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Riprendiamo da “Europe Solidaire sans frontières” questo ampio articolo che ricostruisce non solo le dinamiche politiche del maggio francese, ma la portata internazionale complessiva dell’evento ’68 e in particolare l’impegno politico militante di una intera generazione.

Come far rivivere quel che è stato il decennio 1965-1975, le sue poste in gioco nel mondo e in Francia, la sua portata, i nostri impegni, il nostro universo militante? Di certo attraverso l’analisi, ma intrisa dell’esperienza vissuta, necessariamente più personale. L’esercizio è delicato con il suo andirivieni costante tra le considerazioni generali, la trasmissione di una storia politica certe volte singolare (quella della mia corrente politica) e le sue implicazioni individuali quotidiane. A questo scopo riaccendo i miei ricordi, anche se ora diffido della memoria ed in particolare della mia, che so essere lacunosa. Faccio appello quindi a un confronto dei ricordi (o degli archivi) che potrebbero spingermi a correggere o a sfumare certe mie affermazioni. (1)

Quando e dove è cominciato il Maggio 68? In molti luoghi, in molti ambiti negli anni precedenti. Noi vivemmo un “momento globale” nel mondo come in Francia. L’anno 1968 ne è un simbolo: in Vietnam l’offensiva del Tet; negli Stati Uniti, la lotta faro dei netturbini di Menphis per i diritti civili e la dignità, l’occupazione dell’Università di Columbia, il dispiegarsi delle manifestazioni antiguerra; la radicalizzazione studentesca a Varsavia, la Primavera di Praga; la rivolta contro il regime di Habib Bourguiba in Tunisia; la mobilitazione della gioventù in Senegal per la democrazia e la decolonizzazione del sistema educativo; la radicalità civile, studentesca e contadina contro la costruzione dell’aeroporto di Narita in Giappone; le barricate e lo sciopero generale in Francia; l’enorme movimento di protesta in Pakistan; la lotta per le libertà degli studenti messicani.

L’anno di riferimento del “momento” contestatario varia evidentemente a seconda dei paesi. 1967 per la Martinica, 1970 per le Filippine, prima e dopo in Italia… Di fatto la lista delle principali lotte degli anni 68 è senza fine. Esse non si riconoscono sempre le une con le altre, sono ancorate in realtà nazionali molto diverse, ma partecipano tutte dello “spirito del tempo”, radicale: anche i movimenti che non lo sono si dichiarano socialisti. Il Vietnam è l’epicentro di una prova di forza mondiale che oppone le dinamiche rivoluzionarie e quelle controrivoluzionarie, e così il blocco dell’Ovest e quello dell’Est (due terreni di scontro che interagiscono senza però sovrapporsi).

L’escalation militare statunitense in Indocina è senza precedenti, senza equivalenti per l’ampiezza dei mezzi mobilitati. Il Vietnam è davvero il punto focale del movimento globale che noi viviamo nel mondo (2).

Ed anche in Francia

Anche in Francia si vive un “momento globale”. Il regime è il frutto di un colpo di stato: Il partito gollista usa per le sue basse operazioni il famoso Servizio di azione civica (SAC).

I revanscisti della guerra di Algeria attaccano gli immigrati. La dittatura padronale nelle fabbrica non concede alcun riconoscimento ai lavoratori. La gioventù cozza contro una morale conservatrice segnata dal cattolicesimo. L’apertura dell’università agli strati popolari è ancora del tutto parziale, ma il mondo degli studenti già è in trasformazione. L’intera società è repressiva, autoritaria. Anche solo per poter respirare, bisogna far saltare questa cappa di piombo. Questo bisogno condiviso di esistere per molti consiste nel “tutti insieme” di Maggio, al di là delle specifiche esigenze di ciascun settore.

