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di Maristella Svampa *

ll livello devastante della crisi sociale in Venezuela, le cui cause sono molteplici e complesse, genera una empatia che non è possibile trasferire al governo caricatura di ciò che era il chavismo, o alla opposizione il cui obiettivo è farla finita con la esperienza di democratizzazione plebea.
Il Venezuela trasmette una sensazione ambivalente di vicinanza e allo stesso tempo di distanza. Il sentimento di vicinanza viene da ciò che si esprime dal basso, il livello devastante della crisi sociale e umanitaria, all’enorme sforzo che quotidianamente fanno i venezuelani (uomini e donne) per sopravvivere, incluso il desiderio in alcuni di credere che non tutto è perso e che sia ancora possibile ricondurre il processo in un senso democratico ed emancipatore. La distanza arriva inevitabilmente di fronte alla impossibile identificazione politica che il Venezuela ci impone dall’alto, da un lato come dall’altro; sia che analizziamo freddamente il governo di Nicolás Maduro, che appare come una caricatura grottesca de ciò che fu il chavismo nei suoi tempi migliori; sia che si faccia riferimento al suo opposto, la destra classista che si annida nella divisa Mesa de Unidad Democrática (MUD), il cui obiettivo è farla finita con la esperienza di democratizzazione plebea.
L’attuale disastro venezuelano si esprime in una specie di scoraggiante “dolore paese”, in contrapposizione al “rischio paese”, per parafrasare la psicoanalista Silvia Bleichman quando parlava dell’impatto della crisi sulle soggettività nell’Argentina del 2001.

“Rentismo” e polarizzazione
Le cause della crisi in Venezuela sono molteplici e complesse. Da Arturo Uslar Oietri, passando per Fernando Coronil fino a Edgardo Lander, sono numerosi gli intellettuali venezuelani che hanno riflettuto sul consolidamento di un “Petrostato” in questo paese, della sua relazione con una borghesia parassitaria e una cultura sociale legata alla rendita (rentista). In questa linea e in termini strutturali, il chavismo portò con sé un approfondimento del “rentismo”, basato sull’esportazione di petrolio. Ricordiamo che quando nel 1999 Hugo Chávez assunse il potere, il prezzo del barile di petrolio era di 7 dollari, mentre nel 2008 raggiungeva i 120 dollari. Così, tra il 2003 e il 2013, come in altri paesi latinoamericani, nel contesto del boom dei prezzi delle commodities, il chavismo espanse la spesa sociale, ottenendo una importante diminuzione della povertà e dell’analfabetismo. Allo stesso tempo, aldilà delle espressioni di desiderio sulla necessità della diversificazione della struttura produttiva, il chavismo approfondì il carattere monoproduttore e rentista dello Stato, il che sarà potenziato posteriormente dai nuovi piani di sviluppo, basati sull’espansione della frontiera estrattiva (petrolifera e delle miniere).
Inoltre, il populismo chavista si installò in una scena politica instabile, in seguito alla molestia permanente di settori della destra. Ciononostante, la leadership di Chávez – che aveva una dimensione regionale/internazionale – permetteva di suturare transitoriamente le brecce aperte dalla polarizzazione politica. La sua morte nel 2013 e l’ascesa di Maduro alla Presidenza con un limitato vantaggio percentuale nella votazione, simultaneamente alla caduta dei prezzi del petrolio, misero in discussione le conquiste sociali realizzate ed esacerbarono le falle strutturali e congiunturali.
Attualmente, la crisi dello Stato rentista si manifesta in diversi modi: dalla incapacità di produrre beni basici per la popolazione (alimenti e medicinali) e persino di importarli in maniera efficiente, fino all’incremento siderale della corruzione, che attraversa le classi che governano.
Per ultimo, non è un segreto che ci siano settori estremisti della opposizione che cercano una uscita violenta alla crisi. Questi gruppi godono, per lo meno dal colpo di stato del 2002, dell’appoggio politico e finanziario degli USA. Però bisogna riconoscere che nel quadro della crisi attuale non solo la destra si è mobilitata. L’opposizione è eterogenea e include settori politici identificati con il chavismo della prima ora, così come settori popolari, colpiti dalla penuria e dalla povertà.

Mutazione politico-soggettiva
Alcuni elementi illustrano la mutazione politico-sociale venezuelana. Non sono gli unici né forse i più importanti, però mostrano i margini di una società colpita e in processo di riconfigurazione.

