Intervista a Karwan Hewram
Pubblichiamo l’interessante e utile intervista a Karwan Hewram giornalista curdo-iraniano che ci aiutano a comprendere la natura sociale delle mobilitazioni che sono in corso in Iran. Le ragioni per le rivolte degli ultimi quattro giorni contro povertà, disoccupazione, carovita e politiche repressive della Repubblica Islamica dell’Iran vengono discusse sotto diversi aspetti in modo differente. Abbiamo chiesto una valutazione al giornalista Karwan Hewram.
Per molto tempo in Iran c’è stato silenzio. Ma negli ultimi quattro giorni nella città di Meşhed sono iniziate azioni che si sono estese in tutto il Rojhilat. Vogliamo iniziare con una domanda molto generale: cosa succede in Iran?
Il regime dispotico in Iran opprime da molti anni la popolazione. Questo regime negli ultimi anni si è impegnato in modo massiccio perché i popoli dell’Iran non percepiscano l’attuale fase di cambiamenti in Medio Oriente. A parte il popolo curdo, che è stato fortemente motivato dalle fasi rivoluzionarie nelle altre parti, è stato possibile reprimere tutte le richieste dei popoli dell’Iran. In Iran non c’è più niente che si possa definire opposizione. Dai verdi fino ai socialisti passando per i democratici fino ai riformatori veri, sono stati o esiliati o buttati in carcere.
In Tunisia, Egitto, Libia e Siria i regimi dispotici si sono trovati di fronte a una fase di cambiamento. Ma l’Iran finora è riuscito a impedirlo facendo la guerra all’esterno. Ma sia l’embargo internazionale sia la politica di oppressione del regime nei confronti dei popoli sia l’attuale crisi economica, sono arrivati a un punto nel quale non possono più essere sopportati.
Lo slogan scandito nelle manifestazioni “Lascia la Siria, lascia il Libano, guarda l’Iran!“ è un’espressione di questo?
Dalla rivoluzione nel 1979 il regime ha usato le possibilità finanziarie del Paese per diffondere la sua ideologia nei Paesi vicini invece di migliorare il livello del benessere in Iran. Questo da una parte. Un altro punto è che il regime quando ci sono state richieste di libertà, di aumento degli standard democratici e dei diritti legittimi, è sempre riuscito a rappresentarle come un “gioco di potenze esterne“ e come “deviazionismo“ e di conseguenza ha cercato di reprimerle. Per esempio per quest’anno hanno raddoppiato il bilancio della difesa, mentre il bilancio per istruzione, sanità e altre necessità è stato dimezzato. Il pubblico se ne rende conto e lo vive.
Lei ha detto che il regime iraniano definisce le azioni come “deviazionismo“ e “organizzate dall’esterno“. Ma altre forze cercano di rappresentare le azioni come resa dei conti tra due blocchi di potere in Iran. Quale delle due è giusta?
È giusto, c’è una crisi del sistema dell’Iran. Finora chi detiene il potere lo ha negato. Ma ora è molto difficile continuare ancora a negarlo. In Iran ci sono state elezioni e la popolazione ha dato un’altra volta una chance ai riformisti. Questa chance è stata data nella speranza di un cambiamento e Ruhani è stato portato al potere. Ma è diventato chiaro che anche Ruhani è parte di questo sistema. Così ad esempio il 55 percento della popolazione iraniana è femminile, ma nel gabinetto di Ruhani non c’è nemmeno una ministra. La società iraniana è fatta per il 50 percento di popolazioni non persiane, di curdi e curde, azeri e azere, beluci e arabi e arabe, ma non uno dei ministri nel gabinetto viene da uno di questi gruppi.
Il processo della formazione del gabinetto dei ministri da solo è già stato doloroso. Ruhani ha presentato il suo Parlamento prima all’autorità religiosa Khamenei, con questo sono state superate le difficoltà con i Pasdaran. Il sistema di governo dell’Iran per persone esterne è un po’ sconcertante. Chi è chi nel sistema di governo iraniano?
