“La potenza del capitale è tutto, la Borsa è tutto, mentre il parlamento, le elezioni, sono un gioco da marionette, di pupazzi… Il capitale, dal momento in cui esiste, domina su tutta la società, e nessuna repubblica democratica, nessuna legge elettorale muta la sostanza delle cose”. Lenin [Lo Stato, lezioni all’università di Sverdlov, 1919]
Alla fine, la schermaglia istituzionale di questi ultimi due mesi si è conclamata in vera e propria crisi.
Ieri sera, il Presidente della Repubblica Mattarella si è reso responsabile di un atto gravissimo, rifiutando il nome di un ministro sulla base della semplice espressione di opinioni politiche sgradite ai “mercati finanziari”. Incarnando perfettamente le necessità dello Stato italiano e dei suoi apparati, il cui ruolo è sempre in fin dei conti garantire gli interessi complessivi delle classi dominanti, Mattarella si è fatto fedele garante non già della Costituzione, che in fondo può essere tirata per la giacca da destra e da sinistra alla bisogna, ma dei timori della grande borghesia nazionale, della Commissione Europea e della BCE. Non certo perché un ipotetico governo Lega-M5S avrebbe messo davvero in discussione gli attuali assetti economici e istituzionali europei, ma perché l’Unione Europea si sta rivelando un gigante dai piedi d’argilla: basta davvero poco per metterne in luce la fragilità e l’intrinseca insostenibilità. Quanto più emergono le debolezze, tanto più non è tollerata la minima deviazione dallo status quo, anche solo declamata, da destra o da sinistra.
A scanso di equivoci, un governo Lega/M5S sarebbe stato una iattura terribile per le classi lavoratrici, per gli esclusi e gli emarginati di questo Paese: razzismo, repressione ancor più dura, ulteriore sottrazione di reddito e salario, peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, tradizionalismo e patriarcato imperanti, islamofobia istituzionale. Proprio niente da rimpiangere.
Tuttavia, con il suo intervento Mattarella ha spianato la strada a un’affermazione ancor più temibile della destra radicale in questo paese, che adesso sarà percepita come il vero baluardo degli “interessi degli italiani” contro il “colonialismo” franco-tedesco. L’intenzione di assegnare l’incarico di Primo Ministro a Cottarelli, il re della spending review, cioè dei tagli al welfare, ai servizi pubblici e alla sanità, è un tentativo disperato di evitare ciò che ormai appare probabile: il ritorno a nuove elezioni in autunno, che segneranno presumibilmente il trionfo della Lega di Salvini. Proprio un bel capolavoro.
D’altra parte, l’ “opposizione” liberista e austeritaria, rappresentata dal PD e da Forza Italia non è certo un’alternativa, anzi, è la maggiore responsabile di questa situazione e al tempo stesso l’opposto complementare del populismo neosovranista. D’altro canto, le gravi e disarmanti dichiarazioni di Susanna Camusso a sostegno di Mattarella e interlocutorie sull’incarico a Cottarelli dimostrano ancora una volta tutta la subalternità e complicità delle burocrazie sindacali confederali nel profondo arretramento e disorganizzazione delle classi lavoratrici in questo paese.
In uno scenario di acuta crisi politica delle borghesia italiana, quello che manca all’appello è proprio l’attore fondamentale, necessario a qualsiasi ipotesi di alternativa politica da sinistra: un movimento di massa organizzato, unitario e intercategoriale, dei lavoratori e delle lavoratrici, dei precari, dei disoccupati, autoctoni e immigrati, di questo paese, che si mobiliti sulla base della soddisfazione dei propri bisogni immediati: casa, reddito, salario, sanità, lavoro stabile, sicuro e ben retribuito.
L’impegno di un movimento politico-sociale come Potere al Popolo, insieme al sindacalismo di classe e a tutti gli altri collettivi, le organizzazioni politiche, le associazioni che lottano per i diritti sociali e democratici, deve essere quello di ricostruire il miglior quadro possibile per una ripresa del protagonismo di classe, dentro e fuori i luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle piazze. Senza questo elemento, e quindi senza la ricostruzione di rapporti di forza adeguati a sostenere ipotesi di rottura delle compatibilità capitalistiche nazionali e sovranazionali, non c’è uscita dalla tenaglia antioperaia di europeismo/sovranismo.
Ieri il Presidente della Repubblica ha messo nero su bianco che, in fin dei conti, l’esercizio del voto è accettabile solo quando i risultati siano conformi alle aspettative di chi ha davvero il potere in questa società: le grandi multinazionali, le banche, le assicurazioni, i fondi speculativi, i padroni di tutte le risme.
È per questo che occorre liberarsi dall’illusione nel potere taumaturgico delle elezioni, nell’idea che, di per sé, anche il più straordinario risultato elettorale sia sufficiente a favorire o produrre chissà quale cambiamento. La soluzione passa per l’unità, la lotta, l’organizzazione e l’autorganizzazione degli sfruttati e degli oppressi, senza la quale non si può che riprodurre una logica di delega e affidamento al salvatore di turno.
È per questo che provare a mettere in campo un’opposizione sociale fortemente unitaria è l’obiettivo prioritario per l’oggi e per tutta la prossima fase, a cui tutto il resto dovrà essere subordinato.