Tempo di lettura: 5 minuti

Dal mese di marzo si sono aperte le trattative per il rinnovo del Contratto Nazionale Mantello per l’edilizia principale in Svizzera (CNM), il quale scadrà a fine dicembre 2018.
L’importanza di questo contratto collettivo trascende l’importanza politica ed economica del settore rispetto all’insieme dell’economia svizzera.

Il CNM degli edili rappresentata ancora, seppur pesantemente “piallato” nel corso dell’ultimo decennio, l’espressione massima raggiunta dal movimento sindacale elvetico – tutto è relativo – nell’organizzare collettivamente la vendita al miglior prezzo possibile della forza-lavoro. Detto altrimenti, il contratto collettivo degli edili è quello che fissa a livello dell’economia privata il numero maggiore di diritti (salariali, qualifiche, orari di lavoro, vacanze, malattia, ecc.) per i lavoratori. Inoltre, la sua esistenza influenza pesantemente la struttura dei contratti collettivi dei settori affini dell’artigianato legato all’edilizia (gessatura, pittura, idraulici, elettricisti, piastrellisti, ecc.). Quindi, se il CNM dell’edilizia riguarda direttamente un po’ di più di 80’000 lavoratori (in questa cifra non sono inclusi gli edili impiegati dalle agenzie di collocamento, ai quali sostanzialmente sono applicati i disposti del CNM dell’edilizia), indirettamente i lavoratori che ne beneficiano sono molti di più. Infine, al CNM dell’edilizia è legata l’ultima grande conquista sociale ottenuta in Svizzera: l’introduzione del prepensionamento, ossia il diritto ad andare in pensione a 60 anni con una rendita finanziaria importante, vicino al salario netto guadagnato durante la vita attiva sui cantieri. Anche in questo caso, l’ottenimento del prepensionamento nell’edilizia ha aperto la strada al riconoscimento, benché a 62 anni, di questo diritto anche in buona parte dei settori dell’artigianato.

Un decennio di vento in poppa per gli impresari costruttori…

Anche questo rinnovo contrattuale avviene in un contesto produttivo edile molto positivo. Dal 2005, il settore ha conosciuto una forte crescita e ha generato profitti assolutamente importanti. In controtendenza rispetto a quasi tutti i paesi europei. Nel settore della costruzione, la cifra d’affari è passata dai 49,66 miliardi del 2005 ai 66 miliardi del 2016 (mancano ancora i dati per il 2017). Una crescita pari al 33%. Anche il settore più circoscritto dell’edilizia principale presenta, per lo stesso periodo, risultati decisamente positivi: da 15,85 miliardi, la cifra d’affari è cresciuta fino a toccare i 19,97 miliardi di franchi (+ 26%). A livello di valore aggiunto, la situazione è pure estremamente rosea. Infatti, secondo le cifre pubblicate dalla stessa Società Svizzera Impresari Costruttori (SSIC), l’organizzazione padronale di categoria, il valore aggiunto nel settore generale della costruzione è cresciuto, sempre dal 2005 al 2016, del 35% e in valori assoluti da 24,91 a 33,71 miliardi di franchi.

Pochi settori dell’economia elvetica presentano dei tassi altrettanto favorevoli. E questi risultati sono stati ottenuti comprimendo al massimo i cosiddetti “investimenti estensivi”, operando invece in maniera decisa sui fattori che incidono sulla produttività. In un settore dove i miglioramenti tecnologici sono circoscritti, il peso di tale innalzamento è stato scaricato quasi integralmente sulle spalle dei soli lavoratori edili, attraverso un aumento brutale dell’intensità del lavoro svolto e un blocco degli aumenti salariali reali. Sul fronte della forza lavoro, nel 2005 lavorano nell’edilizia principale 83’900 edili a tempo pieno. Nel 2016, questa cifra è scesa a 80’700 (-3,8%). In uno studio del 2013 elaborato dall’Unione sindacale svizzera (USS), emergeva chiaramente come sul periodo 2007-2012 l’aumento della produttività del lavoro pro-capite nel settore principale dell’edilizia è stata del 12%, mentre l’aumento dei salari reali è cresciuto solo del 4,6% durante lo stesso periodo.

… un decennio di profondi e continui arretramenti del movimento sindacale

La forte crescita della produttività del lavoro e, soprattutto, il fatto che questi guadagni siano quasi integralmente finiti dritti nelle tasche degli impresari è la dimostrazione lampante delle gravissime difficoltà nelle quali versano i sindacati, in particolare Unia, il principale sindacato del settore. Ormai Unia è diventato uno spettatore passivo dell’assoluta libertà padronale nell’imporre un tasso di sfruttamento elevato della forza lavoro impiegata, assicurando la massima redditività dei capitali investiti. La situazione sul fronte sindacale è davvero grave se in un contesto produttivo estremamente favorevole i lavoratori hanno registrato più arretramenti (pesanti) che passi positivi (leggeri). Neppure le briciole sono cadute nei loro piatti. Eppure la torta è andata lievitando, come lo dimostrano i dati esposti più sopra.