Dunque, una persona o istituzione che vuole fare politica in Iran deve accettare le condizioni del consiglio degli esperti religiosi che è collegato direttamente a Khamenei e i cui membri sono nominati da lui. Nei 40 anni dalla rivoluzione tutto ciò che deve essere fatto, viene fatto in sintonia con gli interessi della rivoluzione. Al centro ci sono i duri conservatori che si appoggiano a Khamenei e ai Pasdaran (Guardie Rivoluzionarie Iraniane) e i riformisti che sostegno di essere un po’ più tolleranti. I riformisti cercando di mantenere le speranze della popolazione rispetto al sistema. Per ingannare la popolazione si gioca alla democrazia. Così per esempio Khatami era un riformista. È stato al potere per otto anni e questo è stato il periodo con la repressione maggiore. Per esempio una mattina si è alzato e ha fatto chiudere 79 giornali, così come oggi fa Erdoğan in Turchia … Hanno assassinato dozzine di giornalisti e giornaliste. Poi Mahmud Ahmadinejhad è stato portato al potere dai conservatori come Presidente della Repubblica. Lo avevano definito fratello spirituale di Khamenei. Ma lui è il principale responsabile per il fatto che in Iraq e nel Rojhilat sono state assassinate migliaia di persone. Ha distrutto le relazioni dell’Iran con il mondo. Ma nella direzione di ciò che desiderava del sistema. Accanto a lui, per coloro ai quali non piaceva Ahmadinejad, hanno messo Ruhani che presuntamente sarebbe stato più moderato.
La società non sopporta più questo sistema
Per quanto riguarda le azioni odierne … le azioni sono iniziate a Meşhed, la città natale di Khamenei. Quando nel 2009 dopo le elezioni ci sono state proteste per le riforme, questa città si è posizionata al fianco di Khamenei e ci sono state contro-proteste. Anche a Kum, una città simbolicamente importante per gli sciiti, ci sono azioni e anche a Isfahan. Come va interpretato anche rispetto al diffondersi delle azioni?
Questa è la prima volta nella storia di Meşhed dalla rivoluzione islamica di 40 anni fa che in questa città, nota come roccaforte del nazionalismo iraniano, si svolgono proteste a questo livello. Sì, sono tutte città importanti dal punto di vista simbolico. Kum è certamente uno dei luoghi simbolicamente più importanti. A Isfahan ci sono proteste e Isfahan è nota come capitale ufficiosa dell’Iran. Questo indica il fatto che la società non è più in grado di sopportare il sistema attuale e il governo attuale. Già dopo la rivoluzione le venivano dati solo circa 30–40 anni in questa condizione. La società semplicemente non lo sopporta più.
Voglio fare un esempio: Il bilancio per il sistema giudiziario iraniano è tre volte maggiore del bilancio per le altre istituzioni giuridiche. Secondo uno studio, per alimentare in Iran una famiglia di quattro persone con pane secco e acqua serve l’equivalente di 125 dollari. Ma in Iran milioni di persone non hanno nemmeno un lavoro per guadagnare questi 125 dollari. Inoltre ogni mese vengono inviati milioni di dollari per la guerra in Siria, in Libano e in Yemen. Causano la morte di persone in quei paesi, ma le persone nel proprio paese hanno fame. C’è stato un terremoto a Kirmaşan, lo Stato non ha aiutato e ha confiscato gli aiuti che venivano da altri Paesi. Dopo il sisma a Kirmaşan circa 20 persone hanno commesso suicidio. Perché? Disperazione, povertà, mancanza di un tetto, fame … Cosa ha ancora da perdere una popolazione del genere? Per questo nelle manifestazioni gridano “Morte al regime”, “Morte alla dittatura”.
C’è anche un dibattito nel quale si discute se queste azioni abbiano cause economiche o politiche. Lei cosa pensa?
All’inizio delle azioni venivano scanditi soprattutto slogan con richieste economiche. Ma è già parte della politica del regime iraniano il disciplinare la popolazione attraverso la fame. Non possiamo separare economia e politica. Accanto alla fame, il regime in Iran non ha lasciato alcun canale attraverso il quale la società possa respirare tranquillamente. Non ci sono partiti politici, né intellettuali né diritti sociali, non ci sono diritti delle donne, non c’è futuro per i giovani, non ci sono diritti per i popoli. Tutto questo è politica.
Come giornalista da molti anni lei osserva con attenzione il sistema iraniano, qual è secondo lei la differenza principale che distingue questa azione da quelle precedenti?
