La notizia non è “fresca di stampa”, risale al marzo scorso, ma poiché la “stampa”, quanto meno quella italiana, non se n’è occupata, non è inutile darle un minimo di rilievo. Tanto più che di questi tempi i successi, anche piccoli, ottenuti dalla sinistra anticapitalista scarseggiano.
La notizia è questa: Sylvi Listhaug, la ministra della Giustizia, della sicurezza e dell’immigrazione del governo norvegese di destra, definita spesso come il «Trump» in quel Paese per via della sua xenofobia, si è dimessa. O meglio, ha dovuto dimettersi.
In cosa è inciampata Sylvi Listhaug? Su Facebook. Il 9 marzo scorso infatti la Listhaug ha pubblicato su Facebook una foto che ritraeva un non meglio precisato gruppo di “terroristi” mediorientali, con la seguente didascalia: «I laburisti ritengono che i diritti dei terroristi siano più importanti della sicurezza nazionale». Il pretesto per questa uscita era una proposta di legge, della stessa Listhaug, che prevedeva la revoca automatica della cittadinanza norvegese a “combattenti e terroristi”, e alla quale il Partito laburista, all’opposizione, aveva replicato che il provvedimento gli sarebbe andato bene, purché non vi fosse automatismo, ma fosse preceduto da un pronunciamento del tribunale dopo aver esaminato ogni caso.
C’è da dire che i laburisti davano prova di una certa pavidità, di fronte a un partito come quello del Progresso, cui appartiene la Listhaug, che non molti anni addietro aveva partorito l’unico vero terrorista che ha seriamente colpito la Norvegia. Ci si riferisce a quel tale Anders Behring Breivik che nel 2011 ha agito a Oslo e in un’isola che ospitava un campeggio della gioventù laburista, lasciando sul terreno 77 morti. Nel fairplay norvegese, nessuno s’era però sognato, per lo meno a livello ufficiale, di chiedere conto delle responsabilità che aveva, quanto meno a livello politico-culturale, proprio quel Partito del progresso, nel quale milita la Listhaug e nel quale aveva militato prima per ben dieci anni lo stesso Breivik. E, per quanto risulta, a nessuno è saltato in mente di proporre di privare Breivik, attualmente in carcere, della cittadinanza. Ma tant’è. Fatto sta che i laburisti avevano pienamente ceduto sul problema della cittadinanza, ma invocavano solo che vi fosse una copertura giuridica. Ma alla Listhaug questo non bastava, e così si scatena su Facebook, fornendo una versione deformata della posizione laburista.
La qual cosa ha scosso un pochino l’establishment. Fino a che simili menzogne le propone un pirla qualunque, non ci si fa caso. Ma il ministro della Giustizia? Un po’ di ritegno insomma. Le critiche sono piovute un po’ da tutte le parti, comprese quelle dei democristiani, che pure appoggiano il governo di destra. Ma le critiche erano tutto sommato un richiamo all’etichetta. Quel che si chiedeva alla Listhaug, infatti, non erano le dimissioni, ma il ritiro del post e le scuse. Questo il 12 marzo. La Trump norvegese ha però opposto una testarda resistenza, e ha mantenuto su Facebook la foto incriminata, per un altro paio di giorni. E quando s’è decisa a toglierla, era ormai troppo tardi: Bjørnar Moxnes, l’unico parlamentare eletto dal partito anticapitalista Rødt («Rosso») [1], presentava una mozione di sfiducia.
A questo punto il Parlamento doveva per forza occuparsi del problema. Di fronte a una Listhaug che, finalmente consapevole d’aver pestato una cacca, chiedeva scusa per ben quattro volte, i partiti della sinistra riformista e del centrosinistra erano di fronte a un dilemma: accettare le scuse e votare contro la mozione di sfiducia di Rødt, o sostenerla. Essi non avevano pensato di arrivare sino a questo punto, ma Rødt li metteva di fronte al fatto compiuto: e tutti – laburisti, socialisti di sinistra, verdi e centristi – hanno deciso di votare a favore. C’era però il problema di cosa avrebbe fatto la Democrazia cristiana: con il suo voto a favore della mozione, il governo andava in minoranza, e secondo la prassi avrebbe dovuto dimettersi. Il 19 marzo i democristiani si riuniscono e giungono a una conclusione: non decidono (ancora) di votare per la mozione, ma esprimono la loro sfiducia nella Listhaug, chiedendo al primo ministro di risolvere lui il problema. E il giorno dopo la Listhaug si vede costretta a dimettersi, dicendosi vittima di una “caccia alle streghe”.
Una piccola ma significativa vittoria. Senza la presentazione della mozione di sfiducia di Rødt la vicenda sarebbe forse finita a tarallucci e vino, data l’estrema prudenza con la quale si muovono i partiti del centrosinistra d’opposizione sul tema dell’immigrazione. Ciò dimostra come anche con una esigua forza – un deputato… – in determinate circostanze si possano costringere questi partiti a uscire dai balletti parlamentari, ad assumere una netta posizione, e a infliggere una cocente sconfitta al governo di destra.
Governo che è uscito ammaccato. E se è vero che questi avvenimenti hanno prodotto una piccola ondata di adesioni al Partito del progresso (più virtuali che reali, però), è anche vero che tutti i sondaggi effettuati hanno mostrato come sul tema specifico il governo si trovi ora piuttosto isolato, con meno di un 30 % di appoggi. E c’è di più. «Una giovane donna, Camilla Ahamath», scrive Ellen Engestaldt, «ha avviato una raccolta di fondi per Medici senza frontiere a nome del leader di Rødt, Bjonmar Moxnes, e della mozione di sfiducia. In soli tre giorni la campagna ha raggiunto la somma di 17 milioni di corone [equivalenti pressappoco ad altrettanti euro] versate da circa 80.000 persone. È la conferma di ciò che avremmo dovuto sapere da sempre: i sostenitori di estrema destra di Listhaug lo sono soprattutto a parole, online, ma sono relativamente pochi. La maggior parte dei norvegesi è stufa dei discorsi tossici e della diffusione della paura» [2].
Per non dire poi dei risultati ottenuti sul piano politico-organizzativo, particolarmente importanti per un piccolo partito: «Rødt, alla sua fondazione nel 2007, aveva 1617 iscritti. Saliti poi a 3000 nel 2016 e a 4000 fino al 1° marzo di quest’anno. Nel periodo immediatamente successivo, sia prima che dopo la presentazione della mozione di sfiducia contro la Listhaug, il partito ha registrato 965 nuovi iscritti» [3]. Ulteriormente aumentati in seguito.
Note
[1] Vedi in questo sito sul quadro politico norvegese Norvegia | un po’ di «rosso»…
[2] https://www.jacobinmag.com/2018/04/norway-far-right-sylvi-listhaug-immigration
Questo articolo è apparso su «Jacobin» il 19 aprile scorso, ed è la fonte principale di cui ci si è serviti per questa nota, che ne è in pratica un libero riassunto. L’autrice, Ellen Engestaldt, è editor del giornale online «Manifest Tiddskrift».
[3] https://www.dagsavisen.no/innenriks/enorm-medlemsvekst-for-rodt-etter-mistillitsforslaget-mot-listhaug-1.1123987