Scuola che verrà, tutto a posto?

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Il dibattito sulla sperimentazione del progetto La scuola che verrà (SCV) è ormai entrato nella fase decisiva.

I partiti politici che stanno discutendo il messaggio in seno alla commissione scolastica hanno, finora, fatto piuttosto melina, a tal punto da suscitare un richiamo da parte del governo che ha invitato la commissione ad accelerare la discussione per arrivare al più presto ad una decisione che possa così dare avvio alla sperimentazione a partire da settembre.
La discussione è, evidentemente, viziata da manovre politiciste, ormai in pieno svolgimento in vista delle elezioni cantonali dell’anno prossimo. In particolare, da parte da parte di alcuni partiti (UDC, Lega, anche se questi atteggiamenti non dispiacciono al PLRT e, in parte, nemmeno al PPD, si assiste al tentativo di insabbiare la sperimentazione con il solo obiettivo di mettere in difficoltà il consigliere di Stato PS, Manuele Bertoli che su questa riforma ha investito molto, anche in termini di immagine personale. Ripresentarsi al rinnovo delle elezioni cantonali con una riforma che non è nemmeno riuscita a decollare nella sua fase sperimentale (o che è riuscita a farlo con forti condizionamenti) non sarebbe certo qualcosa di elettoralmente pagante.
Anche perché vi è già da mettere sul piatto della bilancia (che fa pendere la stessa in modo negativo) il fatto che tra la prima e la seconda consultazione sul progetto, cioè tra la prima roboante presentazione e il progetto proposto, consegnato, nei suoi tratti principali nel messaggio in discussione, la SCV ha abbandonato molte delle sue proposte iniziali, presentate come “rivoluzionarie”, elementi di una trasformazione “epocale” della scuola ticinese.
Per finire l’ultima versione della SCV si presenta come un progetto di “rafforzamento” dell’attuale struttura della scuola dell’obbligo attraverso la messa a disposizione di nuove risorse (una trentina di milioni di franchi a regime) sostanzialmente suddivisi su tre misure: le forme particolari di insegnamento nelle Scuola media (Sme), in particolare i cosiddetti laboratori e atelier, le diverse forme di collaborazione (sostanzialmente all’interno della Sme) e, infin,e il cosiddetto “docente risorsa” per le scuole comunali (scuole dell’infanzia-SI e Scuole Elementari-SE). Anche a livello di risorse, una volta realizzata in tutti i suoi aspetti, il peso di questi tre elementi risulterà determinante (rispettivamente circa 10 milioni per il primo, quasi 6 per il secondo e ben 15 milioni per il terzo aspetto).
Abbiamo a più riprese affermato che la riforma presentata non ci piaceva; per le stesse ragioni non ci piace la sua versione finale che, in particolare, non ha modificato l’impostazione di fondo, centrata sull’insegnamento per competenze e su una visione che potremmo sostanzialmente definire orientata più verso una scuola di “addestramento” che una scuola effettivamente formativa. Molti hanno messo in rilievo, meglio ancora di quanto non abbiamo fatto noi, le debolezze di fondo di questo progetto (pensiamo alla presa di posizione del Movimento della scuola che abbiamo in parte pubblicato anche su questo giornale). Richiamarsi ad un insegnamento individualizzato e ad una pedagogia differenziata non basta per dare un tono “progressista” alla riforma; né basta il fatto che contro queste indicazioni si schieri chi, apertamente, vuole il ritorno ad una scuola ante-scuola media.
Le critiche “da destra”, lo ripetiamo, non rendono questa riforma più “progressista”.
Resta sul tappeto la questione se sostenere o meno l’avvio di una sperimentazione che, al di là del giudizio sul progetto e sulla sua impostazione, vede ancora nodi fondamentali irrisolti, ai quali il DECS e la sua direzione non sembrano voler dare risposte significative e soddisfacenti. Vediamo di richiamarli brevemente.

L’onere complessivo di lavoro degli insegnanti

Leggendo il messaggio che accompagna l’ultima versione del progetto SCV non appare chiaro quale potrebbe essere l’evoluzione dell’onere di insegnamento per i docenti. È evidente che le principali proposte che abbiamo evocato comporteranno un aumento dell’occupazione nel settore scolastico. Ma non necessariamente questo si tradurrà in una diminuzione dell’onere di lavoro per gli insegnanti. Anzi, vista l’attuale situazione di carico di lavoro per i docenti, si possono nutrire fondati dubbi che la riforma comporterà un aggravio dell’onere di lavoro e del tempo che i docenti dovranno mettere a disposizione.
In alcuni settori, come quello della scuola della SI e della SE, i docenti e le docenti convivono ormai da diverso tempo con una forte pressione da questo punto di vista, in particolare a seguito dell’introduzione della riforma Harmos. Problemi organizzativi legati alla modulazione dell’età di accesso alle varie fasi fanno sì che, ad esempio, in molte sedi di scuola dell’infanzia un insegnante può trovarsi confrontato/a con bambini che vanno dai 3 ai 7 anni. Senza dimenticare il lavoro di carattere, diciamo così, amministrativo che Harmos ha incrementato in maniera importante e che la SCV rischia di appesantire ulteriormente.
Quali diminuzioni vi saranno delle ore di insegnamento, per tutti i docenti e per i docenti coinvolti nelle nuove modalità della riforma, non è ancora chiaro; ma, soprattutto, è difficile immaginare, alla fine dell’esercizio, quale sarà l’onere di lavoro (che, lo ricordiamo, non è assimilabile alle ore lezione o di presenza in classe) che dovranno sobbarcarsi gli insegnanti e le insegnanti di tutti gli ordini di scuola coinvolti nella riforma; ordini di scuola che, lo ripetiamo, da tempo sono ormai più che “in riserva” quanto alle risorse che riescono e possono mettere a disposizione per il loro lavoro.
Se su questo tema non vi saranno chiarificazioni importanti e precise, detto altrimenti se non si assisterà ad una diminuzione dell’onere lavorativo in questi settori, difficilmente i docenti potranno accettare nuovi oneri che si intravvedono, e pesanti, nella realizzazione della riforma.

