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Nuove Officine: il presidente di «Giù le mani» smonta l’accordo con Cantone e Città

Il sindaco di Bellinzona Mario Branda e il consigliere di Stato Christian Vitta, nelle interviste da noi pubblicate il 27 febbraio rispettivamente il 23 marzo scorsi, hanno spiegato perché ritengono una buona soluzione la dichiarazione d’intenti sottoscritta da Cantone e Città con le FFS l’11 dicembre 2017 per realizzare una nuova Officina altrove nella regione e un polo tecnologico sull’attuale terreno dello stabilimento industriale (all’operazione il consigliere federale Johann Schneider-Ammann ha dato il sostegno della Confederazione durante l’incontro di lunedì con il Consiglio di Stato). Gianni Frizzo, presidente dell’associazione «Giù le mani dall’Officina», storico leader dello sciopero del 2008 e tuttora portavoce della delegazione del personale nella piattaforma di negoziazione moderata da Franz Steinegger, rispedisce però la proposta al mittente.

Signor Frizzo, dieci anni fa si prospettava la chiusura delle Officine, adesso si propone invece di costruire un nuovo moderno stabilimento entro il 2026 che garantirà 200-230 posti di lavoro. È vero che sono meno delle attuali 400 unità circa, ma c’è comunque una prospettiva sul futuro per la quale Cantone e Città faranno la loro parte se verranno accolti i crediti di 100 rispettivamente 20 milioni. Non state scherzando col fuoco nel respingere la proposta? L’impressione è che adesso siamo al prendere o lasciare.

«In effetti si potrebbe dire che siamo stati messi di fronte al fatto compiuto: o si accetta questa proposta o si rischia di andare verso la scomparsa delle Officine. Ovviamente, dopo dieci anni che ci arrovelliamo con cuore e senso di responsabilità per dare un futuro alle Officine di Bellinzona, non è assolutamente ciò che vogliamo e che auspicano le maestranze. Questo non significa però accogliere senza fiatare proposte ingannevoli e poco trasparenti che confondono l’opinione pubblica e che, di fatto, porteranno a un tracollo occupazionale per le Officine: perdita di oltre il 50% rispetto a oggi e di circa il 70% rispetto agli accordi firmati. In questo decennio abbiamo cercato d’assicurare il futuro delle Officine non solo attraverso la mobilitazione, ma anche proponendo dei progetti concreti come quello, per esempio, dell’iniziativa popolare per la creazione di un polo tecnologico sostenuta da oltre 15.000 firmatari, sfociata poi nel mandato assegnato dal Consiglio di Stato alla SUPSI di elaborare dei possibili scenari per un ulteriore futuro sviluppo economico e aziendale delle Officine. Da qui si è poi arrivati alla creazione del Centro di competenza in materia di mobilità sostenibile e ferroviaria e alla convenzione del 2013 sottoscritta anche dalle Ferrovie. È questo il modello che si sarebbe dovuto sviluppare. Se oggi ci troviamo in una nebulosa situazione, totalmente diversa da quella progettata, con le conseguenze negative che si prospettano fin da subito, non è di certo per responsabilità nostra».

Il Centro di competenza non è però servito a nulla.

«Secondo lo studio della SUPSI e il successivo studio di fattibilità della BDO il Centro di competenza, oltre che garantire i volumi di lavoro, portare nuovi progetti e offrire al personale una formazione adeguata, avrebbe dovuto servire a elaborare un sistema organizzativo per permettere alle Officine d’aver maggiore autonomia e flessibilità così da proporsi anche sul mercato privato. Essere quindi in grado di poter sviluppare dei progetti innovativi e garantirsi una diversificazione dei prodotti, tali da mantenere, se non addirittura incrementare, l’occupazione. Non volevamo semplicemente subire il declino delle Officine a seguito delle strategia delle Ferrovie, ma essere propositivi verso il futuro con un obiettivo comune tra maestranze e istituzioni politiche. La convenzione del 2013 è sempre stata però disattesa dalle FFS e privata di una sua più che opportuna difesa da parte delle istituzioni politiche».

