Con la presentazione dei due messaggi (da parte del governo e del Municipio di Bellinzona) la discussione sul futuro dell’Officina di Bellinzona entra nel vivo.
I due messaggi (che per buona parte si sovrappongono) hanno per questo in comune diverse caratteristiche. A cominciare dal fatto che al futuro stabilimento industriale che dovrebbe sostituire le attuali Officine vengono dedicate poche righe, ripetitive rispetto alle genericità già indicate negli ultimi mesi.
In particolare:
a) una totale indeterminatezza e vaghezza quanto a contenuti produttivi e occupazionali della nuova struttura. Una vaghezza che non può certo essere recuperata con il costante riferimento al fatto che sarà uno degli stabilimenti d’avanguardia a livello europeo.
In realtà sui contenuti del nuovo stabilimento – che è il punto centrale della questione poiché comporterà la chiusura dell’attuale Officina – non viene detto nulla di più di quanto già si sapeva: e cioè che in questo nuovo stabilimento vi saranno sostanzialmente solo un minima parte delle attività che già oggi avvengono alle Officine, cancellando un buon 70% delle attuali attività.
b) di conseguenza dal punto di vista dei posti di lavoro il nuovo stabilimento industriale non potrà occupare le 200-230 unità lavorative come FFS, Cantone e Città vanno ripetendo da tempo; come hanno già confermato in alcuni colloqui le FFS il nuovo stabilimento occuperà la massimo 120 lavoratori, con una riduzione di due terzi rispetto all’attuale occupazione
c) in altre parole per mantenere uno stabilimento produttivo in Ticino le FFS chiedono a Cantone e città il pagamento di un “pizzo” di 120 milioni (un milione per ogni posto di lavoro “salvato”). D’altronde il CEO delle FFS, Meyer, aveva espressamente indicato, in occasione della dichiarazione di intenti firmata lo scorso mese di dicembre, che senza questo contributo le FFS avrebbero potuto andare altrove…
Ancora una volta la classe politica dominante si inchina di fronte ai diktat del padronato, sia esso privato o pubblico (ma con una logica profondamente privatistica…)
d) quanto al futuro pianificatorio dell’area che verrebbe liberata dall’Officina (per metà circa a disposizione di Cantone e città) non si va oltre a generiche dichiarazione di intenti (si prevedono stabili abitativi, amministrativi, scolastici, tecnologici, etc.): escluso un futuro stadio, vi è di tutto. Tutti elementi che dovranno essere vagliati e la cui rilevanza sociale, produttiva e culturale è ancora tutta da dimostrare.
Da notare, come ci si poteva aspettare, che il meccanismo con il quale si vuole qualificare questa eventuale futura zona farà appello a tutti (imprese, grandi studi di architettura cantonali, nazionale e internazionali, etc.), meno che, direttamente, alla popolazione; la quale potrà pronunciarsi solo per dire, alla fine del processo pianificatorio che durerà almeno quattro anni (e dopo aver dovuto ricorrere ad un eventuale referendum in condizioni, come noto, tutt’altro che democratiche), che quanto progetto non va bene… E la chiamano democrazia partecipativa…
La presentazione dei due messaggi ha almeno il vantaggio di prospettare agli occhi della popolazione ticinese due scenari alternativi per l’Officina di Bellinzona, che rappresentano anche due modi diversi di concepire l’azione politica pubblica e di immaginare il futuro non solo industriale e produttivo delle Officine, ma del Cantone e della città di Bellinzona.
Da un lato quanto ci propongono FFS, Cantone e Città: la distruzione di un patrimonio industriale, produttivo e culturale per fare spazio a qualcosa di indefinito, poco qualificato e tutto sommato senza grandi prospettive.
Dall’altro un progetto che non solo vuole salvaguardare quanto è stato realizzato in decenni di lavoro e di sviluppo di esperienze produttive: ma dare continuità a tutto questo, in particolare aprendosi ai nuovi settori nell’ambito del traffico ferroviario e della mobilità sostenibile. È quanto propone l’iniziativa “Giù le mani dall’Officina” , ritenuta ricevibile dal Gran Consiglio qualche giorno fa, e sulla quale saremo sicuramente chiamati a votare nei prossimi mesi.
L’MPS vede, senza sorpresa, confermate dalla pubblicazione dei due messaggi, tutte le proprie riserve sul progetto che rappresenta un vero e proprio atto di forza delle FFS nei confronti del Cantone e della città. Le pavide autorità cantonali e comunali si genuflettono, vendendo mercanzia che non hanno e pagando un pesante tributo finanziario; con la speranza di un ritorno di immagine (ed elettorale) attraverso la realizzazione di un nuovo quartiere le cui promesse si annunciano già al di sotto delle necessità e delle attese di un Cantone e di una città che vogliano seriamente rispondere alle sfide del futuro.