Negli ultimi mesi l’offensiva del governo francese ha investito molti settori, dagli ospedali alle collettività locali, dai premi degli oneri sociali alla soppressione degli aiuti all’occupazione.
Ma ora l’attacco sferrato da Macron rappresenta un passaggio fondamentale: dal suo successo dipenderanno molte cose sul piano politico e sociale, non solo in Francia ma in tutta l’Europa.
Ci riferiamo alle proposte di riforma delle ferrovie (la SNCF) che investe questioni di fondo: garanzia del posto di lavoro, statuto di funzionario, salari, pensioni. Il tutto nell’ambito di un progetto di “riorganizzazione” della SNCF in direzione di un’apertura al privato. Il tutto condito con la solita salsa neoliberale della competitività e della necessità di risparmiare per reinvestire nella “modernità”.
Macron ha organizzato una prova di forza decisiva per la continuazione della sua politica, attaccando uno dei bastioni dei salariati che, seppur tra alti e bassi, ha finora tenuto di fronte ai vari attacchi dei precedenti governi.
E i ferrovieri francesi, che possono contare su un sindacalismo di lotta che si è rinnovato in questi ultimi due decenni, soprattutto grazie alla nascita e alla crescita di SUD-Rail, hanno deciso di accettare questa sfida.
Quando i lettori e le lettrici di Solidarietà leggeranno questo editoriale sarà appena trascorsa la giornata del 22 marzo che il movimento sindacale ha scelto per la mobilitazione dei ferrovieri ai quali si aggiungeranno lavoratori e lavoratrici di altri settore pubblici.
Poi, a partire dai giorni seguenti, cominceranno gli scioperi alla SNCF, con un calendario ancora oggetto di dibattito tra i lavoratori e le diverse componenti sindacali, ma che si configura già sin d’ora come una vera e proprio prova di forza tra il governo e i lavoratori.
Non è certo uno scontro semplice al quale i lavoratori delle ferrovie si avviano a cuor leggero. Sono da tempo, sotto pressione; e hanno già subito gli stessi attacchi subiti dagli altri salariati in questi ultimi anni. La stanchezza, la paura, una situazione politica e sindacale che certo non aiuta; così come non aiuta il ricordo delle sconfitte subite negli anni scorsi dal movimento sindacale (in particolare al momento della mobilitazione contro La loi travail imposta dal governo Holland nel quale, è bene ricordarlo, Macron ha avuto fino quasi alla fine un ruolo non certo secondario).
Ma gli “cheminots” sanno molto bene che per vincere non basteranno poche ore di sciopero. Sanno benissimo che ci vorrà una lotta lunga, continua, dura, che metterà alla prova la loro resistenza. Ma sanno anche che in gioco non vi è solo il loro futuro, ma il futuro dei salariati francesi ed europei.
In passato le lotte dei ferrovieri francesi hanno sempre potuto contare su un ampio sostegno popolare (basti pensare al movimento del 1995 che portò addirittura alla caduta del governo Juppé). Anche questa volta avranno bisogno del sostegno non solo degli altri lavoratori e lavoratrici francesi, ma di tutti coloro, in Europa, che si battono contro le politiche neoliberali di privatizzazione e di attacco alle condizioni di vita e di lavoro.
Nelle prossime settimane dovremo essere tutti cheminot(e)s! E speriamo che i numeri portino fortuna: il 22 marzo di 50 anni fa, a Nanterre, prendeva le mosse il “mouvement 22 mars” dal quale si svilupperà il movimento di contestazione che avrà il suo apice nel maggio 68. Che, non dimentichiamolo, non è stato solo un movimento di studenti desiderosi di vivere altrimenti e di cambiare la società; ma il momento dei più grandi scioperi operai del dopoguerra, scioperi che hanno modificato in modo importante i rapporti di forza politici e sociali degli anni successivi.
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