di Jonathan Cook
Misure destinate ad annettere le colonie, trasformazione in no man’s land dei quartieri palestinesi, intensificazione della pressione sui palestinesi di Gerusalemme, … Israele è pronto a tutto pur di poter assicurare la supremazia ebraica sulla città. Una ricostruzione dei precedenti dell’iniziativa di Trump in un articolo del 23 novembre. Per capire come funziona quella che pretende di essere la “sola democrazia” del Medio Oriente…
Israele sta attualmente disponendo gli ultimi tasselli di una Grande Gerusalemme ebraica che, secondo le organizzazioni di difesa dei diritti umani, renderà necessaria una “pulizia etnica” diretta contro decine di migliaia di Palestinesi che dovranno essere cacciati da una città nella quale le loro famiglie vivono da generazioni.
Secondo le organizzazioni di difesa dei diritti umani e dei ricercatori palestinesi, il ritmo delle trasformazioni fisiche e demografiche operato nella città si è considerevolmente accelerato da quando, più di dieci anni fa, Israele incominciò a costruire una paratia di acciaio e cemento armato attraverso i quartieri palestinesi.
Secondo loro, Israele si preparerebbe ad ancorare nella legge i cambiamenti già intervenuti sul terreno. Ed i contorni del futuro di Gerusalemme si disegnano attraverso due progetti di legge parlamentari difesi dai ministri del governo.
Uno di questi progetti mira ad incorporare a Gerusalemme i 150.000 ebrei che vivono nelle colonie illegali alle porte della città, in Cisgiordania. Oltre al fatto di aumentarne la popolazione ebrea, una tale misura rafforzerebbe il posizionamento di Gerusalemme sempre più a destra dello schieramento politico nella misura in cui questi coloni supplementari avrebbero il diritto di voto alle prossime elezioni municipali.
L’adozione dell’altro progetto di legge priverebbe dei loro diritti i centomila Palestinesi che vivono dal lato “sbagliato” della barriera. Saranno assegnati ad una collettività locale separata, riservata ai soli palestinesi, ciò che fa temere agli osservatori che si tratti del preludio alla privazione del loro diritto di residenza e ad una proibizione pura e semplice dell’accesso a Gerusalemme.
Si tratta in un primo tempo, di incoraggiare la partenza spontanea dei palestinesi tramite un intreccio di politiche crudeli fatte di arresti notturni, penuria di terre, demolizione delle case oppure di impedire loro l’accesso ai servizi di base.
“Queste misure sono destinate ad anticipare eventuali futuri sforzi di pace ed a annientare di fatto le pretese palestinesi di fare di Gerusalemme Est la capitale del loro stato” ha dichiarato Aviv Tartasky, ricercatore a Ir Amin, un’organizzazione israeliana che esige un equo trattamento per i palestinesi di Gerusalemme.
“E’ una pulizia etnica senza armi, quella che si sta attuando in questo momento, ha indicato Tartasky a Middle East Eye. Israele spera di potersi sbarazzare, tramite misure legislative, di un terzo della popolazione palestinese di Gerusalemme”.
Timori demografici
Le preoccupazioni demografiche israeliane a proposito di Gerusalemme risalgono al 1967, anno in cui lo Stato occupò e annesse Gerusalemme Est, raggruppandovi la cospicua popolazione palestinese, mentre la parte occidentale della città diventava sempre più ebrea. Da allora, Israele ha allargato i limiti municipali della città in modo da annettere furtivamente dei territori della Cisgiordania.
Sin dall’inizio, Israele aveva fissato al 30% della popolazione il limite massimo di palestinesi che vivevano in quella che aveva designata come la nuova “capitale unita ed eterna”, però ha perso questa battaglia. Infatti, in ragione di una natalità palestinese più alta, più di 315.000 Palestinesi vivono oggi a Gerusalemme Est, ciò che rappresenta circa il 40% della popolazione totale della città. E secondo alcune proiezioni demografiche, i palestinesi potrebbero diventare maggioranza nello spazio di un decennio.
Malgrado il fatto che pochi palestinesi abbiano domandato o ricevuta la nazionalità israeliana e malgrado il fatto che praticamente non uno solo di loro voti alle elezioni municipali, Israele teme che il loro crescente peso numerico renda sempre più fragile il suo dominio sulla città.
“Quanto vediamo a Gerusalemme è un regime d’apartheid in divenire” ha dichiarato a MEE, Mahdi Abd al-Hadi, un universitario palestinese basato a Gerusalemme. “Le politiche israeliane sono dettate da considerazioni demografiche e ciò crea un enorme fossato tra le due società. I palestinesi sono soffocati”.
“Save Jewish Jerusalem”
La paura di perdere Gerusalemme dal punto di vista demografico ha spinto, lo scorso anno, dei dirigenti politici e dei responsabili dei servizi di sicurezza israeliani a lanciare una molto mediatizzata campagna battezzata “Save Jewish Jerusalem” (“Salviamo la Gerusalemme ebrea”). Animata dal timore di vedere i palestinesi diventare maggioranza e votare alle elezioni municipali, la campagna consiste nell’avvertire gli ebrei che si potrebbero “un giorno svegliare con un sindaco palestinese a Gerusalemme”.