Ma le Officine sono delle FFS, a loro volta della Confederazione, non del Cantone, della Città o delle maestranze. È difficile andare a comandare in casa d’altri.

«Questo è il pretestuoso concetto che si è sempre cercato di farci digerire. Però allora ci si chiede perché sono stati sottoscritti determinati accordi. Addirittura il Consiglio di Stato, nel messaggio del 2014, chiese ai promotori dell’iniziativa popolare del 2008 per la creazione di un polo tecnologico di ritirare l’iniziativa con la motivazione che con il Centro di competenza si erano raggiunti gli scopi della stessa. Saggiamente, con lungimiranza, non l’abbiamo mai ritirata. Difatti, quello che ci stanno proponendo oggi i vertici aziendali, con l’avallo delle istituzioni politiche locali, viene meno al rispetto degli impegni presi nei riguardi delle maestranze e di tutte le cittadine e i cittadini che, in buona fede, hanno confidato nel fatto che il progetto di Centro di competenza, con i rispettivi accordi sottoscritti, fosse un’adeguata risposta all’iniziativa popolare».

L’iniziativa popolare parla in sostanza della creazione attorno alle Officine di un polo tecnologico, che è in fondo quanto si propone oggi assieme alla realizzazione del nuovo stabilimento industriale. Perché allora non vi va bene?

«Il nostro discorso aveva al centro la preoccupazione di mantenere e possibilmente rafforzare l’occupazione con progetti mirati a rendere più autonome le Officine dal sistema molto rigido e centralistico delle FFS. Per noi il polo tecnologico, poi trasformatosi in Centro di competenza, avrebbe dovuto, supportato anche dagli accordi sottoscritti, servire a raggiungere questi obiettivi. Il polo tecnologico che troviamo oggi descritto nella dichiarazione d’intenti è invece molto aleatorio e soprattutto radicalmente diverso dal nostro, perché la futura struttura, che non avrà più nulla a che vedere con le attuali Officine, tornerà, come sta già avvenendo, a essere una struttura a se stante rigidamente gestita da Berna e in funzione dei bisogni esclusivi delle FFS, non aperta al mercato della mobilità più generale. Non crediamo che questa visione potrà portare a particolari sviluppi per la realtà industriale della regione. Con l’aggiunta poi della provocazione bella e buona del consistente taglio netto dei posti di lavoro. Questa farà certamente parte di tutta quella serie di riflessioni e legittime domande che dovranno insinuarsi in tutti coloro che hanno a cuore il destino delle Officine».

Nell’intervista da noi pubblicata il 23 marzo il consigliere di Stato Christian Vitta ha comunque detto chiaramente che il Centro di competenza dovrà giocare un ruolo importante nell’ambito della mobilità sostenibile e ferroviaria, con uno stretto rapporto sia con le nuove Officine sia con il polo tecnologico. Perché non vi convince?

«Perché stiamo buttando alle ortiche ciò che già esiste, e su cui tutti erano d’accordo, per andare verso qualcosa di molto aleatorio che nessuno sa dove porterà. D’altra parte il concetto secondo cui “le Officine sono un bene comune inalienabile”, oltre che da noi, è stato pure sostenuto, in questi anni, dalle istituzioni politiche per mezzo del varo di progetti, messaggi e accordi sottoscritti. Il futuro dovrebbe dunque svilupparsi coerentemente secondo questi criteri».

Il problema che nelle attuali Officine è difficile fare la manutenzione del nuovo materiale rotabile come i TiLo, a seguito della lunghezza dei convogli, è oggettivo o no?

