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La grande agitazione che si nota nella discussione sui costi della sanità è un sintomo: la pressione affinché ci siano delle rotture si fa sempre più impellente. Le famiglie sono sempre più schiacciate dal peso dei premi. I conti dei cantoni sono sotto pressione in un quadro di defiscalizzazione degli altri redditi e del capitale. Il business della sanità si è rafforzato negli ultimi due decenni e vuole scavalcare gli ostacoli che ne limitano l’espansione. Ci vuole sicuramente un cambiamento: ma quale?

Il rapporto del gruppo di esperti, quelli del 2017 (da non confondere con gli esperti del 2012), sulle misure atte a frenare l’innalzamento dei costi della sanità nell’assicurazione obbligatoria, pubblicato nell’agosto 2017, lascia intravedere una grande alternativa, una volta “sfrondato” dalle misure puntuali. Tra le 38 “misure raccomandate”, 38… fa serio ed esaustivo, oggettivo, sono due quelle che emergono tra tutte. La prima preconizza “di instaurare un tetto massimo vincolante per l’aumento dei costi dell’AOC (assicurazione obbligatoria delle cure). La seconda raccomanda “l’introduzione nella LaMal (legge sull’assicurazione malattia) di un articolo sperimentale”. La tensione tra queste due proposte permette di cogliere quali siano le forze attualmente in campo per ridefinire l’orientamento del sistema della sanità.

Un tetto dissuasivo

L’idea di un “tetto massimo vincolante” serve a definire, a priori, un tasso di crescita massima delle spese della sanità, a livello nazionale, per poi declinarlo a livello dei singoli segmenti di attività o a livello regionale. Al fine di imporre il rispetto di questa “limitazione di velocità”, bisogna introdurre controlli e sanzioni. Spesso la proposta è che queste prendano la forma seguente: quando il limite massimo posto viene superato, il livello di rimborso delle prestazioni che continua a essere garantite viene abbassato.
Gli “esperti” 2017 citano, a supporto di questa misura, esperienze estere: esse tuttavia non sono conclusive – il livello delle spese per la sanità in Francia Germania o nei Paesi Bassi non è fondamentalmente diverso da quello della Svizzera – e corrisponde a sistemi di sanità molto diversi.
Ancora più importante: questa proposta è fondamentalmente un ibrido, e proprio per questo non soddisfa nessuno e fa acqua da tutte le parti. Infatti da una parte introduce un meccanismo di controllo politico sull’insieme del sistema della sanità, teoricamente vincolante. Cosa che sembra sedurre il “socialista” Pierre-Yves Maillard (consigliere di Stato del cantone Vaud). Ma che ha fatto sì che tutti gli “attori” del sistema sanitario – associazioni dei medici e degli ospedali, assicuratori, industrie farmaceutiche – si siano detti all’unisono contrari a questa misura; poiché rappresenta ai loro occhi una limitazione della loro libertà e/o del loro business. Il che equivale a dire, di fatto, che questa proposta non ha nessuna chance, politicamente parlando, di essere accettata.
Tuttavia, su un altro piano, questa proposta non rimette in discussione nessuno dei meccanismi di mercato che stanno aumentando in modo esponenziale in ambito sanitario e che ne alimentano i costi. La contraddizione del “tetto massimo vincolante” è flagrante e ne anticipa lo stallo. La prospettiva di quello che potrebbe essere un sistema di sanità pubblica, che avrebbe evidentemente pure un quadro di bilancio, non viene nemmeno accennata. Sono quindi riunite tutte le condizioni per far sì che questa proposta venga ampiamente respinta.

