Certamente il dato più rilevante che emerge dal voto del 4 marzo è il clamoroso spostamento di consensi che si registra in direzione delle forze politiche che in modo più deciso ed evidente hanno svolto negli ultimi 5 anni un ruolo di opposizione.
Il PD, che a partire dalla sostituzione di Berlusconi con Monti nell’autunno 2011 ha svolto una funzione centrale nell’apparato di governo e nel sostegno alle politiche di austerità, passa dai 12.095.306 voti ottenuti da Walter Veltroni nel 2008 (quando fu sconfitto dal centrodestra), dai 8.646.034 voti ottenuto da Bersani al momento della sua “non vittoria” nel 2013, ai 6.134.727 voti raccolti da Renzi domenica scorsa. I 2.511.307 voti che mancano (e ne mancano 5.038.134 se il raffronto viene fatto con le più recenti elezioni europee del 2014) si sono tutti in buona sostanza riversati sul M5S.
Anche considerando i risultati di Liberi e Uguali, il consenso verso l’ipotesi del centrosinistra, nelle sue varie interpretazioni, è in caduta verticale, visto che anche la somma delle varie liste riconducibili all’ulivismo complessivamente intese perde il 40% dei voti raccolti nel 2008, il 16% di quanto raccolto nel 2013 (e il 35% degli elettori raccolti nelle europee del 2014).
Un meccanismo analogo ha colpito Forza Italia. Il partito di Berlusconi raccoglie 4.590.774 voti, perdendone 2.741.360 rispetto al Popolo delle libertà del 2013, 9.038.690 rispetto al 2008 (ma di questi una parte era confluita in Fratelli d’Italia), sostanzialmente replicando il risultato delle elezioni europee del 2014 (4.605.331). Anche qui, nella buona sostanza, tutti questi milioni di voti si sono trasferiti in gran parte sulla Lega e, in misura minore, su Fratelli d’Italia (che passa da 666.765 voti a 1.422.321).
Al contrario il centrodestra, con la “trazione” leghista, conquista il 25% di voti in più del 2013 (e perfino il 60% in più di quelli delle europee del 2014), pur non riuscendo a riconquistare i consensi ottenuti nel successo “storico” del 2008 dopo la disastrosa esperienza del governo Prodi 2 (perdendo il 30% di quei voti, anche se occorre tenere presente che allora ci furono circa 5 milioni di voti validi in più).
Il Movimento 5 Stelle, da parte sua, conquista 2.006.588 voti (+23%) rispetto al 2013 e perfino 4.905.129 voti rispetto alle europee del 2014 (+85%). Si tratta di quote in numero di voti assoluti molto simili a quelle perdute dal PD, a testimonianza del fatto che il M5S ha in gran parte polarizzato quote consistenti di elettorato deluso di centrosinistra e di sinistra. Naturalmente nessun raffronto si può fare con il 2008 quando il M5S non era presente.
Né si possono escludere quote non irrilevanti di trasferimenti di voti incrociati tra i vari schieramenti. Gli studi più approfonditi sui flussi dimostrano che, in particolare al Sud, molti elettori tradizionalmente di centrodestra hanno riversato il proprio voto sul M5S. Resta che livelli di “mobilità” tra gli schieramenti e tra i partiti hanno una dimensione con pochi precedenti storici.
Le periferie delle metropoli, statisticamente quelle popolate dai settori sociali che più hanno sofferto delle politiche dell’austerità, hanno massicciamente premiato Lega e M5S. Le periferie del Nord hanno in particolare scelto Salvini, mantenendo però, seppur con cali non irrilevanti, importanti consensi anche ai grillini. Nel Sud le periferie al contrario hanno sfornato risultati semiplebiscitari per il M5S. Non si deve però trascurare il fatto che la Lega, accantonando perfino nel simbolo ogni riferimento alle sue radici territoriali, è riuscita a polarizzare su di sé i consensi anche dei settori popolari meridionali più affascinati dalle pulsioni reazionarie, probabilmente catalizzando voti che altrimenti sarebbero confluiti su Fratelli d’Italia o addirittura sulle liste esplicitamente fasciste.