Azioni del genere ci sono state anche nel 2009 e anche contro il governo Khatami tra il 1997 e il 2005. All’epoca l’avanguardia delle azioni erano i giovani e soprattutto gli studenti. Le proteste erano limitate in particolare a Teheran. Ma ora iniziano le azioni in città come Meşhed, Kum e Isfahan e si allargano sempre di più in tutte le città dell’Iran. Le persone che soffrono, sono povere, disoccupate e giovani. Anche le donne scendono in piazza. Casalinghe sono in strada e dicono, noi non andiamo a casa. Per questo l’insurrezione viene spesso definita come “Înkilabî Gorisnegan“ (la rivoluzione della fame).
Un’altra differenza è data anche dal fatto che prima erano azioni dei riformisti contro i conservatori o i militari. Ma ora le azioni si rivolgono in modo diretto contro i riformisti. Perché i riformisti hanno ingannato la società. Questo i riformisti lo fanno da 20 anni. Ogni volta raccolgono voti e vendono le speranze della popolazione a Khamenei e ai militari.
Quindi la differenza principale è che le proteste sono rivolte sia contro i riformisti sia contro i conservatori?
Esatto. La società ormai sa molto bene che riformisti e conservatori sono due giocatori che fannno parte dello stesso gioco. Da questo punto di vista vale la pena dare uno sguardo agli slogan: si grida “Morte al dittatore“; “Morte a Ruhani“, “Morte alla repubblica islamica“, “Morte agli Hisbollah“. La società ora è consapevole che le riforme non cambieranno il sistema.
Ma secondo Lei dopo cosa succederà?
Se il regime attacca la popolazione, non arretrerà di un passo. Finora hanno cercato di procedere in modo prudente. Vedono anche che questa rabbia si è accumulata per 40 anni. Sì, la rivoluzione era giusta, ma i risultati no. La rivoluzione è stata rubata. La gente ora vuole riavere la rivoluzione dai Mullah e correggere gli errori. Con la sua appropriazione la gente vuole assumere responsabilità e direzione.
Chi può assumere la direzione della rivoluzione?
Questo è un compito che spetta ai rivoluzionari e alle rivoluzionarie all’estero, agli intellettuali, alla popolazione, ai giovani, alle donne e a tutte le componenti della società. Ma se si fa qualcosa, allora bisogna trarre insegnamenti dagli errori del passato e svolgere questo compito senza aspettative rispetto a un intervento dall’esterno.
Due parole d’ordine possono unirsi
Se si parla di lotta organizzata in Iran, i primi che vengono in mente sono le curde e i curdi. Come considera la possibilità di mettere insieme l’opposizione curda con quella persiana, araba, azerbaigiana, dei beluci e altre dinamiche sociali? Possono trovarsi insieme o sarà come dopo il 1979?
Dopo la rivoluzione nel 1979 il centro di tutti i partiti di sinistra, socialisti e comunisti era a Sinê [nel Rojhilat]. Oltre ai partiti curdi, questi partiti consideravano Sinê il loro centro. Questo è un retaggio profondo. Quindi non è niente di nuovo. Questa eredità può mettere insieme le forze rivoluzionarie e democratiche. È un retaggio comune. D’altro canto il popolo curdo è una società politicizzata. È così anche nel Rojhilat. È il popolo più politicizzato nel Medio Oriente. Influenza anche gli altri popoli. L’unica ragione per la quale il regime iraniano è così fortemente contro la popolazione curda nel Rojhilat è che non vogliono ammettere la politicizzazione, cercano di spoliticizzare. Ma per il popolo curdo la politica è più importante del pane e dell’acqua. Così ad esempio nelle azioni di Meşhed si scandiva lo slogan “Morte al carovita “, mentre a Kirmaşan si gridava “Libertà per i prigionieri politici”.
Le due parole d’ordine possono riunirsi?
Naturalmente. Perché la gente in Iran ha migliaia di anni di esperienza di convivenza. Ha una grande eredità. Spalla a spalla hanno rovesciato dozzine di dittature. Ci sono state dozzine di rivoluzioni di successo. Se le forze rivoluzionarie e le loro leadership possono ritrovarsi insieme con un programma democratico, alla non c’è ragione per la quale non debbano avere successo. Se si comportano in modo onesto nei confronti del popolo, non c’è ragione per un fallimento. La popolazione lo vuole. Per esempio uno degli slogan scanditi oggi era: „Non abbiate paura, siamo tutti insieme“. Questo è un messaggio. Tutte le forze che vogliono una rivoluzione popolare devono incontrarsi e andare aventi insieme – è questo il messaggio.