Il senso della sperimentazione

Il nodo del “tetto massimo” non è da escludere per tutti. Apre infatti ampio spazio di manovra per la seconda proposta, quella di un “articolo sperimentale”. L’idea è di permettere, in un territorio o una regione, di derogare o modificare le regole della LaMal per poter fare delle esperienze e determinare anche “quello che funziona” e “quello che non funziona”. Si tratterebbe quindi di combinare le “virtù” del federalismo – ad esempio, nell’ambito della competizione fiscale – con la depoliticizzazione delle scelte pubbliche: non si scelga più, dopo un dibattito pubblico durante il quale si affrontano progetti diversi, ma si “sperimenti”. E come rifiutare delle “sperimentazioni”? Non sono esse “neutrali” quasi per definizione? e non sono la madre (quasi) di tutte le scienze?
La realtà sarà probabilmente un po’ più “orientata”. Il primo esempio citato dagli “esperti” 2017 per una possibile sperimentazione è…”di sopprimere l’obbligo di contrattare” (pag. 36), vale a dire la possibilità per gli assicuratori di scegliere i medici e gli ospedali che essi riconoscono (e che quindi danno diritto al rimborso delle spese mediche) dando così un potere di pressione senza precedenti ai professionisti della sanità. Le cure integrate – si intendono cioè dei modelli di assicurazione in cui l’assicurato accetta, naturalmente “di propria volontà”, di limitare le proprie scelte di medici e di ospedali a una lista predefinita in cambio di una diminuzione del premio – ne sono la logica conseguenza.
Il primo obiettivo delle “sperimentazioni” sarà quindi quello di imporre progressivamente delle assicurazioni sanitarie al “ribasso, cheap”. Ciò comporterebbe quindi di puntare verso l’obiettivo sul quale puntano tutti i “decisori” in materia di sanità: la preparazione, in un quadro di assicurazione malattia obbligatoria, di una vera differenziazione di accesso alle prestazioni e ai professionisti della sanità, in funzione del livello dei premi pagati.
In poche parole, una svolta decisiva della medicina a più velocità nel quadro dell’assicurazione obbligatoria (è comunque già largamente diffusa per quel che riguarda le assicurazioni private). Questa differenziazione, che porterà ad una riduzione del “pacchetto di base” per coloro che pagheranno di meno, è d’altronde la sola risposta seria, dal punto di vista di chi non vuole un’assicurazione malattia sociale finanziata in proporzione al reddito, all’impasse dei premi malattia: premi più bassi e di conseguenza prestazioni minori per chi darà la “preferenza” a pagare il meno possibile. Lasciando quindi crescere senza limiti il business della sanità.

Per chi lavora Berset…

Questa tensione fa emergere quella che appare come una vera e propria trappola che si insinua nei dibattiti in materia di politica sanitaria. La si può illustrare partendo dal punto di vista della professione medica, che occupa una posizione centrale nel sistema di sanità e la cui opinione pesa in maniera importante nel dibattito.
A “sinistra” il ministro “socialista” della sanità, il consigliere federale Alain Berset, è in prima linea per drammatizzare la presunta “esplosione” dei costi della sanità; nello stesso modo in cui, d’altronde, continua a lanciare drammatici appelli sulla situazione della pensioni. In nome del controllo dei costi, moltiplica gli interventi arbitrari (e inefficaci) come quelli sul tariffario Tarmed, definendo il rimborso dei medici che praticano in ambulatorio. I suoi editti toccano non solo la chirurgia ambulatoriale – esponenzialmente cresciuta, nel quadro della campagna contro i “medici milionari” – ma comprendono anche disposizioni totalmente assurde e controproducenti dal punto di vista delle cure, come, per esempio, il limite massimo di 20 minuti per la durata di una consultazione.
Berset stigmatizza alla televisione i “medici milionari”, senza però alzare un dito per migliorare un po’ le condizioni di lavoro di migliaia di medici assistenti e capo-clinica, confrontati sempre più con orari impossibili; né ha fatto qualcosa per migliorare la condizione degli infermieri il cui carico di lavoro è sempre più pesante. Berset si infiamma per i costi, ma lascia intatta la forza e potere delle casse malati, come pure intatto il business della sanità – dagli ospedali privati alle big pharma. Per farla breve se qualcuno avesse voluto dare un’immagine negativa dell’intervento pubblico nella sanità, mostrandosi come un potere burocratico arbitrario, obnubilato dai costi, ignorando la pratica medica, sprezzante nei confronti dei professionisti della salute e debole con i più forti, ebbene non sarebbe riuscito a fare meglio di Berset!