Nella formazione del Maggio francese, c’è sicuramente un momento morale e un momento sociale. Il momento sociale è oggi ben documentato. Ci sono le resistenze contadine all’agro-industria. Dopo gli anni 50 il lavoro salariato ha conosciuto una cresciuta spettacolare (75% della popolazione) di cui, specificatamente quello del proletariato industriale (50%), ma l’ordine padronale non si allenta. Giovani provenienti dalla campagna sono bruscamente sottoposti alla disciplina e ai ritmi del lavoro nelle aziende. Con i decreti sulla sicurezza sociale subiscono un nuovo attacco, cosicché una disoccupazione significativa comincia a manifestarsi. I primi scontri, ben inquadrati, con le forze di repressione, le prime barricate sono opera della gioventù, ma della gioventù operaia. (3)

Il momento morale è molto sovente meno richiamato. L’esercito francese non solo ha condotto due sporche guerre coloniali (Vietnam e Algeria), ma ha massicciamente torturato durante la battaglia di Algeri. Questo ricorso sistematico alla tortura significa il governare con il terrore. Lo stato maggiore francese è conosciuto sul piano internazionale come un esperto in materia e trasmette le sue conoscenze in America latina e negli Stati Uniti. Per una generazione militante la rottura morale con i partiti di governo di destra come di sinistra che hanno coperto ed incoraggiato questa politica di morte, è radicale. Per quanto riguarda l’esercito esso non è stato epurato. Nel corso dei decenni, sostiene molti regimi dittatoriali in Africa, arrivando a proteggere i responsabili del genocidio dei Tutsi in Ruanda (1994).

Una generazione militante

Ritorno sul maggio. C’è un prima, un durante e un dopo. Ciascuna sequenza svolge un ruolo nella formazione della nostra generazione militante.

Il prima. Qualche anno in più di età o di esperienza comportano allora una differenza. La resistenza alla guerra d’Algeria serve da matrice a delle alleanze che si costituiscono: membri che si autonomizzano dal PCF, cristiani di sinistra, certe correnti trotskiste o terzomondiste…. Da parte mia comincio ad impegnarmi soltanto nel 1965, senza l’esperienza dei miei anziani, ma tutti insieme prepariamo il Maggio. La nuova estrema sinistra segue con attenzione la ripresa di importanti lotte operaie, ma sono rare le correnti che pensano che, nel contesto dato, il movimento studentesco possa svolgere un ruolo di scintilla. La Jeunesse Communiste Révolutionnaire (JCR) a cui appartengo, è una di queste. Per mesi cerchiamo di provocarla, ma senza successo. Finalmente essa si accende quando non ci speravamo più, quando noi ci eravamo rassegnati a misurarci miseramente con la fine del semestre. Non avevamo previsto né la radicalità della dinamica spontanea di Maggio né evidentemente l’ampiezza dello sciopero generale – ma, insieme ad altri, eravamo tesi verso questo evento, cosa che spiega perché vi siamo stati immersi fin dal suo inizio. Noi non abbiamo dovuto “raggiungerlo”, come è avvenuto per le principali correnti maoiste (senza parlare dei lambertisti, che si rifiutano…).

Il durante e le sue mille modalità di vivere Maggio. Gli attori dell’estrema sinistra non potevano sfuggire alla questione bruciante: che fare domani? La mobilitazione è molto spontanea, ma molteplici iniziative sono prese che pesano positivamente o negativamente sulle dinamiche della lotta. Impossibile accontentarsi di gustare la bellezza dell’istante, degli scambi, dei dibattiti! Noi siamo dentro l’evento e nello stesso tempo abbiamo su di lui uno sguardo “dall’alto” per analizzare il momento e le sue possibilità. Questo rovina un poco il piacere, ma quale straordinario apprendimento di un pensiero politico concreto. Vivere una tale esperienza nella fase iniziale di un impegno politico è una fortuna rara.

Il dopo. Non è solo il lento riflusso dello sciopero, le elezioni di giugno. La repressione fa parecchi morti nelle fabbriche pilota. Le organizzazioni dell’estrema sinistra sono disciolte. Il quartiere latino è pattugliato e controllato dalla polizia, ogni manifestazione di strada è vietata a Parigi, il ministro degli Interno, Marcellin, è paranoico.

