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Il prossimo 29 aprile saremo chiamati a votare sull’ennesimo pacchetto di sgravi fiscali elaborato dal governo e accettato da praticamente tutte le forze politiche ticinesi, gruppo parlamentare PS compreso.
Fra i diversi sgravi promossi, vi sono anche quelli concernenti contribuenti con una sostanza superiore ai 1,38 milioni di franchi, misure che provocheranno – secondo le stime governative, perciò non proprio affidabili – un mancato introito per le finanze pubbliche pari a 26,7 milioni di franchi annui.
Questi sgravi fiscali sono particolarmente odiosi: si tratta di rendere ancora più ricchi coloro che lo sono già, avvantaggiati da quasi 30 anni di regali fiscali continui, a livello federale come a livello cantonale. E ciò in un contesto nel quale la stragrande maggioranza delle salariate e dei salariati di questo cantone subiscono una crescente precarietà sociale, lavorativa ed economica. Detto più brutalmente si aumenta la ricchezza di una ultra-minoranza della popolazione mentre la quasi totalità di questa subisce, secondo un’intensità diversa, un processo d’impoverimento palese. Gli sgravi fiscali ai ricchi cristallizzano la natura oltremodo classista della politica elvetica e ticinese.
Con il presente contributo vogliamo soffermarci su una questione fondamentale delle più “secretate” nel nostro paese ma che gli sgravi sui patrimoni dei ricchi fa emergere con prepotenza: la ripartizione della ricchezza sociale prodotta in Svizzera e in Ticino. La sua dinamica nel tempo contribuisce a fissare l’evoluzione delle disuguaglianze all’interno di una determinata società. E in ultima analisi, è uno strumento politico-didattico per mostrare l’esistenza di una società divisa in classi, costruita su interessi inconciliabili.
La centralità politica della ripartizione della ricchezza sociale prodotta è misurabile dal fatto che in Svizzera gli studi su questo tema, come i dati statistici sistematici, sono praticamente inesistenti per chiara volontà delle frazioni dominanti della borghesia elvetica. Una debolezza intrattenuta al fine di nascondere i suoi interessi di classe, assicurando così la leggenda di un paese interclassista edificato sulla “comunanza degli interessi”, in un equilibrio d’interessi più o meno equamente suddivisi fra chi produce la ricchezza sociale, i milioni di lavoratori e lavoratrici attivi in Svizzera, e coloro che si appropriano dei risultati di questo lavoro, una ristretta minoranza di padroni.

Alcune premesse necessarie

Prima di addentrarci nell’analisi dei patrimoni accumulati in Svizzera e in Ticino, è necessario chiarire alcuni aspetti. I dati più interessanti emergono dalle pubblicazioni statistiche dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC). Il profilo dei patrimoni tracciato dalle inchieste dell’AFC non corrisponde ovviamente alla realtà. E ciò per tre ragioni. Innanzitutto, la base imponibile relativa alla sostanza concerne solo il 52% del valore netto del patrimonio delle famiglie. Infatti diversi elementi della sostanza non sono presi in considerazione dalla statistica, in particolare gli immobili sono recensiti secondo il loro valore fiscale mentre il loro valore di mercato è molto più elevato. Secondariamente, bisogna considerare l’evasione fiscale, attività praticata soprattutto dai grossi contribuenti. Difficile stabilire la dimensione dell’evasione fiscale ma vecchi studi indicando che questa si aggira attorno al 30% almeno della sostanza dichiarata al fisco. Infine, non bisogna dimenticare che i grandi patrimoni dispongono dei mezzi finanziari per pagarsi i preziosi servizi di fiduciari e studi di avvocatura in grado di offrire le migliori soluzioni in materia di ottimizzazione fiscale (1). Riassumendo, i dati dell’AFC, ai quali abbiamo attinto per elaborare la maggior parte delle nostre osservazioni, riproducono solo una minima parte della realtà patrimoniale dichiarata fiscalmente in Svizzera. E questo è soprattutto vero per i grandi patrimoni, coloro che traggono più vantaggi dalla politica degli sgravi fiscali attuata a tutti i livelli…

Una certezza: negli ultimi 30 anni in Svizzera i ricchi sono diventati sempre più ricchi!