In sostanza, dall’ultima importante vittoria sindacale, il prepensionamento a 60 anni firmato nel 2002, il sindacato Unia si è fermato, non approfittando del potenziale di mobilitazione, dimostrato dagli operai edili in questa battaglia, per tentare di modificare i rapporti di forza sul terreno della lotta, del conflitto sociale. Invece, si è rafforzato l’orientamento della pace del lavoro, del partenariato sociale a qualsiasi prezzo, della convinzione che le battaglie istituzionali e le circostanze politiche contingenti (il sostegno sindacale acritico alla libera circolazione) fossero delle condizioni sufficienti per determinare dei possibili miglioramenti a tavolino per i lavoratori, quale contropartita al sostegno diretto dato agli interessi padronali. Questo orientamento ha prevalso su quello fondamentale di cercare di ricostruire un’attività sindacale indipendente capace, attraverso la mobilitazione e soprattutto l’auto-organizzazione dei lavoratori, di sviluppare una conflittualità collettiva sui cantieri quale motore esclusivo della difesa e del miglioramento dei diritti dei muratori attivi in Svizzera. Nel concreto, soprattutto nei cantoni dominanti, i funzionari hanno continuato a disertare i luoghi di lavoro, la direzione nazionale e quelle locali si sono calcificate in una logica che rifiuta il conflitto sociale – la lotta di classe – quale strumento determinante dell’azione sindacale.

Ma non c’è solo questo. Alla debolezza, fondamentale, di una presenza organizzata e capillare sui posti di lavoro, si aggiunge una debolezza nella capacità d’analisi delle condizioni del settore, una debolezza nell’elaborare degli argomenti da contrapporre alla propaganda padronale e da diffondere nell’opinione pubblica, con l’obiettivo di creare un minimo sostegno politico-sociale a proprio favore. Una debolezza pesante che si traduce nell’incapacità di definire anche solo una tattica di corto respiro per tentare di non uscire con le “ossa rotta” da quest’ultimo rinnovo contrattuale.

E ora i nodi vengono al pettine!

È così che il movimento sindacale si trova ora all’angolo, asfissiato dalla libertà di movimento del fronte padronale. Da una parte, quest’ultimo richiede importanti modifiche a livello del CNM, soprattutto in termini di maggiore flessibilità degli orari di lavoro, di possibilità di abbassare i salari dei lavoratori anziani (considerati non più produttivi…), ecc. Dall’altra parte, per risolvere i problemi – relativi ma esistenti – a livello del finanziamento del prepensionamento, riapparsi nuovamente dopo gli interventi di assestamento presi a fine 2015, gli impresari propongono l’aumento dell’età di prepensionamento a 62 oppure un taglio delle rendite del 30%. I sindacati e i lavoratori sono così presi in una duplice morsa senza avere preparato strategie e, soprattutto, senza aver ricostruito negli anni passati il rapporto di forza necessario per sostenere e rispondere a questo duplice attacco. È molto probabile, senza voler fare i preveggenti, che per salvare un fronte, si dovranno fare delle concessioni sul secondo. È innegabile che per gli edili il prepensionamento alle condizioni attuali rappresenti il ridotto attorno al quale non cedere neppure di un millimetro. L’innalzamento brutale dei ritmi di lavoro sui cantieri e il logorio psico-fisico che ne deriva fa sì che andare in prepensionamento a 60 anni con una rendita decente non sia solo un diritto irrinunciabile ma addirittura sia diventato lo stimolo per resistere sui cantieri dopo i 50 anni d’età.

In questo senso è fondamentale sostenere la mobilitazione degli edili in tutti i modi. E questo per due importanti ragioni. In primo luogo per una forma di solidarietà di base fra lavoratori di settori diversi. L’indebolimento di un contratto collettivo di lavoro che nel deserto svizzero dei diritti del lavoro rappresenta ancora una punta avanzata non è mai utile alla causa generale dei salariati, i quali hanno bisogno di rifarsi a esperienze e a diritti più avanzati, per migliorare la situazione nei settori dove ancora imperano facsimili del codice delle obbligazioni… In secondo luogo, in un contesto svizzero e internazionale nel quale le forze padronali tentano in tutti modi di innalzare l’età di pensionamento, di indebolire il salario indiretto versato dai vari sistemi pensionistici, la difesa di un prepensionamento controcorrente come quello degli edili è punto di riferimento politico importante per tutti i lavoratori di questo paese. È la dimostrazione concreta che esiste la possibilità materiale di smettere di lavorare a condizioni dignitose ben prima di quanto vorrebbero imporci i padroni e i loro rappresentanti politici. Il prepensionamento dell’edilizia contraddice il dogma padronale dell’impossibilità di opporsi all’innalzamento dell’età di pensionamento. Addirittura è la dimostrazione, al di là delle difficoltà puntuali, della possibilità di abbattere in maniera importante l’attuale età di pensionamento. È un esempio da difendere e, soprattutto, da riprodurre.