In Germania, il dirigente studentesco Rudi Duschke, dopo una campagna isterica da parte della stampa conservatrice, è vittima di un attentato; sopravvive, ma morirà a causa delle sue conseguenze nel 1979. In Messico dieci giorni prima del Giochi olimpici estivi, gli studenti sono massacrati sulla Piazza delle Tre Culture a Tlatelolco (200 o 300 uccisi). Negli USA, Martin Luther King e Robert Kennedy sono abbattuti uno dopo l’altro, i carri del Patto di Varsavia invadono la Cecoslovacchia. In Cina, Mao ordina all’esercito di schiacciare ogni contestazione. Registriamo che un anno prima, il 21 aprile del 1967, l’esercito aveva preso il potere in Grecia, instaurando la Dittatura dei Colonnelli.

La memoria collettiva ricorda gli anni che seguono Maggio per lo straordinario fermento ideologico, la seconda ondata femminista, la formazione dei movimenti omosessuali, lo sviluppo dell’ecologia politica, i nuovi sindacalismi, l’impegno dei lavoratori immigrati nelle attività rivendicative (4), l’antimilitarismo, Larzac, la fondazione della Confederazione contadina. Tutti gli aspetti della società capitalista sono passati al vaglio della critica, dal sistema carcerario alla psichiatria, dal senso della produzione al ruolo della scuola – qualche volta con delle teorizzazioni aleatorie, o anche decisamente pericolose. Nuovi ambiti sono affrontati dalla sinistra radicale, come la psicanalisi.

Nello stesso tempo c’è l’altra faccia della medaglia, organizzazioni come la mia sono sotto attacco. Ricostruiti, siamo sciolti per la seconda volta. Possiamo essere imprigionati (a me è successo tre volte). I responsabili conosciuti sono impediti di soggiornare in diversi paesi, bisogna passare in forme discrete le frontiere. I nostri compagni oltre i Pirenei sono sempre sotto il tallone franchista; quando li contattiamo dobbiamo preservare la loro incolumità.

Molte attività richiedono una certa forma di clandestinità. Diamo impulso alla creazione di comitati dei soldati nell’esercito di leva (il servizio militare è ancora obbligatorio) (5).

Delle reti militanti aiutano i soldati USA in Germania a raggiungere il Canada quando disertano…..

E poi, l’avvenire è incerto: fin dove andrà l’escalation repressiva dello Stato?

La questione della violenza

Per certi commentatori, la scelta della violenza sarebbe derivata, per delle organizzazioni come la mia, dal postulato generale sulla natura profondamente violenta della società e dello Stato capitalista. Il nostro giudizio sull’ordine dominante era fondato e lo è anche oggi come ieri, ma noi non abbiamo mai dedotto un orientamento o una scelta tattica da una premessa così astratta e lo prova il nostro impegno militante che per parecchi decenni è stato totalmente non violento.

Noi non abbiamo “scelto” la violenza politica. Essa preesiste al nostro impegno. Per quelli più vecchi di me la guerra d’Algeria, un esercito fazioso, i SAC…. Per me, i fascisti…E vero che il Fronte Nazionale a quel tempo non rappresentava nulla sul piano elettorale; ma nelle strade, le organizzazioni fasciste (a cominciare da “Occidente” che diventa nel 68 “Ordine nuovo”) sono molto attive.

Quando divento studente e militante nel 1965, gli scontri con i fascisti sono la normalità nel centro di Parigi, dentro le facoltà, davanti alle mense universitarie, nei mercati, la notte tra le squadre di attacchinaggio…. Ci sono delle zone rosse, bianche e quelle contestate. Io mi iscrivo ad Assas in Scienze economiche (una strana scelta, visto che la matematica non è il mio forte) dove comincio un impegno sindacale nell’AGEDSEP (Unef). Assas è una zona che viene disputata tra la destra e la sinistra. La facoltà di giurisprudenza è dominata dall’estrema destra, le Scienze economiche dalla sinistra, fatto che determina scontri ricorrenti nel cortile dell’ateneo, fino a che non siamo sconfitti. Preso di mira da “Occidente”, non posso più mettere piede nella facoltà od anche solo avvicinarmi senza essere perseguitato, finisco per emigrare all’Istituto di Geografia, poi alla Sorbona dove incontro i miei nuovi professori coi quali ho poi lungamente militato nel movimento di solidarietà con il Vietnam.