Come più volte ripetuto, pochissimi studi e dati sono disponibili per misurare l’evoluzione e la ripartizione della ricchezza sociale prodotta. In maniera generale, si può affermare che almeno dagli ultimi 40 anni in Svizzera si è accelerato un processo di pauperizzazione relativa di chi è costretto a vendere la propria forza lavoro per sopravvivere, ovvero i salariati e le salariate. Per pauperizzazione si intende la tendenza alla riduzione della parte relativa dei salari all’interno della ricchezza sociale nuovamente creata. Detto altrimenti, questo processo comporta un aumento dei salari reali sul lungo termine inferiore all’aumento della ricchezza sociale e della produttività media del lavoro. In Svizzera, la parte dei salari nel Prodotto Nazionale Lordo (PNL) (2) è passata dal 68,2% nel 1978, al 60% nel 1995, riducendosi ancora al 59% nel 2012. Per quanto riguarda la ripartizione della ricchezza sociale prodotta, non esistono altri dati generali, né tanto meno studi approfonditi. La spiegazione di questa mancanza è semplice: il quadro che ne emergerebbe potrebbe potenzialmente rappresentare un fattore scatenante la presa di coscienza politica da parte delle lavoratrici e dei lavoratori sul fatto che solo una minima parte dell’enorme ricchezza da loro realizzata ritorna nelle loro mani sotto forma di salario diretto e indiretto. In maniera ancora più esplicita, questi dati potrebbero dimostrare chiaramente la possibilità di ottenere salari nettamente più elevati, servici sociali e pubblici più sviluppati e a basso costo, di sviluppare e rafforzare senza comune misura con la situazione attuale le assicurazioni sociali e tutto l’impianto pensionistico. Naturalmente a netto favore delle salariate e dei salariati di questo paese.
È a livello della sostanza, del patrimonio, che troviamo i dati numerici che permettono di abbozzare un’analisi parziale ma piuttosto precisa sull’accumulazione e sulla ripartizione della ricchezza in Svizzera. E il profilo che emerge è inappellabile: siamo i campioni del mondo della disuguaglianza in termini di sostanza. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) scrive in un recente studio dedicato alla Svizzera che «la parte del reddito e del patrimonio detenuto dall’1% dei più ricchi è cresciuta nel corso degli ultimi due decenni» (3). La stessa Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), in uno studio del 2011 che si riferiva ai dati del 2008, sotto il titolo evocativo “Poca ricchezza per molti, molta ricchezza per pochi”, affermava che «per l’insieme dei patrimoni del paese, il coefficiente di Gini (4) si eleva allo 0,846, ciò che indica una ripartizione dei patrimoni molto ineguale» (5). Lo studio della Banca centrale europea (BCE), pubblicato nel 2013 (6) , confermava integralmente i valori misurati dall’AFC per il 2008: il coefficiente di Gini non si