Nuovo lustro al mercato

Davanti a questa realtà, l’idea che il principale pericolo che minaccia la professione medica sia quello di uno Stato interventista, non può che guadagnare terreno fra i professionisti del settore. Tra i due mali che sono gli assicuratori e lo Stato, la paure dei primi si riduce man mano che aumentano gli interventi “bersettiani”. Così l’8 febbraio 2018, la fmCH (Associazione svizzera dei medici con attività chirurgiche e invasive) che raggruppa 16 discipline inerenti la chirurgia, firmava un contratto con SantéSuisse, una delle due associazioni di assicurazione malattia, per poter introdurre dei forfait (analogo al sistema DRG praticato negli ospedali) per alcuni interventi chirurgici ambulatoriali, rimpiazzando il tariffario Tarmed.
I rimborsi forfettari in ambito ambulatoriale sono da qualche anno un cavallo di battaglia di SantéSuisse. Il segretario generale della fmCH, Markus Truttmann, riferisce così di questa collaborazione: “Vogliamo conservare un sistema liberale, senza diktat statale. I medici sono sempre più coscienti del fatto che dobbiamo portare in egual modo il nostro contributo” (NZZ, 9.2.2018). Significa che, per tenere fuori lo Stato, meglio arrangiarsi e stingere patti con gli assicuratori. Questo meno di 6 anni dopo che i medici hanno combattuto la legge sul “managed care” (cure integrate), che mirava a dare più potere agli assicuratori, contribuendo quindi alla sua sconfitta in votazione nel 2012.
È evidente che questo tipo di posizione non nasce dal nulla. La fmCH, che sta salendo di importanza nel mondo medico/professionale, è da tanto tempo la punta di diamante per la difesa della “medicina liberale”, senza riserve nei confronti del mercato. Il suo segretario generale M. Truttmann – e la fmCH se ne compiace – è membro del comitato dell’Associazione “Entente Système de santé libéral”. Si trova in buona compagnia, sotto la presidenza dell’economista della sanità Robert Leu, uno dei capofila dell’approccio neoliberista a questo settore, insieme, soprattutto, agli amministratori delegati(CEO) del gruppo Hirslanden (cliniche private), l’Unilab (laboratori) e a Swica (cassa malati), al presidente del consiglio di amministrazione del gruppo Genolier (cliniche private), al direttore del gruppo Mutuel (cassa malati), ad alcuni membri della direzione di Galenica (farmacie) o di Intergenerika (generici), a un rappresentante della multinazionale Johnson & Johnson (protesi medicali) e, ancora, al direttore dell’Associazione Spitex privata Svizzera (cure a domicilio).
Così, la politica di Berset riesce nell’impresa di dare munizioni a coloro che pensano (o vogliono far credere) che il futuro di una medicina libera nella sua pratica professionale, passi dalla collaborazione con gli addetti ai lavori, per contrastare la minaccia interventista dello stato, in un momento in cui il dominio del business e dei meccanismi di mercato fa sentire seriamente i suoi effetti sul sistema della sanità e si tocca con mano la subordinazione che impone a interessi e obbiettivi che non hanno niente a che fare con la pratica. Proprio un bel successo, per un “socialista”!