Per quanto possa sembrare sorprendente, in quei tempi violenti, noi abbiamo giocato soprattutto un ruolo di moderatori, prima, durante e dopo il Maggio. In primo luogo perché volevamo evitare di ferire gravemente chiunque. Poi perché noi pensavamo politicamente: le iniziative (per altro non obbligatoriamente violente) del servizio d’ordine che escono dalla routine devono essere giustificate in riunioni preparatorie (le ragioni e gli obiettivi), e poi dopo si deve fare un bilancio collettivo. Infine perché noi puntavamo di più sul collettivo, sulla coesione collettiva negli scontri (mentre i fascisti puntavano di più sull’addestramento individuale nelle arti marziali).

Noi dovevamo fare la guardia alle nostre sedi 24 ore su 24, 365 giorni all’anno per evitare che non fossero attaccate dall’estrema destra. Negli scontri di piazza con “Occidente”, il nostro “armamento” molte volte era assai inferiore a quello dei nostri avversari: leggeri manici di piccone, per esempio, mentre i fascisti sfoggiavano pugni di ferro, il nunchaku… e talvolta pesanti sbarre di ferro che mi hanno comportato una volta una frattura cranica. Rafforzammo un poco i nostri mezzi di autodifesa avendo come motto: “Vivere senza pericolo evita molti guai”.

Ben inteso, durante gli avvenimenti di maggio, pietre e molotov sono utilizzate massicciamente. Tuttavia noi ed altri protagonisti del Maggio, non volevamo favorire una escalation della violenza. Durante una delle grandissime manifestazioni, per esempio, il nostro servizio d’ordine “protegge” un’armeria che si trovava lungo il percorso del corteo (e che nessuno per altro aveva pensato di assaltare).

Nonostante l’ampiezza della rivolta, non c’è stato alcun morto fino al 24 maggio. Quel giorno a Lyon il commissario di polizia René Lacoix è ferito da una camion lanciato all’impazzata; muore all’ospedale. Due giovani manifestanti sono accusati di omicidio volontario e passano due anni in prigione prima di essere giudicati. Il Tribunale li assolve e sono liberati. Secondo le testimonianze essi non avevano preso di mira Lacroix; il commissario avrebbe avuto una crisi cardiaca che non era conseguenza diretta delle sue ferite.

Tutte le altre morti sono più o meno direttamente collegate all’azione delle forze di repressione.

Sempre il 24 maggio, Philippe Matérion muore a Parigi, colpito da una granata. Il 10 giugno, il liceale maoista Gilles Tautin annega nella Senna dove si era gettato per sfuggire a una carica della polizia, durante gli scontri molto duri intorno alla fabbrica Renault di Flins. Il giorno dopo, gli operai Henri Blanchet e Pierre Beyot sono uccisi a Peugeot-Sochaux. In giugno sempre a Arras, Marc Lanvin, che attaccava i manifesti del PCF, è ucciso da membri del Comitato di Difesa della Repubblica (CDR, gollista).

La tensione resta forte e violenti scontri proseguono nel periodo che segue Maggio-Giugno, per esempio davanti alla fabbrica Citroen piantonata da vere e proprie milizie padronali. Questo periodo si chiude in due tempi. Il 25 febbraio 1972, Pierre Overney, militante maoista (appena assunto) nella fabbrica di Renault Billancourt, è ucciso con un’arma da fuoco da Jean Antoine Tramoni, agente di sicurezza dell’azienda. Si tratta di un assassinio e Tramoni sarà condannato. Lo choc è immenso; la Gauche prolétarienne (l’organizzazione maoista a cui Overney apparteneva) decide di sciogliersi. Il 21 giugno noi organizziamo una manifestazione di protesta contro un meeting di Ordine nuovo nel centro di Parigi, percepito come una provocazione mentre gli immigrati cadono vittime dei gruppi fascisti. Ne segue una battaglia ordinata con la polizia. Di fronte alla repressione che ne segue, riceviamo un sostegno molto ampio da parte delle forze di sinistra, ma noi prendiamo atto (tardivamente) che il periodo è cambiato e che la continuazione di questo tipo di scontro ci impedisce di consacrarci pienamente in altri compiti più importanti.

