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Salari mediani di circa 1’000 franchi inferiori alla media nazionale, divari retributivi con il resto della Svizzera che raggiungono punte del 45% in alcuni rami e remunerazioni in calo nei settori definiti promettenti: i dati sui salari 2016 confermano le tendenze più che preoccupanti già rilevate negli ultimi anni e sulle quali vige la più completa omertà del governo. Decenni di promovimento economico e di roboanti dichiarazioni sull’innovazione e le start-up non sono serviti a nulla: siamo ancora un’economia a rimorchio con imprese interessate alla manodopera a basso costo e ai vantaggi fiscali. Difficile non credere che dietro ci sia un preciso disegno della maggioranza della politica ticinese, più interessata ad assecondare gli interessi degli ambienti economici che non a garantire un futuro al cantone.

Nel 2016 il salario mediano, tenendo conto sia del settore pubblico che privato, in Svizzera era di 6’502 franchi lordi, in Ticino di 5’563 franchi, con una differenza di 939 franchi (14,4%). Nella sola economia privata in Ticino la retribuzione mediana è di 5’262 franchi, 973 franchi in meno che nel resto del paese. Le cifre pubblicate dall’Ufficio federale di statistica (UST) si riferiscono ad impieghi a tempo pieno per 40 ore settimanali e per 12 mensilità, ma non sappiamo realmente quanto la gente riceve in busta paga visto che molti lavorano a tempo parziale o determinato, per scelta o per necessità. Certo è che la situazione sul fronte del mercato del lavoro in Ticino è ben più drammatica da questo punto di vista dato che il tasso di povertà delle persone occupate nel 2016 era del 14,9% contro 3,8% in media in Svizzera.

Si può sempre peggiorare

Il Ticino è sempre stato la regione con i salari mediani più bassi, ma nel tempo il divario con il resto della Svizzera si è ampliato invece di ridursi. Nel 2004 lo scarto era di 760 franchi , negli ultimi anni si aggira attorno ai 1’000 franchi. Ci sono rami economici però dove la differenza è di gran lunga superiore e in termini percentuali raggiunge quasi il 50%.

Le variazioni spaziano dai 227 in meno nei servizi di ristorazione e alloggio ai 4’454 franchi in meno nell’industria farmaceutica, il divario più importante in assoluto, ma ci sono altri rami dove supera i 3’000 franchi.

Simili disparità potrebbero essere dovute al fatto che in Ticino si offrono impieghi che richiedono qualifiche più basse. Nella “Fabbricazione di computer, prodotti di elettronica, ottica e orologi” il salario mediano cantonale è circa la metà rispetto a quello svizzero (6’875 franchi, mentre in Ticino 3’616 franchi). Stessa cosa per la fabbricazione di apparecchiature elettriche (6’710 franchi in Svizzera, 3’632 in Ticino). Si tratta attività caratterizzate da retribuzioni di molto inferiori al salario mediano generale con una proporzione elevata di dipendenti con formazione primaria. Nella “Fabbricazione di computer, prodotti di elettronica, ottica e orologi”, ad esempio, il 65,6% dei dipendenti ha una formazione primaria e solo il 14,2% ha terminato un apprendistato .

Lo scarto con il resto delle Svizzera però si riscontra anche in rami dove la formazione richiesta è elevata. Nelle “Attività informatiche e altri servizi informativi” la differenza rispetto al resto della Svizzera è 39% (8’887 fr in Svizzera contro 5’415 fr in Ticino), eppure il 35% dei dipendenti ha un diploma universitario, il 18% ha concluso una formazione professionale superiore e rispetto al 2008 vi è stata un innalzamento generale del livello di competenze. Stessa cosa nel settore “Ricerca e sviluppo” dove il divario è del 38%. Come si giustificano simili differenze?

Ancora meno comprensibile è il calo dei salari mediani dal 2008 in questi e in altri rami economici. Già con la Rilevazione della struttura dei salari 2014 era emerso che il Ticino è l’unica grande regione dove le retribuzioni mediane sono calate negli ultimi anni . La statistica 2016 conferma questa tendenza preoccupante.

Quando i salari mediani calano significa che sempre più dipendenti sono pagati meno, visto che questo indicatore divide esattamente a metà la manodopera fra chi è pagato di più e chi riceve meno. Difficile ipotizzare in questo caso un aumento degli impieghi a basse qualifiche visto che l’Ufficio cantonale di statistica ha rilevato un livello più elevato di formazione della forza lavoro.

Quel che appare ancora più inquietante è che i rami economici dove le retribuzioni sono di gran lunga inferiori a quelle svizzere e/o i salari sono scesi appartengono ai quattro “meta settori” verso i quali il governo ha intenzione di indirizzare lo sviluppo economico futuro del cantone: l’industria farmaceutica del settore Life-sciences, la fabbricazione di computer, elettronica, ottica e orologi e quella di apparecchiature elettriche della meccanica ed elettronica, l’industria tessile e dell’abbigliamento e la logistica del settore moda e i servizi di informazione e comunicazione.