Durante lo scorso anno, alcuni ministri, fra i quali quello dell’Educazione, Naftali Bennet, hanno aggressivamente difeso l’idea di annettere Maale Adumim, una popolosa colonia situata al di fuori di Gerusalemme, in Cisgiordania. Sembrerebbe ora che, poco a poco, il progetto di quei ministri potrebbe diventare realtà.
Infatti, il mese scorso, una commissione ministeriale è stata incaricata, con il sostegno di Netanyahu, di approvare un progetto di legge sulla Grande Gerusalemme che includa Maale Adumim ed altre grandi colonie situate in Cisgiordania. Sarebbe un’annessione sotto mentite spoglie in modo che i loro 150.000 abitanti possano votare alle municipali.
De facto, un’annessione
Yisrael Katz, il ministro dei trasporti e dell’Intelligence, all’origine della proposta di legge, ha dichiarato che il suo obiettivo è “la preservazione della maggioranza ebrea nella città”. Secondo un recente sondaggio, il piano sarebbe sostenuto dal 58% degli ebrei israeliani.
Messo sotto pressione dal presidente statunitense Donald Trump, Netanyahu ha, provvisoriamente congelato il progetto: il timore di Washington sarebbe che la nuova legislazione possa essere un ostacolo ad un’iniziativa di pace che starebbe per presentare.
Ir Amim teme comunque il rilancio del progetto non appena la pressione si sarà allentata. In una presa di posizione diffusa la scorsa settimana, avverte che il progetto di legge sarebbe “la prima misura concreta dopo l’annessione di Gerusalemme Est nel 1967 per mettere in atto l’annessione, de facto, di territori della Cisgiordania da parte di Israele”.
Dopo decenni di insediamenti di coloni ebrei nel cuore dei quartieri palestinesi per limitarne lo sviluppo e la crescita, ha dichiarato Tartasky, Israele sta separando le popolazioni.
Avvisi di sfratto
Sul terreno, gli effetti si fanno chiaramente sentire. Il 17 novembre le forze israeliane hanno dato l’assalto al villaggio beduino di Jabal al-Baba e consegnato un avviso “di sfratto” ai suoi 300 abitanti. In agosto, l’esercito israeliano aveva già distrutto la scuola infantile di questo villaggio situato tra Gerusalemme Est e … Maale Adumim.
“Queste comunità palestinesi al di fuori di Gerusalemme sono per Israele come una lisca di pesce in gola”, dichiara Tartasky. “Israele sta cercando di rendere più dura possibile la vita dei suoi abitanti in modo da spingerli a partire per ottenere una continuità territoriale tra Gerusalemme e le colonie.”
L’ultima incursione a Jabal al-Baba è avvenuta poco dopo che Israele aveva informato le centinaia di abitanti di al-Walaya dell’insediamento alle porte del loro villaggio di un posto di blocco militare che impedisce l’accesso ai campi agricoli ancestrali che le loro famiglie coltivano da più generazioni sulle alture di Gerusalemme.
Malgrado il fatto che molti abitanti di al-Walaya dispongano di una carta d’identità di Gerusalemme rilasciata dalle autorità israeliane, questa nuova manovra li priverà di fatto dell’accesso alla città ed alle loro terre. I campi e la vicina sorgente dove i contadini abbeverano il bestiame- diventeranno delle “attrazioni” in un parco metropolitano della Grande Gerusalemme.
Stringere la morsa
Nel frattempo, Israele stringe la morsa sui palestinesi delle zone abitate di Gerusalemme Est. Quelli che si trovano dalla parte sbagliata della paratia di cemento armato sono stati di fatto abbandonati dalla municipalità e hanno sempre più difficoltà ad accedere al resto della città, sostiene Daoud Alg’ol, ricercatore palestinese specialista di Gerusalemme.
Ed un progetto di legge (del) ministro degli affari di Gerusaleme, Ze’ev Ekin prevede di sconnettere (staccare) dalla municipalità i quartieri palestinesi di al-Walaya e Kafr Aquab così come il campo profughi di Chouafat e Anata, situati al di là del muro di separazione.
Sarebbero raggruppati in un municipio locale riservato ai Palestinesi, ciò che ridurrebbe d’un terzo la popolazione palestinese della città. “Una volta raggruppati in un entità amministrativa separata, prosegue Alg’ol, Israele pretenderà che loro non vivano più a Gerusalemme, e potrà in tal modo, revocare i loro documenti di residenza nella città. Sono cose che già succedono, ma che potrebbero svilupparsi su larga scala”.
Per esempio, a Kafr Aqab, un quartiere isolato dal resto di Gerusalemme Est dal muro e da un posto di blocco militare, gli abitanti non hanno più accesso alla gran parte dei servizi. Inoltre, Israele ha proibito all’Autorità palestinese l’accesso al quartiere. “Vivono in una no man’s land” afferma Alg’ol.
