Tempo di lettura: 2 minuti

In un editoriale pubblicato sul «Corriere del Ticino» di ieri, martedì 27 febbraio, Fabio Pontiggia pone alcuni interrogativi in merito a quello che lui chiama il «polverone» dei rimborsi spese del Governo cantonale. Merita qualche risposta.

Per prima cosa constata come la questione sollevata sia vecchia di 18 anni. È vero, la questione si pone praticamente negli stessi termini di 18 anni fa. Ed è vero che il sottoscritto si è, in parte, limitato a un copia e incolla della precedente richiesta di risarcimento (anche per questo avevamo chiesto al Partito socialista di condividere questa richiesta: abbiamo avuto una risposta negativa). Ma proprio qui sta il problema: come è possibile che una questione sia stata posta (e non risolta) 18 anni fa e sia ancora sul tappeto?

Per noi è evidente: il Governo ha fatto in parte e male i compiti assegnatigli all’epoca, per risolvere la questione. Ha reso legale il principio del rimborso spese (sul quale sembra si concentri tutta l’attenzione del «Corriere del Ticino»), anche se in modo non completo e non nell’importo di 15.000 franchi annui. Ma ha fatto finta di nulla sugli altri privilegi: due mesi di stipendio a fine mandato, un regalo esentasse di 10.000 franchi, l’abbonamento per le spese telefoniche di 3’600 franchi, eccetera. Questioni che al direttore del «Corriere» sembrano trascurabili, visto che non vengono nemmeno menzionate.

Tutto questo (e altro ancora: perché ci sono molti altri scheletri nell’armadio) dimostra la natura del Governo e del potere politico: la più totale opacità, la tendenza a sfuggire ad ogni controllo, la totale incapacità dei controllori (in questo caso i maggiori partiti del Parlamento) ad esercitare il proprio ruolo, la tendenza a «trovare accordi» nei quali tutti possono guadagnarci. Lo stesso Pontiggia ammette tutto questo quando deve riconoscere «la scarsa trasparenza sulle regole relative ai rimborsi spese e sulla loro applicazione dal 2011 in avanti».

A non essere opache invece sono le ragioni della nostra campagna. Non solo quanto richiamato qui sopra sulla natura del potere politico nel capitalismo liberale, ma ragioni squisitamente politiche. Il Movimento per il socialismo (MPS) è una forza politica di opposizione e fa il suo mestiere; un liberale come Pontiggia dovrebbe esserne felice.

Possiamo permetterci di fare questo anche perché la nostra è una prospettiva politica radicalmente diversa da quella degli altri: non dobbiamo costruire «carriere» politiche, non abbiamo padroni e padrini politici, non siamo ricattabili o «comprabili». Val la pena ricordare, a questo proposito, una singolare coincidenza: all’epoca in cui si «risolse» la questione delle indennità al Consiglio di Stato venne varato un nuovo sistema di rimborsi spese ai partiti e ai deputati estremamente generoso (in particolare per i partiti maggiori). Naturalmente fu solo una coincidenza.

Infine Pontiggia ritiene che le responsabilità maggiori spettino al Parlamento nella misura in cui è stato incapace di esercitare la sua funzione di controllo, in particolare al momento dell’approvazione di preventivi e consuntivi. Ha ragione. Ma questo non è altro che un giudizio politico su un sistema e una classe politica che non vogliono che venga esercita questa funzione di controllo.

È l’essenza, caro Pontiggia, della democrazia liberale all’epoca di un capitalismo sempre più autodistruttivo e insofferente a qualsiasi forma di condizionamento. Si può far finta di meravigliarsi, ma è un atteggiamento puramente ideologico.

*Opinione del deputato dell’MPS in Gran Consiglio Matteo Pronzini pubblicata su il Corriere del Ticino del 28.02.2018