«Sì e no, in quanto si è già dimostrato che la manutenzione dei TiLo può essere fatta alle Officine. Per il resto, bastava solo, come stabilito dagli accordi, iniziare a investire per adeguare le infrastrutture delle attuali Officine in funzione della manutenzione del nuovo materiale rotabile. Non giriamoci attorno: il vero motivo per costruire altrove un nuovo stabilimento, perdendo molti posti di lavoro, è semplicemente quello di potersi liberare definitivamente dell’annoso problema del mancato rispetto degli accordi e, soprattutto, di mettere finalmente le mani su appetibili terreni. Punto. I nodi stanno comunque venendo al pettine e di conseguenza cadranno anche le maschere e verrà mostrato il vero volto di chi aspirava, da tempo, a questo scenario».

Sia Vitta sia Branda hanno dichiarato che sulla fase transitoria vi sono importanti aspetti ancora da chiarire coinvolgendo le maestranze. Cosa ne pensa?

«In assenza di vincoli precisi, nel periodo definito di transizione, in attesa che entri in funzione l’ipotetico stabilimento previsto, le Officine potranno essere gradualmente smantellate, poiché le FFS si sentiranno definitivamente liberate dagli accordi in precedenza sottoscritti e autorizzate a proseguire con il processo di declino programmato: dislocando attività, disinvestendo, rinunciando al poten- ziamento della clientela. È quello che, purtroppo, sta già accadendo. I rappresentanti del personale sono stati bypassati nel momento della stesura della dichiarazione d’intenti firmata da FFS, Cantone e Città lo scorso 11 dicembre. Adesso ci chiedono di entrare nel merito di contenuti i cui paletti sono già stati chiaramente fissati dalle FFS. Vista l’esperienza fatta in questi anni sulla dinamica instauratasi alle Officine è difficile credere che siano sufficienti delle buone intenzioni per far ritornare sui propri passi le FFS».

Tutti ammettono che le Ferrovie in questi anni hanno commesso errori strategici e di comunicazione, ma adesso sul tavolo c’è una proposta sulla quale confrontarsi senza pregiudizi. Perché non può crearsi un nuovo rapporto di fiducia tra voi e le FFS?

«Non è questione di fiducia o pregiudizi, bensì del fatto che nel corso degli ultimi dieci anni abbiamo visto cambiare troppe volte gli interlocutori, con modifiche importanti delle decisioni prese in precedenza, sempre con motivazioni piuttosto pretestuose, ricondotte al mandato politico in base al quale le FFS devono gestirsi. Il ragionamento dev’essere fondato su elementi concreti. E qui cosa costatiamo? Che per il nuovo progetto, anziché coinvolgere pariteticamente anche noi attraverso la piattaforma di negoziazione moderata da Franz Steinegger dove sono presenti rappresentanti delle maestranze, delle Ferrovie e delle autorità cantonali, le FFS, con il progetto “Prospettiva generale Ticino”, si sono rivolte unicamente e direttamente a Cantone e Città, cercando poi di coinvolgerci a condizioni per noi inaccettabili. È come se durante una partita di calcio in corso una squadra decidesse, unilateralmente, che il secondo tempo lo vuole giocare scegliendo lei chi scenderà in campo come squadra avversaria, con regole sue e possibilmente senza arbitro, eludendo inoltre il risultato fin qui raggiunto. È allora difficile parlare di fiducia».

A suo giudizio perché le FFS per il secondo tempo hanno voluto cambiare avversario e cacciare l’arbitro?

«Oso supporre perché sapevano dove avrebbero trovato il ventre molle».

L’iter è tuttavia ancora lungo. Intanto mancano ancora le decisioni degli Esecutivi cantonale e comunale, poi ci vorrà l’avallo dei Legislativi, con possibilità di referendum. Questo percorso non è una garanzia per confrontarsi pubblicamente su tutti gli argomenti?

