonostante il contesto elettorale, è imprescindibile per poter affrontare questa difficile congiuntura in cui ci troviamo.

2. Riteniamo che questo riorientamento debba avvenire su basi popolari, sociali, sovraniste e di ruptura. Il processo [indipendentista] aveva prodotto un rapporto di forze sfavorevole per le sinistre negli ultimi anni. Il ruolo sovradimensionato del PDeCat ha sistematicamente impedito di collegare la volontà indipendentista con la volontà di mutamento sociale rispetto all’austerità e al precariato. Abbiamo da sempre ritenuto che [la possibilità di] una trasformazione sociale in Catalogna dovesse basarsi sulla capacità di coniugare entrambe le esperienze di massa emerse dal 2011: il 12 maggio, con ciò che ne è derivato, e il processo indipendentista. Coniugarli comporta necessariamente cambiare la politica delle alleanze praticata in questi ultimi anni in Catalogna e un salto nei rapporti di forza delle sinistre. Ciò che, inoltre, si rivelerà fondamentale per contrapporsi alla minaccia del fascismo e dell’estrema destra che la svolta autoritaria del regime ha generato e che rientra nelle tendenze in atto su scala europea.

3. Noi di Anticapitalistes sosteniamo e partecipiamo a Catalunya en Comú Podem, una forza politica che abbiamo costruito auspicando che si configurasse come un progetto rupturista, popolare, sovranista, sostenitore della proposta d’una Repubblica Catalana, di una profonda trasformazione sociale e radicalmente democratica. Catalunya en Comú Podem può essere in grado di collegarsi con i settori operai e di lavoratori della città di Barcellona e di altri municipi catalani, potendo costituire un argine che vi impedisca la penetrazione dell’autoritarismo, che sbarri il passo a Ciutadans ed eviti la ricostruzione del PSC. Ed esprime politicamente settori sociali di lavoratori decisivi per produrre un mutamento nei rapporti di forza nella poltica catalana.

4. Perché questo mutamento sia possibile occorre che le sinistre indipendentiste e i sovranisti sostenitori del diritto a decidere [dret a decidir] diano prova di generosità. Ciò presupporrebbe un mutamento nella politica delle alleanze e la costruzione di una maggioranza costituente di sinistra in Catalogna, che escluda i partiti che hanno permesso il 155 (PP, Ciutadans e PSC), ma anche la destra catalana che s’è opposta sistematicamente allo sviluppo di un piano di emergenza sociale. In questa prospettiva, e in modo complementare al nostro appoggio e alla nostra partecipazione alle liste di Catalunya en Comú Podem, ci auguriamo buoni risultati anche per la CUP, con la quale già abbiamo esperienze comuni in diversi spazi sociali e municipi e nei cui confronti riteniamo di debbano tendere ponti politici dopo il 21 dicembre.

5. Tuttavia, il 21 dicembre non risolverà di per sé i problemi di fondo che abbiamo di fronte. Le difficoltà cui s’è urtato il Govern catalano persisteranno. Dopo il 1° ottobre – e lo ribadiamo qui, nella prospettiva dei prossimi mesi – abbiamo sostenuto la necessità dell’apertura di un processo costituente. Un’apertura che ruoti attorno alla mobilitazione e agli spazi sociali di base (come i CDR) e che garantisca il protagonismo popolare. È fondamentale vincolare la difesa della sovranità della Catalogna alla lotta contro l’austerità e la precarietà: unico modo di costruire maggioranze e avanzare verso una autentica trasformazione sociale. Una apertura, inoltre, che non escluda un possibile rapporto (con)federale con lo Stato [spagnolo] – aprendo così a settori delle classi lavoratrici che non si sentono interessati dal processo indipendentista – e sia in grado di propagare ovunque la sfida allo Stato. Quanto alle nostre, di sfide, sono ancora quelle: in questa fase, saranno fondamentali la capacità di costruire alleanze interne ed esterne e di procedere nell’approfondimento dell’autorganizzazione popolare.