1. La durezza della vita quotidiana
Il giorno per giorno dei venezuelani poveri e di classe media si riduce a una sfibrante lotta per la sopravvivenza. Al calore della crisi, gli individui vanno sviluppando differenti logiche di azione, che combinano ciò che si può ottenere attraverso le reti statali, le reti di reciprocità (baratto, famiglia, amici), con il bachaqueo (vendita nel mercato informale di beni a prezzi regolati) e incluso, il delitto. Alcuni studi recenti rivelano tendenze contraddittorie […]; coesistono così lacci di coercizione e concorrenza con relazioni di solidarietà. La situazione porta con sé distruzione di legami sociali e cambiamenti nelle forme di socialità, nel quadro di una soggettività sofferente. D’altro canto, certi cambiamenti nei modi del consumo, possono esser benefici (si dà priorità alla produzione artigianale, in alcuni casi si è “più sani”), ma è molto probabile che non siano duraturi. In Argentina, per esempio, sappiamo che esperienze come il baratto, nel 2002, generarono un discorso anticonsumista dalle gambe corte, visto che, quando la situazione economica e sociale migliorò, il ritorno alla normalità sommerse questi stessi settori nuovamente nel modello di consumo dominante.
L’elemento più radicale del populismo chavista è stato la centralità che acquisì la democrazia partecipativa, negli ultimi anni attraverso i consigli comunali. Questa si convertì nel paradigma per eccellenza della trasformazione della politica e, allo stesso tempo, nella chiave del dispositivo legittimatore. Ciononostante, la democrazia partecipativaha incontrato differenti ostacoli e limiti, tanto economici che politici. In questa linea, nel quadro della gran crisi venezuelana, la creazione dei Comités Locales de Abastecimiento y Producción (CLAP) ha implicato un giro verso politiche sociali focalizzate. Questo modello centralizzato di distribuzione diretta funziona in tutto il paese e raggiunge 4 milioni di venezuelani. Le opinioni sui CLAP sono contraddittorie, dovuto alla discrezionalità e alla situazione di abuso di potere che la loro implementazione genera. Per molti starebbero soppiantando dall’alto i Consejos Comunales e le Comunas, per altri si stnno mescolando con questi, il che non vuol dire che questo si traduca necessariamente in una maggior legittimazione sociale.

2. Le differenti facce del chavismo
Che non esista un solo chavismo non è una novità. Anche se il governo pretende unità sociale e si arroghi il monopolio della rappresentanza politica, dopo la morte di Chávez, soprattutto a partire dalla crisi del 2015 in poi, è possibile identificare vari chavismi realmente esistenti, tanto dal punto di vista sociale che politico. Così, dal basso, esistono differenti varianti del chavismo sociale organizzato, le quali si installano in una specie di geometra variabile, dall’appoggio incondizionato, fino a quelli che sollevano differenze e critiche del rentismo, le conseguenze della penuria, la corruzione e la discrezionalità nella consegna delle risorse. Per alcuni militanti chavisti che si politicizzarono con il barile di petrolio a 100 dollari, che furono “la generazione dorata, quella che si sarebbe mangiata il mondo”, come mi disse un giovane nel quartiere periferico di Caracas, bisogna far la critica al rentismo, però la scommessa del cambiamento continua ad esistere: la crisi può essere una opportunità di generare alternative, dall’ampliamento del ruolo delle comunas.
D’altro canto, esiste un chavismo politico critico, che si esprime non solo in termini individuali. Tra i collettivi di autoconvocati emerge la Plataforma Democrática en Defensa de la Constitución (1), nella quale confluiscono partiti di sinistra come Marea Socialista, ex ministri di Chávez, intellettuali riconosciuti e attivisti dei diritti umani e politici. Compito per nulla facile quello di questi chavisti di sinistra, che rifiutano la polarizzazione e la violenza, e puntano a costruire uno spazio di una opposizione democratica credibile. In ottobre, la Plataforma ha lanciato un appello a votare per candidati “depolarizzati” o a votare nullo nelle elezioni regionali.
Inoltre, non sono pochi quelli che sostengono che durante il periodo di proteste tra aprile e settembre, settori popolari dell’ovest di Caracas così come in città dell’interno parteciparono alle mobilitazioni contro il governo. Però, in termini di massa, come afferma Alejandro Velasco, specialista nel tema, “i poveri non scesero dai cerros”. (2)