Durata e sedi della sperimentazione

Sulla durata della sperimentazione in molti si sono già espressi, criticando la riduzione da quattro a tre degli anni della sperimentazione, rendendola in qualche sorta “monca”.
Si tratta di un aspetto tutt’altro che secondario poiché il quarto anno pone questioni importanti rispetto agli ordini di scuola successivi.
Proprio il passaggio all’ordine di scuola successivo è uno dei punti più delicati di questa riforma, in particolare per quel che riguarda l’accesso alle scuole medie superiori (SMS), punto sicuramente socialmente importante, non foss’altro per il fatto che un buon 40% degli studenti che terminano la Sme si iscrive alle SMS.
Su questo terreno una prima questione è quella legata al mantenimento, previsto dalla SCV, della media per poter accedere alle SMS; una scelta comunque singolare, e contraddittoria, per una riforma che vuole (o, almeno, voleva nella sua impostazione iniziale) contribuire al superamento, agendo sul piano pedagogico all’interno della scuola, di quegli ostacoli sociali che si frappongono al raggiungimento di determinanti obiettivi scolastici, contribuendo così anche ad una sorta di “promozione sociale”.
Una seconda questione, anch’essa nota, è che appare sempre più importante lo “scollamento” tra la Sme e le SMS. Senza indagare qui le ragioni di fondo di questo fenomeno (che si manifesta, ad esempio, con tassi di selezione elevatissimi, in particolare nelle classi prime e seconde delle SMS), è evidente che una valutazione del punto di approdo finale (in quarta) degli allievi che hanno seguito l’iter della SCV sarebbe utile e importante. Non certo perché si debba calibrare il percorso formativo delle Sme alla prospettiva della SMS; ma poiché una valutazione di questo esito appare decisiva per riflettere anche sulle ragioni dello “scollamento” al quale abbiamo accennato.
Pure decisiva la questione delle sedi. Si discute in questi giorni della possibilità di affiancare una quarta sede a quelle già prescelte per la sperimentazione (Cadenazzo, Coldrerio, Paradiso, per le scuole comunali e Acquarossa, Biasca e Tesserete per le scuole medie).
La scelta di queste sedi, in particolare quelle di Sme, pone parecchi interrogativi. Prendiamo le sedi di Sme: si tratta di piccole sedi, sostanzialmente situate in zone non urbane, caratterizzate da una certa “tranquillità”; sedi tutt’altro che rappresentative dei problemi che agitano la maggior parte delle scuole medie del Cantone (e con è confrontata la maggioranza degli allievi che le frequentano).
Ci si può chiedere: che validità, che senso ha, avviare una sperimentazione in queste sedi nelle quali appare abbastanza improbabile che il “modello SCV” possa confrontarsi con i problemi che dichiara di voler risolvere e affrontare? Problemi che si pongono in modo radicalmente diverso in contesti radicalmente diversi quali possono essere quelli di una piccola sede di valle e una inserita in un contesto urbano (Bellinzona, Lugano, Viganello) o, ancora, in un contesto sociale problematico (Chiasso, ad esempio).

Chi giudicherà?

Anche il tema della valutazione della sperimentazione ci pare decisivo. A questo proposito val la pena riprendere le obiezioni sollevate, in una sua recente di posizione, dal forum delle associazioni magistrali: “Per quanto riguarda il tema della valutazione della sperimentazione, è fortemente sentita la necessità di affiancare a eventuali sondaggi basati sulla misurazione del grado di acquisizione da parte degli allievi di determinati saperi e di determinate competenze, altre forme di verifica e di bilancio. La qualità di una riforma scolastica non è patrimonio esclusivo di queste modalità di valutazione: è a nostro giudizio altrettanto importante, ad esempio, verificare in che modo e con quali conseguenze muteranno le condizioni di lavoro e l’identità professionale degli insegnanti; in che modo e con quali conseguenze cambierà l’approccio degli alunni alla scuola, ai saperi, alla cultura; in che misura l’origine sociale degli allievi influirà sui loro risultati scolastici e sulle loro scelte formative e professionali.
Indipendentemente dalle riflessioni appena esposte, auspichiamo inoltre la messa a punto concordata di un dispositivo di valutazione della sperimentazione che sul piano della ricerca accademica non sia gestito esclusivamente dal CIRSE del DFA, e che al contempo preveda un ruolo attivo degli insegnanti e dei quadri scolastici e, in forme che andranno definite, delle associazioni sindacali e magistrali e di quelle studentesche”.

Tutte questioni, quelle che abbiamo qui brevemente ricordato, ancora aperte e alle quali non sembrano voler dare risposte soddisfacente né il governo, né la maggioranza dei partiti che si sta occupando del progetto di sperimentazione.

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