Catalogna, 18 dicembre 2017

[1] Per “regime del 1978” si intende quello emerso alla fine della transizione dal franchismo alla democrazia, avvenuto sulla base di un compromesso fra le forze principali della sinistra (socialisti e comunisti), le componenti centriste e la parte “aperturista” dell’apparato e del personale tardo-franchista. Per non appesantire oltre misura questo breve testo, si sono raccolti in un succinto glossario sigle e termini non usuali per chi non segue dappresso le vicende catalane e spagnole.
Titolo originale: Comunicat d’Anticapitalistes de Catalunya devant les eleccions del 21D.
http://www.anticapitalistes.net/spip.php?article7519

Miniglossario

Catalunya en Comú Podem. È la coalizione catalana di sinistra formata da Podem, branca locale di Podemos, e da Catalunya en Comú, che a sua volta è formata da Barcelona en Comú (il movimento della sindaca Ada Colau), dagli ambientalisti di Equo, e da Iniciativa per Catalunya Verts ed Esquerra Unida i Alternativa, due partiti derivati dalle crisi ed evoluzioni/involuzioni del partito comunista catalano, il PSUC (Partit Socialista Unificat de Catalunya).

CDR, Comités de Defensa de la República. Organismi di autorganizzazione sorti nell’ottobre scroso, dapprima per facilitare lo svolgimento del referendum per l’indipendenza (inizialmente, una sorta di servizio d’ordine), poi con compiti più ampi. Alcuni sarebbero stati costituiti per iniziativa della CUP, altri in modo spontaneo. Secondo i loro portavoce, ve ne sono attualmente più di 250.

Ciutadans. Branca catalana di Ciutadanos, movimento antiseparatista di centro/centrodestra formatosi alcuni anni fa proprio in Catalogna e poi estesosi al resto della Spagna. All’origine concorrente “da sinistra” del Partido Popular, sulla questione catalana ha poi scavalcato a destra il PP, diventando un suo serio concorrente.

CUP, Candidatura de Unitat Popular. Organizzazione anticapitalista e pancatalanista, con funzionamento assembleare, di cui fanno parte diversi movimenti (Endavant, Maulets, MDT eccetera). Con i suoi 10 deputati nel Parlament catalano ha reso possibile la formazione del governo di Puigdemont.

PDeCat, Partit Demòcrata Europeu Català, il partito di Puigdemont, attualmente autoesiliatosi in Belgio. Partito di centrodestra, prima autonomista poi indipendentista, è la “rifondazione” di Convergència Democràtica de Catalunya, una delle due gambe su cui si reggeva la coalizione Convergència i Unió, che ha governato la Catalogna nei decenni trascorsi. L’altra “gamba”, Unió Democràtica de Catalunya, contraria all’indipendenza, è ora ridotta ai minimi termini, e alcuni dei suoi esponenti si candidano nelle liste del PSC.

PP, Partido Popular. Attualmente al potere e diretto da Rajoy. Erede di Alianza Popular, il partito fondato dal dignitario franchista Fraga Iribarne nella metà degli anni Settanta, è lo strumento di raccolta dell’elettorato conservatore, compresa buona parte delle sue frange d’estrema destra. Nella crisi catalana è stato a volte criticato per la sua “mollezza” da Ciutadanos.

PSC, Partit dels Socialistes de Catalunya. Branca catalana del socialismo spagnolo, è formalmente un partito indipendente dal PSOE (Partido Socialista Obrero Español). Attualmente diretto da Iceta, è su posizioni antindipendentiste ma meno oltranziste di quelle assunte dalla sua casa-madre.

Ruptura, “rottura”. Una strategia di ruptura con il franchismo era comune a molte forze di sinistra e anche democratiche borghesi nelle fasi finali del regime. La maggior parte delle quali hanno poi scelto la via del compromesso su ricordata. Da allora si parla di ruptura con riferimento all’attuale sistema politico spagnolo, “ingessato” sino a pochi anni fa in un bipartitismo sempre più immobilista. Nel caso catalano la ruptura è “costituente” perché dovrebbe preludere alla “costituzione” di una Repubblica catalana.

12 maggio, di solito abbreviato in 12M, è la data in cui si è manifestato, nel 2011, il movimento degli Indignados, una parte del quale ha poi trovato espressione politica in Podemos.