3. Lo stato di eccezione
Da due anni il Venezuela vive sotto uno stato di eccezione, a partire del quale il governo ha tentato di costruire un potere assoluto. Questa dinamica che h peso il via con la delegittimazione da parte dell’Esecutivo di altri rami del potere (la Asamblea Legislativa, dove la opposizione conta sulla maggioranza dopo il trionfo nelle elezioni del 2015), si andò aggravando e potenziando esponenzialmente con il posteriore blocco e rinvio del referendum revocatorio – uno strumento democratizzatore introdotto dalla stessa Costituzione chavista – il rinvio di elezioni prima e la costruzione di un campo di gioco elettorale inclinato verso l’ufficialismo poi. Tutto ciò generò un nuovo scenario politico, segnato dalla violenza e la ingovernabilità, specialmente tra i mesi di aprile e settembre, con più di 170 vittime, 3.000 detenuti e 1.000 feriti, prodotto degli scontri tra la opposizione e le forze governative. Su questa linea, senza scartare le tendenze golpiste di certi settori della destra e delle loro “guarimbas”, il principale responsabile della situazione in Venezuela – in quanto garante dei diritti fondamentali, che controlla l’apparato repressivo – è lo Stato.
In mezzo a quello che apparve come un “pareggio catastrofico”, il governo di Maduro riprese l’iniziativa politica con la convocazione di una Assemblea Costituente che l’opposizione respinse in blocco. Nonostante fosse considerata da numerosi specialisti come anticostituzionale, l’iniziativa ha avuto successo ed è riuscita a consolidarsi dopo la convocazione delle elezioni per i governatori dell’ottobre scorso, che portarono al trionfo del chavismo in 18 stati su 23. Solo in uno di essi ci furono consistenti denunce di brogli, non per caso nello strategico stato di Bolívar, che è nell’Arco Minero. E già a metà novembre, si poteva respirare un po’ di tranquillità nelle strade, cosa che il governo attribuì alla Costituente. In piena ondata di entusiasmo delle regionali, il governo ha indetto le elezioni municipali prima della fine dell’anno. La fine – temporanea – del ciclo di violenza non assicura la governabilità , visto che la penuria di denaro circolante, la crisi alimentare e sanitaria, la vertiginosa inflazione e, ora, l’appello alla ristrutturazione del debito, tornano a spingere il Venezuela sul bordo dell’abisso.
Pochi giorni prima della crisi del debito, la Assemblea Costituente ha varato la Legge contro l’Odio, un mostro giuridico che sembra superare le leggi “antiterroriste” e che rivela l’avanzata del governo nel controllo di qualsiasi possibilità di dissidenza, attraverso una puntigliosa politica di criminalizzazione dell’opinione mediante il carcere.
È vero che, se si applicasse questa legge, si dovrebbe usarla, in primo luogo, contro il numero due del regime, Diosdado Cabello, che conduce un programma televisivo chiamato Con el mazo dando, nel quale fustiga la opposizione senza risparmiare minacce e discorsi iperbolici, mentre esibisce sulla sua scrivania una mazza. Nonostante ciò, l’opposizione ha tuttavia alcuni spazi nei media e anche se il suo linguaggio è spesso tanto semplicista e virulento come quello dell’officialismo, nella sua performance è molto lontana dal potersi paragonare con la sovraesposizione mediatica del presidente Maduro.
In definitiva, il chavismo/madurismo come regime politico, si va consolidando come uno Stato di eccezione, un regime di controllo biopolítico che interviene ogni volta di più nella vita quotidiana della gente, in un contesto di grande crisi economica e alimentare, e che genera ogni volta di più strumenti e dispositivi giuridici per criminalizzare le dissidenze.