Qualche volta si è detto che noi avremmo, dopo il Maggio – Giugno, fatto la “scelta” della lotta armata. Con quali armi? O della violenza, ma quale? Noi pensavamo allora che la lotta di classe si sarebbe intensificata e che l’azione dello Stato sarebbe diventata sempre più repressiva. Non avevamo torto su questo secondo punto. Noi cercavamo certo di prepararci allo sviluppo della repressione, ma, – questione essenziale-, noi non volevamo essere all’origine della escalation della violenza. Se si fosse manifestata sarebbe stata il prodotto del governo. Questo costituì, per esempio, una brigata di polizia motorizzata, il “voltigeurs” (gli assaltatori), per intervenire più rapidamente contro le manifestazioni: un poliziotto conduce la moto, mentre una altro seduto dietro colpisce al volo con un lungo manganello. Una scelta repressiva irresponsabile, perché in quelle condizioni la forza del colpo inferto non può essere controllato. Così il 6 dicembre 1986 durante delle manifestazioni liceali contro la legge Devaquet, Malik Oussekine, viene ucciso mentre esce da un club di jazz. La brigata dei “voltigeurs” viene (infine!) sciolta.

Da parte nostra, contro ogni logica “militarista”, avevamo preso la decisione di far eleggere dalle cellule dell’organizzazione i membri del servizio d’ordine e di aprirlo alle compagne. Mi sembra che negli anni ’70 siamo stati la prima organizzazione di estrema sinistra a fare questa scelta. Ancora una volta abbiamo puntato sull’azione collettiva e il controllo democratico. In un’epoca in cui la questione delle quote e della parità non era ancora affrontata, la decisione di femminizzare il SO è interessante. Per quel che mi concerne mi investii nella attività della Quarta Internazionale per numerosi anni e la mia esperienza francese si ridusse rapidamente.

Noi abbiamo tardato a entrare pienamente nel post dopo Maggio. L’importante è tuttavia comprendere perché in Francia non ci siano stati sviluppi analoghi a quelli che si sono presentati in Italia (le Brigate rosse) o in Germania (La Frazione armata rossa). Una delle ragioni principali è che nessuno dei movimenti su accennati voleva impegnarsi in una “guerra privata” con lo stato o più genericamente con la società borghese. (Azione diretta si è costituita solo un decennio dopo il maggio).

Noi abbiamo nello stesso tempo evitato le derive settarie come in Giappone, quando due delle più grandi organizzazioni dell’estrema sinistra sono entrati in una guerra fratricida (iuchigeba) a colpi, in particolare, di punteruoli per ghiaccio: le Kakumaru (marxisti rivoluzionari) e Chukaku (Nucleo centrale), i nostri compagni giapponesi della Quarta Internazionale si sono rifiutati di buttarsi in questa avventura, rompendo ogni legame con i belligeranti (cosa che non ha impedito che anch’essi fossero attaccati).

Le donne protagoniste degli anni 68

E’ particolarmente irritante di leggere o sentire dire che le donne in quel periodo abbiano fatto figura solo di “angeli del ciclostile”. Esse sono state invece pienamente militanti anche se le loro attività e il loro ruolo non veniva considerato appieno nel suo giusto valore, anche se i loro interventi non erano ascoltati con la stessa attenzione di quelli dei quadri maschili – e certo – esse hanno fatto molto di più rispetto alla parte loro assegnata. Come avviene nella società, esse devono assumersi nel nostro mondo una doppia giornata di lavoro.

Questo cliché è stato ripreso dalla Francia al Giappone (7), ed è falso. A posteriori contribuisce a rendere invisibile l’impegno effettivo delle militanti e il lavoro che hanno svolto molto presto: perché fare ricerca su chi si ritiene inesistente?

Invece esse operano in tutti gli ambiti della lotta, nei comitati degli studenti e dei liceali, nelle fabbriche, nei quartieri e nei territori, nei coordinamenti….

Ci sono delle donne nelle direzioni d’organizzazione (tra cui la nostra), ma sono rare. Eccezioni dovute a un percorso particolare che confermano la regola. Nessuna di essa fa parte delle “figure” pubbliche del Maggio 68. Nessuna partecipa ancor più alle trattative di Grenelle tra il sindacato e il governo. Deve essere difficile capire oggi quanto venivamo da lontano in Francia, dove le donne restavano sotto tutela dei loro mariti. I miei ricordi più vecchi risalgono a una epoca in cui le donne al volante di un’auto erano fatto raro ed oggetto di sarcasmo (“una donna al volante, pericolo costante”); poi è diventato la normalità. Come è diventato normale che sia una donna a guidare quando una coppia viaggia davanti, o che sia responsabile di una metro , di un treno… Dove eravamo noi in questa lunga marcia nel 68? Prima della conquista femminile di ruoli importanti?