Elementi per un’alternativa di servizio pubblico

l Lo sviluppo del sistema sanitario non deve essere affrontato a partire da un preteso obbligo di “moderare” i suoi costi, ma a partire dai bisogni della salute della popolazione e dalla garanzia di un accesso alle cure, per tutte e tutti. Molti cittadini non osano contestare il fatto che esistano delle grosse diseguaglianze sociali per quel che riguarda l’accesso alle cure, anche in una società come la Svizzera. Cambiare il funzionamento del sistema sanitario in maniera tale da sconfiggere queste ineguaglianze e togliere gli ostacoli finanziari per l’accesso alle cure, sono esigenze di giustizia sociale e di salute pubblica. Eppure questa questione è totalmente assente dal dibattito in corso, salvo qualche parola di circostanza.

l I costi della salute non pongono, in quanto tali, un problema economico e sociale particolare. Ciò non vuol dire chiaramente che il funzionamento attuale del sistema della sanità e l’allocazione delle risorse al suo interno siano ottimali. I grandi gruppi che dominano i settori quali la produzione dei medicamenti e la loro distribuzione, le apparecchiature mediche, le protesi e l’equipaggiamento medico in generale, così come le assicurazioni, hanno fatto sì che la sanità sia diventata un business con redditizie filiere di captazione di valore, vale a dire di ricchezze sociali. Meccanismi analoghi esistono in settori della presa a carico ospedaliera, ed emergono anche in quelli delle cure a domicilio, del collocamento degli anziani in cattiva salute o, ancore, nei centri di salute. Una frangia del mondo medico ne fa parte. Le misure proposte nel quadro del “controllo” dei costi della sanità non toccano tuttavia per nulla queste posizioni: al contrario, rafforzano il dominio dei meccanismi di mercato che ne rappresentano le condizioni di esistenza.