Nel Centro Italia, tradizionale bacino di consensi per il centrosinistra, il PD perde qualunque primazia, a favore anche là di M5S e Lega.
Analizzando il dato regione per regione, si rileva che PD e Forza Italia flettono massicciamente ovunque, mentre la Lega cresce ovunque in modo proporzionalmente travolgente. Cospicuo è l’aumento del M5S, per il quale occorre comunque registrare i numerosi e rilevanti cali al Nord compensati dalla travolgente crescita nel Sud.
Nel Piemonte la Lega fa un vero e proprio exploit, raccogliendo 430.000 voti in più del 2013, sottraendoli a tutti gli altri partiti: Forza Italia -500.000, PD -92.000 voti, M5S -58.000.
In Lombardia, la Lega conquista 826.000 voti in più del 2013, sottraendoli al PD (-286.000) e a Forza Italia (-416.000). In Lombardia anche il M5S cresce, ma solo di 50.000 voti
Nel Veneto, la Lega cresce di 610.000 voti, mentre ne perdono il PD 150.000 e Forza Italia 245.000. Anche il M5S perde 80.000 voti.
Nel Trentino Alto Adige, la Lega cresce di 82.000 voti, il M5S di 20.000. Il PD e Forza Italia perdono rispettivamente 20.000 e 27.000 voti. Occorre qui segnalare anche i 12.000 voti persi dal Südtiroler Volkspartei.
Nel Friuli la Lega aumenta di 130.000 voti, sottraendoli a tutti gli altri partiti: PD -49.000, Forza Italia -60.000, M5S -27.000.
Anche in Liguria, la Lega, crescendo di 150.000 voti, sottrae consensi a tutti gli altri: PD -89.000, Forza Italia -65.000, M5S -40.000.
In Emilia Romagna la Lega cresce di 418.000 voti. Più contenuta la crescita del M5S (+40.000). Il PD ne perde 321.000 e Forza Italia 183.000.
In Toscana, la Lega cresce di 355.000 voti, sottraendone 200.000 al PD e 176.000 a Forza Italia. Anche il M5S cala ma di soli 5.000 voti.
In Umbria, la Lega aumenta di 100.000 voti, mentre il PD ne perde 28.000 e Forza Italia 45.000. Il M5S perde 2.000 voti.
Nelle Marche, aumentano la Lega di 147.000 voti e il M5S di 18.000. Calano il PD (-67.000) e Forza Italia (-45.000).
Nel Lazio, la Lega aumenta di 400.000, il M5S di 60.000 voti, a discapito del PD che ne perde 294.000 e di Forza Italia che ne perde 355.000.
In Abruzzo, la Lega conquista 103.000 voti in più del 2013, in gran parte sottratti a Forza Italia (-76.000); il M5S ne conquista 70.000, la stessa quantità che perde il PD.
Nel Molise, la Lega aumenta di 15.000 voti, il M5S di 26.000, mentre il PD ne perde 16.000 e Forza Italia 11.000.
In Campania, il M5S aumenta clamorosamente di 820.000 voti rispetto al 2013. Ma sorprendentemente anche la Lega dimentica i risultati insignificanti del 2013 (meno di 8.000 voti in tutta la regione) conquistando 130.000 voti. Il PD perde 143.000 voti e Forza Italia crolla perdendone 516.000.
In Puglia, il M5S aumenta di 419.000 voti. Anche qui la Lega, che nel 2013 aveva 1.500 voti oggi ne raccoglie 135.000. Il PD perde 108.000 voti. Forza Italia ne perde 228.000.
In Basilicata, il M5S cresce di 64.000 voti, ma la Lega passa dai 400 del 2013 ai 20.000 del 2018. Il PD perde 29.000 voti e 20.000 ne perde Forza Italia.
In Calabria, il M5S cresce di 174.000 voti. La Lega passa da 2.300 a 53.000. Il PD perde 75.000 voti e Forza Italia 34.000.
In Sicilia, il M5S cresce di 338.000 voti. La Lega passa dai 4.700 voti del 2013 ai 187.000 di oggi. Il PD perde 190.000 voti, Forza Italia 167.000.