Nei miei ricordi lontani una donna doveva sedere ben dritta, le ginocchia serrate, la gonna che scendeva quasi ai polpacci (portare i pantaloni era sconveniente). Ora il 1967 è l’anno della minigonna e della pillola, ma è vietato fare pubblicità sulla contraccezione e i decreti di applicazione della legge Neuwirth non sono pubblicati che nel 1972.

Perché questa forte crescita di visibilità delle donne nella società non si è tradotta nel suo insieme nel sollevamento sociale del 68, come logica conseguenza? Perché l’eredità dell’impegno femminile in numerose lotte anteriori non ci ha meglio preparati? Perché abbiamo dovuto attendere un nuovo movimento di liberazione della donna, una seconda ondata femminista degli anni ‘70 (che, di colpo, ci ha fortemente scossi)?

Ben inteso, nel campo “organizzato” gli ostacoli alla visibilità delle donne erano ancora numerosi: il peso nel movimento sindacale del conservatorismo cattolico (CFDT) o stalinista (CGT), il “virilismo” guerriero della nuova estrema sinistra, le modalità di azione prevalenti, il machismo presente, la scarsa attenzione rivolta dai (giovani) uomini alle ineguaglianza di genere nel movimento di liberazione sessuale, l’assenza di strutture rappresentative eletta dalla base che avrebbero permesso alle militanti di essere riconosciute (8)…

Il peso e la natura del Partito comunista francese hanno certamente svolto un ruolo centrale su questo terreno, come in molti altri. E’ uno dei partiti più stalinisti dell’Europa occidentale e uno dei più influenti nel mondo operaio. Anche se difende i diritti sociali dei salariati, è aggressivamente antifemminista. Le militanti che all’epoca hanno iniziato un lavoro donne nei sindacati testimoniano abbondantemente del muro politico-culturale contro il quale hanno sbattuto (9).

Sul fondo, tutto il contesto istituzionale del regime gollista ha reso ancor più difficile in Francia che i altri paesi la giunzione tra “quello che è sociale” e il politico. La famosa cappa di piombo.

Un momento internazionalista

Una delle “evidenze”, assai sorprendenti, asserite da certi commentatori è che non ci sarebbe stato “nulla di comune” tra quello che succedeva in Occidente e nei paesi dell’Est e del Sud. Si tratta di uno sguardo retrospettivo sugli anni 68 anacronistico ed anche ideologicamente reazionario.

Nel linguaggio dell’epoca noi parlavamo della convergenza dei tre settori della rivoluzione mondiale: la rivoluzione “proletaria” nei paesi capitalisti sviluppati, la rivoluzione “permanente” nel terzo mondo e la rivoluzione “politica” nel blocco sovietico. Non si trattava solo di una analisi teorica, ma rifletteva la pluralità degli impegni concreti.

La solidarietà internazionale verso la lotta di liberazione in Vietnam ha preso mille forme, dalla spedizione dei medicinali a mobilitazioni massicce (10). Questa solidarietà internazionale e lo sviluppo massiccio del movimento antiguerra negli Stati Uniti sono stati effettivamente (non solo nel nostro immaginario) tra i fattori della vittoria.

L’andirivieni militante tra le due rive del Mediterraneo, tra l’Europa e l’America Latina sono stati molteplici, compreso l’accoglienza delle/dei militanti cilene/i, argentine/i, brasiliane/i…. perseguitate/i dalle dittature militari degli anni 60-70. Il sentimento di fraternità era molto forte e noi abbiamo sentito la morte del Che come la morte di uno dei nostri (la JCR ha organizzato nel 1967 un meeting per rendergli omaggio).

Da parte mia nel 1974 sono partito per incontrare il movimenti asiatici (dopo la caduta della dittature tailandese). Non ho mai smesso da allora.