Questi quartieri sono diventati da un lato ricettacoli per delinquenti e criminali, ma pure destinazione di tante famiglie palestinesi prese nell’imbroglio complesso delle regolamentazioni rigide in materia di residenza imposte da Israele. Così, i palestinesi di Cisgiordania si vedono proibito l’accesso alla città mentre quelli che vivono all’interno delle mura di Gerusalemme rischiano la revoca del permesso di residenza se escono dalla città.
Le coppie che si sono sposate in questo ambito di divisione e di regolamenti trovano rifugio a Kafr Aqab mentre Israele sta staccando lentamente ma inesorabilmente il quartiere dalla città. Secondo gli abitanti, la popolazione sarebbe passata nel corso di questi ultimi anni da qualche migliaia a decine di migliaia di persone.
Di conseguenza, l’urbanizzazione ha conosciuto un’esplosione al di là dal muro dove i palestinesi approfittano dell’assenza delle regolamentazioni israeliane in materia di costruzioni. “E, precisa Alg’ol, ciò offre vantaggi demografici ad Israele.”
Una crisi degli alloggi
“Le restrizioni in materia di urbanizzazione e la mancanza di terreni edificabili all’interno [di Gerusalemme –ndt] hanno creato una crisi degli alloggi per i palestinesi per i quali la vita è diventata più cara nelle zone al di qua dal muro, ha spiegato. Sono stati obbligati ad andare a vivere dall’altra parte, lì dove gli affitti sono più abbordabili. La pressione economica provoca un trasferimento silenzioso di popolazioni”.
Anche Tartasky nota che è tramite metodi indiretti che i palestinesi che vivono all’interno delle mura vengono cacciati. Da tempo, Israele sviluppa un ampio spettro di politiche destinate a privare i palestinesi delle loro terre, ad impedirne lo sviluppo all’interno di Gerusalemme e a legittimare la distruzione delle loro case.
Si tratta in particolar modo di declassare i quartieri palestinesi in “parchi nazionali” per rendere illegali le case che vi si trovano oppure di confiscare gli ultimi spazi verdi per costruirci delle colonie ebraiche o di permettere ai coloni di appropriarsi delle case palestinesi nella città vecchia e nei quartieri che gli sono vicini. Il tal modo, Israele rafforza il suo controllo sui luoghi santi della città, in particolare sulla moschea al-Aqsa.
Attualmente, circa 200.000 coloni ebrei vivono a Gerusalemme Est.
“I palestinesi non sono mai associati allo sviluppo urbano di Gerusalemme ed i loro interessi non sono mai presi in considerazione, costituiscono piuttosto un ostacolo da eliminare, ha dichiarato Alg’ol a MEE; Israele vuole la terra ma non i palestinesi che ci stanno sopra.”
Incursioni notturne
“La pressione sui palestinesi di Gerusalemme s’è accentuata, nota Tartasky, nella misura in cui le loro comunità si vedono negato l’accesso alle scuole ed ai servizi municipali di base. Più dell’80% dei bambini palestinesi vivono al di sotto dela soglia di povertà.”
Forze dell’ordine e municipalità hanno anche incominciato ad intensificare le operazioni dette “di mantenimento dell’ordine pubblico” contro i Palestinesi che le vivono peraltro come una punizione collettiva. Affermando di voler “ristabilire l’ordine pubblico”, le autorità hanno recentemente proceduto ad un’ondata di incursioni notturne in certi quartieri come at-Tur e al-Issawiya. Queste operazioni si sono concluse con l’arresto di un gran numero di palestinesi, ordini di demolizione e perturbazioni importanti delle attività economiche.
“Israele ricorre agli stessi metodi militari che in Cisgiordania, dichiara Tartasky. L’ipotesi è che queste pressioni li [i palestinesi, ndt] incoraggino ad andarsene verso quartieri situati dietro la paratia e dove, presto o tardi, perderanno il loro diritto di residenza. Israele ha capito che si tratta di un’opportunità da sfruttare”.
La segreteria di Nir Barkat, il sindaco di Gurusalemme, ha smentito, in un comunicato trasmesso a MEE, il peggioramento della situazione dei palestinesi a Gerusalemme-Est. Il comunicato segnala miglioramenti spettacolari nei quartieri palestinesi in materia di scuole, centri comunitari e sportivi, strade, servizi postali e assistenza pubblica.
Il comunicato precisa ugualmente che Barkat ha “elaborato un piano dalla portata e dal costo senza precedenti destinato a ridurre le insufficienze a Gerusalemme Est e così correggere le malefatte dovute ai 50 anni di negligenze lasciatole in eredità dai suoi predecessori a capo della città e dai governi israeliani successivi”.
Secondo Alg’ol, le dichiarazioni delle autorità municipali costituiscono una negazione della realtà. “Israele vuole creare un simulacro di città senza i palestinesi, sostiene. Quando può, procede ad una pulizia etnica per cacciarli dalla città. E quando non può, fa in modo che diventino invisibili.”
Tratto da: www.middleeasteye.net
traduzione e cura di Paolo Gilardi