Infine in Sardegna, il M5S cresce di 94.000 voti, e la Lega passa dai 1.000 voti di cinque anni fa ai 94.000 di oggi. Il PD ne perde 103.000 e Forza Italia 60.000.
Totalmente sconfitta da queste elezioni esce la prospettiva del “Renzusconi”, la versione nostrana e aggiornata delle “larghe intese”, che probabilmente era la soluzione più gradita per i “poteri forti”, nazionali e comunitari. A differenza di quanto accade in altri importanti paesi europei (in primo luogo la Germania, ma anche in maniera diversa in Spagna), i partiti nazionali espressione del PSE e del PPE, cioè il PD e Forza Italia, non raccolgono insieme che il 33% dell’elettorato.
E appare sconfitto, probabilmente definitivamente, quel bipolarismo centrodestra-centrosinistra che aveva governato il paese dal 1994 al 2011, basato sull’ “anticomunismo senza i comunisti” di Berlusconi e sull’antiberlusconismo del PDS-DS-PD. E viene probabilmente archiviato per sempre anche il “tripolarismo” che ha dominato la legislatura “renziana” (2013-2018), tra un PD “renzizzato”, un centrodestra in cerca di leadership e un M5S in trasformazione da forza “antisistema” a forza di governo.
Sparisce politicamente anche quell’area “centrista” che aveva basato le sue fortune sugli “effetti collaterali” del bipolarismo, con notabili (alcuni dei quali, come Bonino o Casini, comunque risultati eletti grazie al meccanismo antidemocratico dei collegi uninominali e del voto non disgiunto) e micropartiti passati indenni dall’appoggio a Berlusconi a quello a Renzi. I satelliti centristi del centrodestra raccolti in “Noi per l’Italia” raccolgono soltanto 429.243 voti, mentre i satelliti centristi del PD, Civica popolare della ministra Lorenzin e +Europa di Emma Bonino raccolgono rispettivamente 177.013 e 833.472. Queste tre liste “trasversali” tutte insieme raccolgono circa 1.400.000 voti, molti meno dei già deludenti 3.591.541 voti conquistati nel 2013 dalla coalizione riunitasi allora attorno a Mario Monti.
Alla sinistra del PD va registrato il risultato di Liberi e Uguali, nettamente al di sotto di quanto rilevato dai sondaggi preelettorali, per non parlare delle ipotesi millantate dai dirigenti nei talk show. 1.113.969 voti raccolti rappresentano un quoziente del tutto simile al voto ottenuto da SeL nel 2013, 1.089.231, in coalizione con il PD di Bersani. Dunque, l’apporto degli ex-PD sembra essere stato sostanzialmente irrilevante. In un’area contigua possono essere contabilizzati i 196.766 voti ottenuti dalla lista “ulivista” in coalizione con il PD Italia Europa Insieme.
Un discorso a parte merita la valutazione dei voti della sinistra “radicale”, pur nelle sue diverse espressioni. Sappiamo di sommare realtà molto differenti, ma vale la pena di registrare che Potere al Popolo, con i suoi 371.921 voti, Partito Comunista (la lista stalinista identitaria guidata dall’ex cossuttiano Marco Rizzo) con i suoi 106.748, e Per una sinistra rivoluzionaria, con i suoi 29.346 assommano 508.015 voti, ampiamente al di sotto dei 765.189 voti ottenuti nel 2013 da “Rivoluzione civile” di Antonio Ingroia (ancora di più se si considerano anche i 89.643 raccolti allora da Pcl e i 5.196 del PdAC). Ovviamente non si considerano qui le rilevanti differenze politiche e di immagine tra Potere al Popolo e la Lista Ingroia.
Più difficile è il raffronto con il 2008, quando la sinistra “radicale” sperimentò l’avventura dell’Arcobaleno (1.124.298 voti) e la presentazione delle liste del Pcl (208.296 voti) e di Sinistra Critica (168.916 voti).
Un’ultima considerazione sulle liste neofasciste: Casapound (312.192 voti) e Forza nuova (125.903 voti), per un totale di 438.095 voti, ben 255.729 in più di quelli raccolti nel 2013 dalle tre liste neofasciste allora in lizza (182.366 voti, già in crescita sui 109.699 ottenuti nel 2008 da Forza Nuova).