schioda dallo 0,85. Infine tocca al Credito Svizzero, nel novembre del 2017, confermare questa scenario inquietante: «fra i 10 paesi con le più lunghe serie di dati sulla distribuzione della ricchezza, la Svizzera è la sola a non aver conosciuto una significativa riduzione delle disuguaglianze rispetto al secolo scorso» (7). La liberale Tribune de Genève riassume in maniera ammirabile la situazione della ripartizione della ricchezza patrimoniale in Svizzera: «alla luce del coefficiente di Gini, la Svizzera ha tutti i tratti di un’oligarchia che vede i patrimoni concentrarsi in alcune mani» (8).
Se abbandoniamo il coefficiente di Gini e ci concentriamo sui dati pubblicati dall’AFC, le disuguaglianze nella ripartizione della sostanza delle persone fisiche appare ancora più violenta. Se prendiamo la categoria dei contribuenti che dichiaravano, in Svizzera, un patrimonio superiore ai 5 milioni di franchi, nel 1981 il loro numero era di 3’683 unità su un totale 3,302 milioni di contribuenti, ossia lo 0,11% di tutti i contribuenti. Sempre nel 1981, questo 0,11% deteneva 44,413 miliardi di franchi di sostanza dichiarata su un totale di 311 miliardi, ossia possedeva il 14,28% di tutti i patrimoni dichiarati dai contribuenti elvetici. Nel 2014, questa categoria di contribuenti ha raggiunto le 35’683 unità, pari allo 0,68% del totale dei contribuenti. La sostanza da essi detenuta è lievitata a 674,121 miliardi di franchi (su un totale di 1’755,505 miliardi di franchi di sostanza dichiarata). Ciò vuol dire che nel 2014, lo 0,68% dei contribuenti possedeva il 38,40% di tutta la sostanza dichiarata in Svizzera! A titolo d’esempio, nel 2015, l’1% più ricco dei contribuenti italiani deteneva il 21,5% del totale dei patrimoni dichiarati…(9). Se ricapitoliamo la situazione in Svizzera per i contribuenti con patrimoni uguali o superiori ai 5 milioni di franchi, dal 1981 al 2014 il loro numero è cresciuto di 5 volte (+ 518, 18%) mentre i loro patrimoni di ben 14 volte (+ 1’417,84%)! La sostanza totale dichiarata dai contribuenti elvetici è cresciuta, sempre sul periodo 1981-2014, di “sole” 4,5 volte (+464,3087 %). Se i ricchi sono diventati ancora più ricchi, non ci sono altre possibilità: i salariati si sono impoveriti. Non ci sono scappatoie. Se prendiamo i contribuenti senza patrimonio e fino a una sostanza di 200’000 franchi, ossia le persone che possono campare contando esclusivamente sulla loro forza lavoro, disponendo solo di un qualche risparmio o di un piccolo lascito ereditario, il loro numero era nel 1981 di 2,994 milioni, pari al 90,65% dei contribuenti elvetici e detenevano 96,421 miliardi di franchi, pari al 31% di tutti i patrimoni dichiarati. Nel 2014, questi contribuenti patrimoniali rappresentavano il 75,13% di tutti i contribuenti ma non controllavano più che il 7,87% del totale dei patrimoni annunciati al fisco…

