di Franco Turigliatto
In un solo giorno 4 morti sul lavoro, 4 omicidi che mostrano più che mai il volto disumano dell’organizzazione capitalista del lavoro; 3 di questi a Milano, la magnificata città postindustriale della finanza, del digitale e della “modernità”. Inaccettabile, così come irricevibili sono le grida di sdegno e di allarme sulla tragedia di tanti mass media che dureranno lo spazio di un giorno; quei media che sappiamo torneranno subito dopo a razzolare nel fango delle dichiarazioni razziste di Salvini e Berlusconi o nelle ipocrisie di Minniti e Renzi, per non parlare di Di Maio.
Non possiamo che esprimere il nostro profondo dolore e la solidarietà alle vittime, alle loro famiglie e ai loro compagni di lavoro, ma dobbiamo anche prendere un impegno di lotta.
I dati di metà anno avevano già indicato che era in corso una drammatica ripresa dei morti sul lavoro, cresciuti del 5,2″%. I numeri di novembre hanno poi confermano che la tendenza alla diminuzione degli omicidi bianchi in corso da alcuni anni, si era bruscamente invertita. In realtà non c’era mai stata una complessiva riduzione degli incidenti sul lavoro, per di più notoriamente sottostimati perché molti incidenti meno gravi non vengono semplicemente denunciati.
In realtà la contrazione dei decessi, più che effetto delle norme del testo unico sulla sicurezza sui luoghi di lavoro (la legge 81), varato dopo i tragici fatti della Thyssen Krupp del 2006, per altro privo ancora di alcuni aspetti attuativi, era stata prodotta dalla grande crisi industriale successiva al 2008. E’ stato sufficiente che si manifestasse una modesta ma reale ripresa economica e il rilancio delle attività produttive perché immediatamente gli incidenti, compresi quelli mortali, riprendessero a crescere.
Ma non c’è solo questo.
In questi anni quelle che sono cambiate profondamente in peggio, sono le condizioni generali in cui le lavoratrici e i lavoratori sono costretti a vendere la propria forza lavoro; sono i rapporti di forza complessivi tra capitale e lavoro che sono peggiorati drammaticamente a svantaggio della classe lavoratrice, in termini di orari, di controllo sulle condizioni di lavoro, di possibilità di lottare collettivamente, di non accettare tempi di lavoro o mansioni assolutamente ingestibili e pericolosi. Per mancanza di lavoro e di salario, per disperazione, per mancanza di tutele sindacali, hanno dovuto chinare il capo ed accettare le implacabili leggi della concorrenza e dello sfruttamento. Come scrive La Repubblica “Quasi mai sono incidenti fatali, imprevedibili; quasi sempre sono il frutto di violazioni di legge, di contratti non rispettati, di furbizie, di rischi eccessivi”.
Già ma chi ha la forza di far rispettare queste regole, quando secondo la Confindustria” le persone a cui manca lavoro in tutto o in parte sono circa 7,7 milioni”? Una lunga fila di lavoratrici e lavoratori in cerca di occupazione e senza uno straccio di reddito per vivere a cui il padrone può dire impunemente: “se non accetti le mie regole, fatti da parte che prendo quello che viene dopo di te”. E quante RLS possono avere il coraggio e la forza di mettersi di traverso facendo intervenire a secondo dei casi l’ASL o l’Ispettorato del lavoro, correndo il rischio, come è già avvenuto per alcune, di essere licenziate?
È del tutto ipocrita e rivoltante che i media, i governanti borghesi, gli intellettuali e i sicofanti del regime, per non parlare dei principali responsabili, i padroni stessi, piangano per un giorno i caduti sul lavoro, quando da anni hanno agito quotidianamente per imporre le norme della deregulation, la precarietà generalizzata, il ricatto dei lavoratori su larga scala, per creare le condizioni politiche e sociali della svalorizzazione del lavoro, della sua piena subordinazione alle logiche di profitto dell’impresa, cioè della sconfitta storica del movimento operaio.
I governi hanno continuato a regalare miliardi ai capitalisti e la piena libertà di licenziamento, guardandosi bene dallo spendere qualche soldo per rafforzare l’azione di prevenzione, a partire dall’atto più semplice: l’assunzione di un numero cospicuo ed adeguato di personale adibito al controllo delle imprese. Tutti questi soggetti nel loro vario ordine di responsabilità vanno chiamati sul banco degli accusati: sono i responsabili degli omicidi bianchi.
Questa drammatica situazione chiama però in causa anche le direzioni sindacali che, certo, in questi anni hanno denunciato anch’esse i ritardi e la mancanza di azioni preventive da parte dei governi, ma che hanno tuttavia una colpa gravissima: esse infatti si sono subordinate complessivamente alle ragioni delle imprese e del mercato capitalista; hanno accettato e gestito le politiche dell’austerità tra i lavoratori, rinunciando a qualsiasi ipotesi di lotta generale per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro delle classi lavoratrici; hanno accettato di smantellare una dopo l’altra tante conquiste del passato fino a firmare contratti nazionali che peggiorano le condizioni di lavoro, di orario e di salario (i cosiddetti “contratti di restituzione”). Davvero una pesante responsabilità per la drammatica condizione del mondo del lavoro.
Il sistema capitalista, i capitalisti e i loro partiti che lo gestiscono sono infami; fanno morire nel deserto o annegano nel mar Mediterraneo chi fugge dalle loro guerre e dalla fame; sfruttano ferocemente le lavoratrici e i lavoratori non importa quale sia il colore della loro pelle o dove siano nati; hanno un’unica legge, quella di garantirsi i profitti e le rendite sulla pelle della stragrande maggioranza della popolazione. Possiamo fare solo una cosa in questo giorno tragico per rendere omaggio ai lavoratori che sono stati uccisi, anche se le difficoltà sono grandi e i tempi saranno lunghi: organizzarsi per resistere, per non lasciare solo davanti al padrone nessuna lavoratrice o lavoratore sia indigena/o o migrante, per ricostruire un movimento di lotta basato sull’unità delle classi lavoratrici nella battaglia per un’altra società di giustizia e democrazia sostanziale.