In Francia esiste una forte tradizione di solidarietà internazionale antimperialista, purtroppo discontinua. Dopo il maggio 68 il Comitato Vietnam nazionale (CVN) e i Comitati Vietnam di base (CVD) scompaiono, l’estrema sinistra si da altre priorità, e bisogna rilanciare contro corrente il Fronte solidarietà Indocina (FSI), mentre l’escalation USA si sviluppa…

In Iugoslavia una corrente marxista autonoma pubblica l’influente rivista Praxis, organizza a Korciula una serie di conferenze aperte alla “nuova sinistra” internazionale (io ci sono andato ed avevo la collezione completa della rivista nella mia libreria).

La Lettera aperta al Partito operaio polacco scritta nel 1965 da Jacek Kuron e Karol Modzelevski è pubblicata in francese (prima dalla rivista Quatrième Internationale, poi dalle edizioni Maspero) e in numerose altre lingue: inglese, tedesco, italiano, giapponese…. Azioni di solidarietà sono messe in piedi per esigere la loro liberazione quando sono di nuovo arrestati nel 1968.

Le Socialisme emprisonné è pubblicato nel 1980 in francese dalle edizioni La Brèche. Il suo autore, Petr Uhl, cecoslovacco, marxista antistaliniano, successivamente impegnato nella Carta 77 e nel Comitato di Difesa delle persone ingiustamente imprigionate” (VONS), ha fatto complessivamente 8 anni di prigione.

Noi condividevamo allora speranze comuni. Ci riconoscevamo gli uni negli altri. Noi combattevamo insieme e noi siamo stati in qualche modo sconfitti assieme nel corso degli anni 80. Il prezzo esorbitante di questa disfatta è stato il vero decollo della mondializzazione capitalista dopo il 1989.

La grande svolta

E’ nella seconda metà degli anni ’70 che la situazione cambia in Europa: in Grecia con la fine del regime dei Colonnelli (1974); in Portogallo con l’esaurimento della rivoluzione dei “garofani; in Spagna con il controllo della transizione Post-Franco che porta alla Costituzione del 1978. Le scadenze si allontano e noi dobbiamo imparare a militare nei tempi lunghi – un sacro cambiamento.

Noi non lo comprendiamo ancora, ma la nostra generazione sta per subire una dura sconfitta. Una sconfitta brutale inflitta dalla Thatcher in Gran Bretagna, una sconfitta morbida, ma non meno reale, in Francia con Mitterand. Il riflusso mondiale è annunciato dalle guerre sino-indocinesi (che cominciano nel 1979) e l’alleanza Washington-Pechino, mentre il regno sanguinoso del Khmer rossi ha un impatto profondamente demoralizzante su scala internazionale.

L’ordine neoliberale non è partorito dal Maggio 68, come certi hanno affermato, ma è il prezzo esorbitante di questa sconfitta. Noi concepivamo lo sviluppo delle libertà individuali in sinergia con lo sviluppo dei diritti e delle libertà collettive. E’ un’inversione dei “valori” e non una continuità.

Tuttavia l’eredità della nostra generazione militante si fa ancora sentire nel corso degli anni 90. Gioca un ruolo diretto nella nascita dei cosiddetti nuovi movimenti sociali: diritto alla casa, l’organizzazione dei disoccupati, Union syndicale Solidaires. Parecchi di noi hanno mantenuto il loro impegno sotto forme molteplici. Siamo entrati in un periodo storico differente e l’attesa di una nuova crisi è stata così lunga che le nostre organizzazioni politiche sono scomparse o si sono devitalizzate; ma può essere che le fedeltà siano state più numerose che i cambi di casacca.

Una storia passata?

Molta acqua è passata sotto i ponti in 50 anni. La fine delle cittadelle operaie, bastioni del vecchio sciopero generale. La mondializzazione ha mutato molti elementi. Altre modalità di convergenza delle lotte sono state sperimentate nel corso degli anni 2000. La riflessione sul “soggetto rivoluzionario” si è molto arricchita. Si può comprendere molto da una molteplicità di (micro) iniziative specifiche. Il quadro territoriale – compreso lo sciopero territoriale – occupa, secondo me, un’importanza strategica nuova (o rinnovata).

Non si può riprodurre Maggio, è chiaro.