4. “Pranato” minero ed economia criminale
Nel quadro dello stato di eccezione, si son create le zone economiche speciali. La “megaminería” apparirà come una nuova fuoriuscita “magica” nella ricerca della diversificazione dell’estrattivismo. L’apertura allo sfruttamento “megaminerario” di quasi 112.000 kmq (12% del territorio nazionale), mediante la creazione di una Nuova Zona di Sviluppo Strategico Nazionale “Arco Minero”, gettò alle ortiche il discorso antimperialista del governo. Il governo ha sottoscritto alleanze e accordi con differenti imprese transnazionali (cinesi, russe, tra le altre), il cui contenuto non si conosce, visto che il decreto di stato di eccezione e emergenza economica permette che le contrattazioni possano essere discrezionali e non richiedano autorizzazione della Assemblea Nazionale. Come vari analisti hanno denunciato (3), i nuovi megaprogetti uniscono spoliazione economica e virtuali gravi danni ambientali, tra i quali la minaccia della deforestazione massiccia.
Inoltre, ricerche recenti sul tema coincidono nel segnalare l’emergenza e consolidamento di bande criminali negli stati dell’Arco Minero dell’Orinoco, legate alla estrazione artigianale e illegale. Anche se il massacro di Tumeremo, nello stato di Bolívar, con il tragico saldo di 28 minatori assassinati (4) non è stato il primo, ha dato visibilità alla relazione crescente tra rentismo, criminalità e estrazione artigianale e illegale (5), un fenomeno che si sarebbe accentuato negli ultimi anni. È vero che l’espansione di strutture criminali legate alla estrazione artigianal/illegale non è una figura specifica del Venezuela, però si dà il caso che lì assume caratteristiche più decise, legate alla crisi dello stato e alla fenomenale catastrofe economica che espelle popolazioni alla ricerca di nuove strategie di sopravvivenza. Quello che si conosce sotto il nome di “pranato” minero (6) rivela i contorni di una nuova territorialità violenta, che ha come contraltare uno Stato con scarsa capacità di regolazione e di controllo territoriale, che allo stesso tempo sviluppa vincoli con le bande armate. Così, quello che descrivono diversi lavori di ricerca è l’emergenza di una sfera parastatale dal basso, che coinvolge un gran numero di soggetti legali e illegali, e soggetti sociali. Queste strutture criminali non solo controllano territori, ma anche la popolazione e le soggettività, il che costituisce un colpo importante per qualsiasi tentativo di ricostruzione di un progetto democratico. E tutto succede ancor prima che le imprese transnazionali entrino con la loro logica predatrice nei territori.
In definitiva, il Venezuela continua essendo lo scenario di una grande tragedia sociale e politica: un punto cieco per parte della sinistra latinoamericana, che ancor oggi continua a dare un appoggio incondizionato a un regime ogni volta più autoritario: un dilemma per tutti quelli che cercano di pensare in termini di orizzonti democratici anti-egemonici, infine, un “dolor país” che tinge le soggettività del paese caraibico, al tempo stesso in cui impatta in termini politici tutta la regione latinoamericana.

* Sociologa e scrittrice. Il suo ultimo libro è “Del cambio de época al fin de ciclo. Gobiernos progresistas, extractivismo y movimientos sociales en América Latina”.Edhesa, Buenos Aires, giugno 2017. L’articolo in spagnolo è apparso su Le Monde Diplomatique, edición Cono Sur www.eldiplo.arg. La traduzione in italiano è stata curata da Titti Pierini per il sito www.antoniomoscato.altervista.org

Note
1) Si veda il manifesto della Plataforma en Defensa de la Constitución de la República Bolivariana de Venezuela y de la Democracia, pubblicato il 19-20-2016 sul sito Aporrea: www.aporrea.org/
2) “Venezuela ¿por qué no bajan de los cerros?”, intervista a Alejandro Velasco de Pablo Stefanoni, Nueva Sociedad, Buenos Aires, giugno 2017: http://nuso.org/ Tradotto in italiano: Venezuela | Ma perché non “calano” dai cerros?
3) Emiliano Terán Mantovani, “Los peligros del Arco Minero del Orinoco: un breve análisis desde la economía ecológica”, Alai, 11-6-2016: http://www.alainet.org/
4) Daniel Pardo, “Lo que se sabe de la supuesta masacre de 28 mineros en Venezuela”, BBC Mundo, 15-3-2016.
5) Si veda Carlos Egaña, “El Arco Minero del Orinoco. Ambiente, rentismo, violencia en el sur de Venezuela”, Prodavinci, 28-3-2016: http://prodavinci.org/
6) Strictu sensu, “Pran” nel gergo carcerario significa capo. Si suole attribuire questa sigla al “titolo” di “prigioniero recidivo assassino nato”.