Parlar bene e razzolare malissimo

Abbiamo mancato il nostro sviluppo economico passato, ma rischiamo di “sbagliare” anche quello futuro. L’idea alla base della Legge sull’innovazione (L-Inn), in vigore dal 1997, era che agevolando l’insediamento di aziende innovative con sgravi e sussidi si sarebbe potuto indurre un cambiamento della struttura economica del cantone, come per osmosi. Naturalmente il “miracolo” non si è compiuto e lo stesso Consiglio di Stato lo ammette nel Messaggio sulla revisione della Legge del 2015 : “Queste due cifre, vale a dire quella totale dei sostegni agli investimenti decisi secondo la vigente L-Inn (circa 250) e quella relativa alle imprese create tra il 2001 e il 2012 (oltre 8’600, alle quali vanno aggiunte le decine di migliaia di aziende preesistenti), rende di palmare evidenza il concetto che i sussidi – certo interessanti e meritevoli d’attenzione – non indirizzano in modo determinante l’evoluzione dello sviluppo economico cantonale. Infatti, se è palese osservare che lo scopo precipuo della Legge è creare le condizioni di contesto ideali per stimolare la competitività e la capacità d’innovazione di aziende private orientate all’esportazione, con grande potenzialità di crescita e che generano rilevanti ricadute economiche (art. 1), è altrettanto evidente che il Cantone non dispone della facoltà di selezionare le attività economiche che desiderano insediarsi o svilupparsi in Ticino.”

Ci sono voluti quasi vent’anni per capire che non basta attirare qualche impresa “innovativa” per cambiare l’economia di un intero cantone. Anche perché la politica ha volutamente tralasciato un fattore essenziale: il livello salariale. Le retribuzioni basse infatti frenano l’innovazione, visto il costo del lavoro risulta inferiore agli investimenti in nuove tecnologie.

A parole quindi il cantone promuove l’innovazione, nei fatti continua a favorire le imprese che sfruttano la manodopera e i vantaggi fiscali sabotando un reale cambiamento. Basti pensare che il Consiglio di Stato propone di fissare il salario minimo “dignitoso” a 18,75 franchi l’ora, che tradotti in salario mensile usando di criteri dell’UST fanno 3’247,50 franchi lordi al mese per 12 mensilità.

Al netto delle tante promesse di poli tecnologici e stat-up, vi è una chiara strategia per mantenere in vita quella che l’economista Christian Marazzi definisce un’”economia stracciona” che arricchisce pochi e impoverisce tutti. La selezione delle aziende si sarebbe potuta operare fissando salari dignitosi nei CNL, combattendo il dumping con controlli a tappeto e facendo rispettare i criteri qualitativi nelle zone industriali di interesse cantonale, invece di stendere a tappeti rossi a chiunque.

Silenzi più che sospetti

Se davvero il cantone volesse promuovere la creazione di posti di lavoro di qualità – come recita uno dei mantra più gettonati da Christian Vitta – avrebbe commissionato uno studio approfondito sul livello salariale e gli impieghi. Non solo una simile analisi manca, ma il Consiglio di Stato e la maggioranza politica si adoperano per far calare una spessa cappa di silenzio su tutte le questioni problematiche legate al mercato del lavoro. Dalla pubblicazione della statistica dei salari 2014 ci sono stati almeno quattro atti parlamentari che chiedevano spiegazioni sul calo delle retribuzioni registrato in Ticino e ancora si aspettano risposte credibili.

Le richieste di cifre più esaustive non giungono neppure all’Ufficio cantonale di statistica; viste le imprecisioni e il basso livello delle competenze è molto probabile che siano finite sul tavolo di qualche fedele alto funzionario.

Alla mozione dell’MPS di una seria analisi dei salari è stato risposto di recente che sarebbe inutile visto che stavano per essere pubblicate le cifre 2016. L’abbiamo ripetuta subito dopo la divulgazione degli ultimi dati, non fosse altro che per vedere cosa si inventano stavolta pur di non commentare il calo dei salari e gli inspiegabili divari retributivi con il resto della Svizzera. Chissà, forse fra vent’anni da qualche parte in un messaggio governativo, qualcuno ammetterà che concedere sgravi a pioggia e fissare salari minimi vergognosi non era la scelta più giudiziosa per creare benessere e attirare imprese etiche, ma per il momento la parola d’ordine è “tacere”.

1. OFS, Salaire mensuel brut (valeur centrale) selon les branches économiques (NOGA08) et les grandes régions – Secteur privé
2. OFS, Taux de pauvreté des personnes actives occupées, selon le lieu de naissance, la nationalité, diverses caractéristiques socio-démographiques et les grandes régions
3. Rilevazione sulla struttura dei salari 2004, D. Perozzi, F. B. Losa, Ustat, Dati – Statistiche e società, A. VI, n. 2, giugno 2006
4. Ustat, I COMPARTI ECONOMICI, Struttura ed evoluzione del tessuto economico ticinese
5. Idem
6. Ustat, Salari in Ticino: stato ed evoluzione 2008-2014. I risultati della Rilevazione della struttura dei salari
7. Messaggio 6569