Per una volta il Ticino non si discosta troppo dalle dinamiche nazionali…

Anche la realtà ticinese ripropone sostanzialmente le dinamiche evidenziate a livello svizzero: i ricchi sono sempre più ricchi… Se prendiamo i contribuenti che dichiarano un patrimonio uguale o superiore ai 5 milioni di franchi, nel 1981 essi rappresentavano lo 0.11% (179 unità) del totale dei contribuenti (157’595 unità) e detenevano il 15.68% (2,183 miliardi di franchi) della sostanza totale (13,921 miliardi). Nel 2014, rappresentavano lo 0.57% (1’407 unità) del totale dei contribuenti (245’259 unità) e detenevano il 32,80% (19,310 miliardi di franchi) della sostanza totale (58,870 miliardi). Rispetto alla media nazionale, questo gruppo di contribuenti ticinesi è cresciuto meno dal punto di vista numerico e detiene una percentuale minore del totale dei patrimoni dichiarati. Il dato rilevante, però, è che in Ticino questa categoria di contribuenti è quella che presenta i più forti tassi di crescita rispetto a tutte le altre: i contribuenti sono aumentati di quasi 7 volte (+ 686%) e la loro sostanza di quasi 8 volte (784,5%).
Considerati gli incubi di Vitta relativi alla fuga in massa dei super-ricchi dal Ticino perché annientati da una fiscalità sulla sostanza non solo confiscatoria ma addirittura mortifera, analizziamo la categoria di contribuenti all’interno della quale si nascondono i soggetti patrimoniali che si intascheranno i grassi e grossi regali fiscali se non dovesse vincere il referendum il prossimo 29 aprile. Dal 2003 sono stati scorporati, sia a livello svizzero che ticinesi, i contribuenti che dichiarano un patrimonio superiore ai 10 milioni di franchi. Nel 2003 essi rappresentavano lo 0.06% (136 unità) del totale dei contribuenti e detenevano il 10,34% (3,319 miliardi di franchi) della sostanza totale dichiarata. Nel 2014 essi rappresentavano lo 0.20% (510 unità) del totale dei contribuenti e detenevano il 22,33% (13,148 miliardi di franchi) della sostanza totale. Il numero di contribuenti di questa classe è cresciuto sul periodo 2003-2014 di 2,7 volte (275%), mentre la sua sostanza netta di 3 volte (296%)! I numeri, dunque, sconfessano il ministro dei super-ricchi. Certo quest’ultimo fa riferimento solo ai 100 più grossi contribuenti patrimoniali, dove si sono registrate 24 partenze a fronte di 11 arrivi. Troppo poco per giustificare oggettivamente la pretesa fuga di grandi contribuenti. In primo luogo, non è assolutamente detto che le 24 partenze siano dovuto all’improvvisa insostenibilità del tasso d’imposizione del 3,5‰… Ci possono essere mille e altri motivi alla base di queste partenze dal Ticino. Magari 23 di questi contribuenti hanno preferito il clima dei Caraibi, paesi non congestionati dal traffico e trasfigurati dalla speculazione edilizia… Sarebbe bello se Vitta ci fornisse le testimonianze scritte che questi 24 contribuenti sono partiti per ragioni fiscali. In secondo luogo, se il carico fiscale ticinese sui patrimoni fosse diventato così insopportabile, non spiegherebbe come mai, nello stesso periodo, siano arrivati comunque 11 grandi contribuenti a Sud delle Alpi…. Infine, come abbiamo dimostrato, se si allarga lo spettro dell’analisi ai contribuenti con un patrimonio dichiarato uguale o superiore ai 10 milioni, la dinamica negli ultimi 15 anni è stato oltremodo positiva, sia dal punto di vista della crescita dei numeri di contribuenti, della ricchezza accumulata e quindi del gettito fiscale.
Rimanendo sempre in tema, gli sgravi sull’imposta della sostanza andranno a vantaggio dei contribuenti che dichiarano almeno 1,38 milioni di patrimonio (10). Ricordiamo che questi regali comporteranno minori entrate per 26,7 milioni di franchi all’anno. Ebbene i vantaggi di queste misure interesseranno circa il 3,5% dei contribuenti ticinesi, i quali detengo già il 55% circa della sostanza dichiarata nel 2014 (circa 35,830 miliardi di franchi)! Se questa è la situazione dell’esigua minoranza di contribuenti che trarranno benefici dagli sgravi sulla sostanza, vale la pena gettare uno sguardo su coloro che non riceveranno neppure un centesimo. Facciamo riferimento ai contribuenti senza sostanza o con un patrimonio che non supera i 200’000 franchi. Detto altrimenti, si tratta di salariati con redditi medi e bassi, il cui patrimonio dichiarato – quando esiste – è costituito da residui salariali (piccoli risparmi) e da contenuti lasciti ereditari. Nel 1981, questa categoria di contribuenti rappresentava il 91,7% (144’548 unità) di tutti i contribuenti e deteneva il 24,40% della sostanza totale dichiarata (3,397 miliardi di franchi). Nel 2014, questa grande classe di contribuenti è diminuita all’80,5% (197’459 unità) del totale. La sostanza da essa controllata crolla invece all’11,33% (6,665 miliardi di franchi). Se è vero che il numero di questo classe si riduce sul periodo 1981-2014 del 12%, a colpire maggiormente è però il dimezzamento (-53%) della sostanza totale controllata. Non solo la stragrande maggioranza della popolazione ticinese subisce dunque un impoverimento relativo a livello patrimoniale ma la stessa è colpita simultaneamente, a partire dagli ultimi vent’anni, da un processo di contrazione dei salari, da una generale peggioramento delle condizioni di lavoro e da una contrazione profonda del salario indiretto. Se qualcuno ancora poteva nutrire dei dubbi su quali interessi le forze politiche abbiano servito in priorità nell’ultimo trentennio, quanto finora presentato toglie qualsiasi incertezza…

