a cura della redazione
Con la presa di posizione dell’assemblea dell’Officina si vanno chiarendo le alternative sul futuro dello stabilimento industriale di Bellinzona.
Da una parte, una proposta ormai consolidata, approfondita, confermata da studi, ricerche, discussioni: si tratta della proposta che i lavoratori dell’Officina hanno lanciato addirittura nei primi giorni dello sciopero, confermando la loro lungimiranza. Proposta, consegnata in un’iniziativa popolare, che vuole costruire, attorno all’Officina, un polo tecnologico-industriale nel settore dei trasporti e del materiale rotabile (PTI).
Dall’altra un progetto di “nuova” Officina che abbandona le attività tradizionali sviluppate a Bellinzona, limitandosi di fatto alla piccola manutenzione, con pesanti ricadute in termini occupazionali (metà dei posti di lavoro) e di qualità (è difficile credere che i posti creati saranno “qualificati”, viste le attività previste). i.
Non vi sono dubbi che siamo confrontati a due strategie diverse, alternative, che mettono in gioco interessi, valori, prospettive economiche radicalmente diverse.
Da una parte vi è la difesa di un’esperienza produttiva, industriale e sociale; una difesa tutt’altro che arroccata al passato; una difesa che ha dimostrato, studi e dati alla mano, la possibilità di innovare nella continuità, aperti a quanto di più avanzato vi sia, difendendo e sviluppando l’occupazione. A questa prospettiva nessuno, ma proprio nessuno, ha saputo finora opporre ragioni concrete e sensate di opposizione; anzi, fino a pochi mesi fa tutti (FFS comprese) sostenevano che questa era la via da seguire.
Dall’altra ci si offre…il passato. Che cosa altro è un parco tecnologico se non una vecchia, cara e inutile zona industriale nella quale attirare imprese che vi trovano il loro tornaconto fiscale, nonché occasioni di reclutare manodopera a basso costo (formata e qualificata) che pagherebbero il doppio in altre zone del paese?
Ora, appare evidente che la logica che anima i difensori del progetto “nuova” Officina nulla abbia a che vedere con una logica industriale e produttiva. Se da un lato la proposta operaia è chiara, precisa, definita e tutto sommato semplice; dall’altro abbiamo una proposta assai approssimativa e, come detto, tutt’altro che acquisita, fondata sulla ipotesi di attirare un’accozzaglia di imprese alle quali, dello sviluppo di Bellinzona e del Ticino interessa poco o nulla.
In altre parole, da un lato una logica pubblica, attenta ai destini del Ticino, dall’altra una logica tutta privata, fondata su interessi particolari.
Le FFS infatti sarebbero le grandi vincenti. Si sbarazzerebbero dell’Officina (e anche della eredità di un “cattivo esempio” di resistenza alle politiche padronali), porterebbero a termine una ristrutturazione produttiva che da almeno un decennio sognano di realizzare, potrebbero contare su decine di migliaia di metri quadri messi a disposizione per una politica immobiliare di tipo speculativo nella quale ormai sono diventate leader in Svizzera.
In mezzo le autorità cantonali e comunali accomunate da un solo desiderio: assecondare i piani delle FFS, pronti a sacrificare l’Officina, in cambio di tutti gli interventi delle FFS sul nostro territorio; interventi che le FFS fanno non certo per compiacere il Cantone, ma perché assolutamente necessari e rientranti nelle loro strategie. Si tratta di interventi che tuttavia hanno il vantaggio di essere politicamente ed elettoralmente spendibili. Volete mettere, ad esempio, una foto con Meyer mentre viene inaugurata una moderna e ristrutturata stazione? Poco importa che questa ristrutturazione sia buona ultima tra quelle di decine e decine di altre stazioni in Svizzera e che non si potesse più non mettervi mano; e poco importa che il ruolo dell’autorità politica cantonale e/o comunale sia stato nullo nella decisione di realizzare quel progetto. La foto con il capo delle FFS queste cose non le dice.