  • L’argomento apparentemente decisivo afavore della generalizzazione del mercato, nel sistema di sanità, è che sarebbe la maniera migliore, se non l’unica, per ottenere un aumento continuo dell’”efficienza”.
    In questa discussione, l’efficienza è presentata come misura univoca – come potrebbe esserlo una dimensione fisica, il peso per esempio – e normativa: l’aumento dell’efficienza è un bene per definizione. Per capire che cosa implica, prendiamo un esempio. La produzione delle cure di un ospedale “toyotizzato” – visto che è il modello citato di frequente – con una industrializzazione spinta dei processi di presa a carico, con personale sotto pressione continuamente, mal retribuito, con tempi di lavoro lunghi e privo di contratti collettivi di lavoro, con una durata di soggiorno dei pazienti ridotti al minimo indispensabile e un trasferimento di tutta la presa a carico a monte e avallando l’operazione verso altri attori delle cure (studi medici, cure a domicilio), avrà un’efficienza elevata, misurata dal costo degli “input” (risorse) diviso per il numero dei casi trattati.
    Tuttavia, il punteggio è ottenuto facendo astrazione di tre “esternalizzazioni”. Primo: una parte delle analisi preparatorie e di cure che avevano luogo precedentemente in ospedale, è stata semplicemente spostata altrove. Secondo: questo tipo di organizzazione ha un impatto negativo sui professionisti, le loro condizioni di lavoro e la loro salute. Terzo: questo approccio iper-standardizzato e tecnicizzato di cure, marginalizza una dimensione della presa a carico e di cure – empatia, relazione di fiducia come condizione per aiutare il paziente per poter vivere (convivere) con conseguenze croniche, ecc. – che sono importanti non solo in termini di qualità di vita durante il soggiorno ospedaliero, ma pure per l’efficacia delle cure.
    L’efficacia, dietro l’apparenza di obbiettivi scientifici che vuole attribuirle l’ideologia del management, è in realtà una misura dell’attività messa a punto per rispondere alle esigenze di redditività degli attori privati. Non corrisponde per niente a un apprezzamento dell’efficacia di un sistema, il sistema di sanità all’occorrenza, in funzione di obbiettivi globali definiti sulla scala della società e comprendenti, per esempio, la prestazione delle cure migliori possibili in una catena di presa a carico coerente, l’accesso universale a queste cure, indipendentemente dalle risorse individuali, dalle condizioni di lavoro che permettano al personale di investire in maniera durature, senza perdere la propria salute né il senso del proprio impegno professionale, ecc.
  • La risposta alla drammatica questione dei premi di cassa malati è un’assicurazione sociale, finanziata proporzionalmente al reddito. È assurdo e menzognero far credere che “si padroneggi” l’aumento delle spese sanitarie con misure ipotetiche che dovrebbero accrescere la sua “efficienza”. In realtà, l’alternativa ad una assicurazione sociale sarà un sistema con una sensibile differenziazione nell’accesso alle cure e ai professionisti della sanità secondo il tipo di premio pagato. Quindi un razionamento delle cure per coloro che pagano meno.
  • Il dogma che vuole che solo degli incentivi economici possano portare degli agenti sanitari, come i medici e il personale curante, a ricercare costantemente un miglioramento della qualità delle loro prestazioni così come della loro “efficienza”, dà un’immagine dei professionisti della sanità (e in generale dell’essere umano) che non corrisponde alla realtà, ma ai dogmi dell’ideologia neoliberale.
    Un altro tipo di motivazione, intrinseca, è sempre esistita, come ricorda il diabetologo André Grimaldi, a proposito della qualità delle cure: “Vi è un’altra strada che non si basa sulla ricompensa individuale degli attori ma che si fonda sulla motivazione intrinseca degli attori” (in André Grimaldi, “Les Maladies Chroniques. Vers la 3e médecine”, 2017, p.676). Senza dimenticare gli effetti perversi degli incentivi finanziari, ben documentati, (cfr Jerry Z.Muller, The tyranny of Metrics, 2018), ne consegue che la scommessa, dal punto di vista del sistema sanitario, è di sviluppare le condizioni – dalla formazione alle condizioni di lavoro e di riconoscimento professionale – che valorizzino questo tipo di motivazioni intrinseche, piuttosto che rafforzare i meccanismi mercantili che le svalutano e finiscono per distruggerle.
  • La messa al riparo dalla logica mercantile, così come dai condizionamenti politico-finanziari, della possibilità per i professionisti della sanità di praticare “a regola d’arte” e dell’accesso universale alle cure, esige la restituzione di uno spazio di servizio pubblico, che contenga tutto il settore sanitario.L’erosione della figura del “medico liberale” classico crea nuove condizioni per invitare gli attori della sanità a ripensare alle potenzialità di una tale prospettiva. Questo discorso deve però svilupparsi prima che la mercificazione non sia a tale punto avanzata che la rappresentazione di ciò che significa lavorare nel settore delle cure sia completamente riconfigurato dalla logica del mercato.

Un tale spazio di servizio pubblico deve comportare in particolare:

1. L’eliminazione delle aziende a scopo lucrativo e il rifiuto di un “pilotaggio automatico” dettato dai meccanismi di mercato.

2. Un controllo pubblico delle infrastrutture che formano la colonna vertebrale del sistema sanitario, in particolare gli ospedali, le reti di centri della salute, i servizi di cure a domicilio e le infrastrutture che ospitano le persone anziane.

3. Un finanziamento basato principalmente su un’assicurazione sociale, che sia garantita in proporzione del reddito; un tale finanziamento, generalizzato, è indispensabile per sciogliere la pressione finanziaria che strangola oggi una gran parte delle famiglie e che impone anche una ristrutturazione senza fine per i servizi sanitari, alla ricerca dell’”efficienza”, che peggiorano costantemente le condizioni di lavoro del personale e le loro prestazioni.

4. Delle istituzioni incaricate della conduzione e dello sviluppo dei servizi della sanità che coinvolgano sia rappresentanti dei professionisti della salute, sia i pazienti e anche la popolazione. Un tale spazio può offrire le pre-condizioni per la messa in opera di nuove forme di organizzazione delle cure, che rispondano all’evoluzione della conoscenza medica e dei bisogni per la salute dei cittadini, al fine di garantire un accesso più aperto possibile alle cure, rispettoso dei professionisti che le forniscono.