Non c’è alcun bisogno di rinverdire il virilismo e il machismo dei vecchi tempi.

Non cercate un vestito pronto nelle nostre teorizzazioni dell’epoca. Sono evidentemente datate. Come sempre, devono essere lette nel “contesto” e essere confrontate a una pratica complessa. Soprattutto le nostre concezioni nel corso dei decenni sono evolute ed è la cosa più importante (11).

Alcuni tuttavia considerano completamente il 68 come un evento di un passato remoto perché i tempi erano allora “politici”, a differenza (è vero) di quelli di oggi. La depoliticizzazione del mondo non è forse una vittoria dell’ordine neoliberale? Non occorre forse, ed ancor più di ieri cambiare il sistema, di fronte a una crisi sociale ed ecologica generalizzata? Si può veramente mettere in discussione il sistema senza un pensiero politico (cosa che non significa elettorale o elettoralismo), senza riflessione strategica? Temo che la denigrazione del politico nasconda semplicemente la rinuncia, soprattutto da parte di quelle/i che possono permetterselo data la loro condizione sociale o il disorientamento dovuto alla disfatta della nostra generazione.

Il nostro impegno militante era totale e sovente fu giudicato antiquato dalla generazione politica degli anni 80. Tuttavia, a certe condizioni, quel tipo di impegno ci ha permesso di non smettere di imparare, di non smettere di agire e di restare (un poco) utile. Parlando francamente, sono piuttosto le modalità del militantismo francese degli anni 80 che mi sembrano sfasate rispetto alle realtà sociali presenti, segnate dalla crescita della precarietà e delle discriminazioni, una successione senza fine delle crisi umanitarie, oscurantismi di ogni tipo, la dittatura del capitale….

Gli anni del 68 non sono poi così antiquati come viene detto.

Note

Numerose aggiunte sono state inserite, ed anche dei collegamenti alla versione del 10 maggio.
Pierre Rousset ESSF (article 43035),L’année 68 débute au Vietnam – L’offensive du Têt, la solidarité internationale, la radicalité :
http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article43035
[3] Ludivine Bantigny, ESSF (article 44392),“Rien n’est plus collectif que Mai 68” – « Les premières barricades ont été érigées à Caen, à Quimper ou à Redon » :
http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article44392
[4] Daniel Gordon et Selim Nadi, ESSF (article 44286),Le Mai 68 des immigrés en France et ses suites – Une histoire qui mérite d’être connue :
http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article44286
Benjamin Stora, ESSF (article 44373), Comment les immigrés ont eux aussi incarné « Mai 68 » – Avant, pendant, après 1968 :
http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article44373
[5] Robert Pelletier, ESSF (article 32863),France 1974 – mobilisation antimilitariste au sein des casernes. Un témoignage : de l’Appel des Cent à la manifestation et au procès de Draguignan :
http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article32863
[6] Voir Ludivine Bantigny, De grands soirs en petits matins, p. 164.
[7] Per fare un esempio le militanti della Lega Comunista Rivoluzionaria –QI (sezione giapponese della Quarta Internazionale) hanno pubblicato dal 1970 à 1990 une rivista mensile: Fujin Tsushin (Correspondenze di Donne). E’ diventata un periodico dell’Alleanza socialista delle Donne che queste compagne animano. Questa attività è evidentemente il prodotto di un impegno che risale a parecchi anni prima.
[8] Josette Trat, ESSF (article 10209),Mai 68 est les mouvements femmes des années 1970 en France :
http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article10209
[9] Durante questi anni il PCF denunciava anche i« gauchistes », accusandoli di essere degli agenti del ministro dell’Interno od anche di essere fascisti fatto che mi è valso un braccio fracassato dal servizio d’ordine del PCF e della CGT davanti a un centro postale dove distribuivo dei volantini.
[10] Pierre Rousset, ESSF (article 10123),La solidarité envers les luttes indochinoises dans la « France de 68 » : les années 1960-1970 :
http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article10123
[11] Vedasi come Daniel Bensaid rilegge nel 2008 un contributo sul partito scritto nel 1968 insieme a Sami ESSF (article 10230),A propos de la question de l’organisation : Lénine et Rosa Luxemburg:
http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article10230

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