Alcune rapide conclusioni

È nostra intenzione chiudere questo contributo con due ultime osservazioni di fondo. Innanzitutto, i dati snocciolati sulla struttura della sostanza in Svizzera e in Ticino inducono a una conclusione tanto semplice quanto palese: trent’anni di sgravi fiscali hanno contribuito ad aggravare le disuguaglianze sociali, portando la concentrazione della ricchezza patrimoniale nelle mani di un’ultra-minoranza di super-ricchi a dei livelli che non hanno uguali non solo nei paesi capitalisti avanzati ma neppure nei paesi retti da sistemi politici oligarchici. Non è probabilmente esagerato affermare che mai nella storia contemporanea elvetica si è assistito a una polarizzazione tale tra detentori di capitali e popolazione salariata.
Questa grande vittoria ottenuta delle frazioni dominanti della borghesia svizzera è stata possibile anche grazie al perdurare del “partenariato sociale”, costruito in particolare sul principio politico ancora oggi intoccabile della “pace assoluta del lavoro”, il quale altro non è se non una collaborazione di classe perseguita dalla maggioranza delle direzioni del movimento sindacale svizzero, con i dirigenti della cosiddetta “sinistra politica” convinti partecipanti all’amministrazione collegiale, mano nella mano con il padronato, degli interessi del Capitale. Un partenariato sociale che mira a negare gli antagonismi di classe, l’opposizione irriducibile fra Capitale e Lavoro. E per mascherare questa realtà, lo stendardo della “pace assoluta del lavoro” continua a essere sventolato con convinzione dai dirigenti del movimento operaio svizzero, i quali non cessano di presentare questa specificità del sistema sociale capitalista elvetico come un compromesso fondamentale, in grado di soddisfare in maniera equilibrata gli interessi degli operai come quelli dei padroni. Il quadro statistico che abbiamo ricostruito contribuisce a smentire questo falso ideologico. Non c’è nessuna “comunanza d’interessi”, non c’è nessuna “simmetria dei vantaggi”, ma solo una società divisa in classi con interessi antagonisti. Quelli dei padroni non coincidono con quelli dei salariati. Non è mai troppo tardi per accettare questa condizione sistemica e agire di conseguenza.

1. L’insieme di pratiche volte ad ottimizzare il carico fiscale, ad esempio optando per un regime di tassazione piuttosto che un altro, muovendosi nell’ambito della legalità, cioè godendo delle opportunità contenute nella normativa fiscale, esplicitamente previste dal legislatore.
2. Il Prodotto Nazionale Lordo è il valore totale della produzione finale delle ricchezze degli attori economici di un paese durante un anno. A differenza del Prodotto Interno Lordo (PIL), esso include i ricavi netti provenienti dall’estero, cioè il reddito derivante dagli investimenti netti realizzati all’estero.
3. Etudes économiques de l’OCDE, Suisse, novembre 2017, p. 8.
4. Il coefficiente di Gini è una misura della diseguaglianza di una distribuzione. È spesso usato come indice di concentrazione per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o della ricchezza. È un numero compreso tra 0 ed 1. Valori bassi del coefficiente indicano una distribuzione abbastanza omogenea, con il valore 0 che corrisponde alla pura equidistribuzione, ad esempio la situazione in cui tutti dispongono esattamente lo stesso patrimonio; valori alti del coefficiente indicano una distribuzione più diseguale, con il valore 1 che corrisponde alla massima concentrazione, ovvero la situazione dove una persona percepisca tutto il patrimonio del paese mentre tutti gli altri hanno un patrimonio nullo. (cfr. wikipedia).
5. Administration fédérale des contributions AFC, La répartition régionale de la richesse en Suisse, Rudi Peters, Berne, 2 novembre 2011, p. 23.
6. Banca centrale europea, Household Finance and Consumption Survey, 2013.
7. Credito Svizzero, Global Wealth, Report 2017, novembre 2017, p. 53.
8. Tribune de Genève, 9 maggio 2014.
9. In Svizzera, l’1,34% dei contribuenti più ricchi deteneva, nel 2014, il 46% del totale dei patrimoni dichiarati…
10.Per fortuna che Vitta e soci giustificano gli sgravi sulla sostanza come la soluzione per evitare la fuga dei super-ricchi, i primi 100 contribuenti del cantone… Per chi combatte gli aiuti sociali a innaffiatoio, è bello notare quanto invece non diano assolutamente fastidio i regali fiscali a “innaffiatoio”, naturalmente solo se si dispone di un patrimonio di 1,38 milioni di franchi…