«Si incontrano regolarmente delle persone che la pensano come noi e che mi dicono di tenere duro. Ci sono ancora molte emozioni sul tema delle Officine, che fanno parte dell’identità economica e sociale di Bellinzona. Questa non è nostalgia per il passato, ma lo sprone per aprirci al futuro con la garanzia di costruire davvero delle nuove opportunità. Il dibattito sia nei Legislativi sia nel Paese sarà importante e permetterà di sollevare tutte le questioni. La politica dovrà tener conto di quanto pensa l’opinione pubblica. Ecco perché quest’ultima va informata e coinvolta con la massima trasparenza. Non dimentichiamo che nel 2008, con lo sciopero e le azioni delle maestranze, vi fu un’enorme mobilitazione popolare. Ci vuole quindi il massimo rispetto per il popolo delle Officine».

Pensa davvero che la grande mobilitazione popolare di allora possa ricrearsi, considerato oltretutto che adesso viene offerta l’alternativa delle nuove Officine? Anche molti politici che sfilarono in «pittureria» per interessi elettoralistici del momento è possibile che ora se la squaglino. Voi avete usato loro, loro hanno usato voi.

«Credo non sia sbagliato affermare che nel 2008 l’impegno delle istituzioni politiche verso le Officine ha, in parte, favorito la mobilitazione. Tuttavia oggi le loro posizioni contribuiscono a creare l’effetto opposto. Abbiamo politici che godono di un certo consenso e dunque sono, dai loro estimatori, creduti quando danno delle garanzie, e questo vale anche per quanto riguarda il futuro delle Officine. Pochi sono coloro che vanno, come sarebbe indispensabile fare, a verificare se queste garanzie sono solide e corrispondenti agli impegni finora presi. In realtà ciò che abbiamo tra le mani è solo quanto hanno presentato le FFS per soddisfare le loro esclusive esigenze. Dal momento invece che abbiamo negoziato e ottenuto, per le Officine, altre prospettive con esigenze industriali legate al territorio dove sono inserite da oltre un secolo, perché dobbiamo pensare a un ipotetico polo tecnologico? Perché buttarci in questa operazione quando abbiamo già da tempo pianificato e approvato un Centro di competenza, con tanto di direttore, avente quale fulcro le nostre Officine? Con senso di responsabilità e molta preoccupazione non possiamo accontentarci di una promessa basata su delle aleatorie intenzioni. Si mostri, perlomeno, un piano industriale preciso con tutti gli aspetti inerenti alla gestione attuale e futura delle Officine, in linea con gli accordi sottoscritti finora».

Governo e Municipio di Bellinzona vi hanno già convocati per discuterne?

«No. Non ci risulta che il Governo o il Municipio di Bellinzona abbiano finora, come in questi anni, sentito l’esigenza di convocarci per un incontro preliminare. Salvo sorprese, si suppone dunque che, in vista della piattaforma di negoziazione del prossimo 30 aprile, la dinamica sarà purtroppo ancora questa».

Con quali intenzioni andrete dunque alla piattaforma di negoziazione?

«Con l’intenzione di portare con coerenza i nostri argomenti, pronti al dialogo se è reciproco e in linea con quanto previsto dalla convenzione di piattaforma e dagli accordi presi. Siamo consapevoli che la dichiarazione d’intenti tra FFS, Cantone e Città sarebbe approvata con maggior facilità se ci fosse il nostro consenso. Ma, per oggettivi motivi, l’adesione la potremo dare solo se cambieranno radicalmente le condizioni quadro di quanto presentatoci in questi ultimi mesi. Dobbiamo essere tutti consapevoli della necessità di dover agire tempestivamente, nel rispetto degli accordi sottoscritti, affinché le Officine non vengano subdolamente spolpate fino all’osso, per giungere poi a costatarne la morte per anoressia, rendendosi infine conto che il bel vestitino servirà a nient’altro che a coprire le spoglie di quello che fu un prezioso bene comune».

*Intervista di Bruno Costantini a Gianni Frizzo apparsa sul Corriere del Ticino del 12 aprile 2018