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In Svizzera come nell’Unione Europea (EU), la caccia agli immigrati considerati come illegali o come richiedenti l’asilo –nozioni contraddittorie provenienti dal fatto che i dominanti separano i diritti civili e politici dai diritti economici, sociali e culturali- e la loro selezione hanno rimpiazzato il diritto d’asilo e negano la libertà di circolazione degli extra-Europei. Gli accordi di Dublino giocano un ruolo chiave in questo processo.

Una macchina trita-persone

La Commissione europea riconosce esplicitamente che gli accordi di Dublino non hanno per obiettivo di procedere a una suddivisione equa delle responsabilità o di rimediare a una ripartizione sproporzionata dei richiedenti l’asilo negli Stati membri: il 70% dell’insieme delle prime domande di asilo presentate durante il 2014 sul territorio dell’UE è stato fatto in cinque Stati membri –Germania, Francia, Grecia, Italia, Regno Unito- secondo le cifre ufficiali del 2017.

Nel quadro di Dublino, i trasferimenti netti sono praticamente pari a zero. Infatti, gli Stati membri ricevono e trasferiscono dei numeri simili di richiedenti l’asilo, le richieste che inviano e ricevono praticamente si annullano a vicenda. Questo significa che, quantitativamente, i regolamenti di Dublino  hanno un effetto molto ridotto, quasi nullo (1).

Il numero di trasferimenti effettivi e di attese di trasferimento è elevato, con i maltrattamenti e le sofferenze che ne derivano. Per il 2016, si contavano 23’000 trasferimenti al di fuori di uno Stato Dublino, 21’000 verso uno Stato Dublino e 31’000 casi pendenti, vale a dire 75’000 persone prese nelle reti dell’espulsione-deportazione in un solo anno.

Dal 2008 al 2016, contiamo tra i 250’000 e i 300’000 trasferimenti. Se includiamo le decisioni di trasferimento pronunciate, ma non applicate, si supera la cifra di 400’000. Una massa impressionante di detenzioni arbitrarie, di dolore psichico e fisico, di stand-by nell’angoscia (2)!

La detenzione amministrativa –in altre parole la detenzione senza aver commesso alcun delitto, in vista dell’espulsione (vedi Le Monde del 27 giugno 2018)- è largamente praticata nel quadro dei rinvii Dublino, costituendo una parte importante della vasta rete carceraria europea dell’asilo e delle migrazione. Il tutto in un’immensa zona grigia: la Direttiva europea “rimpatrio” fissa la durata massima della detenzione a diciotto mesi, quella del Regolamento Dublino III a tre mesi e la Direttiva sulle condizioni di accoglienza non fissa alcun limite (3).

La Svizzera, paese sovente precursore in materia di “democrazia liberticida”, ha praticato una detenzione amministrativa degli stranieri che poteva durare fino a due anni. È solo recependo la Direttiva europea “rimpatrio” che è stata costretta a riportare questa detenzione a diciotto mesi nel 2011 (4)!

Benché la legge vieti la detenzione di bambini migranti di meno di 15 anni, è frequente in Europa e in Svizzera. In questo ultimo caso, “solo un piccolo numero di cantoni mette a disposizione delle statistiche esaustive e dettagliate” sulla questione (5). In questo modo, le autorità non rendono che dei conti vaghi e possono sistematicamente smentire le cifre avanzate dai difensori dei diritti umani.

Tutto ciò genera ampie variazioni per la durata massima di detenzione senza delitti (detenzione amministrativa) in seno all’Europa di Dublino: l’Irlanda e la Gran Bretagna, che non hanno recepito la Direttiva rimpatrio, non hanno limiti; la Francia la fissa a 45 giorni, la Spagna a 60. In altri Stati, varia dai sei ai diciotto mesi. Del resto, solo tre Stati vietano formalmente la detenzione di minori, almeno in teoria: l’Irlanda, la Bulgaria e la Grecia. Come sempre, per quanto attiene alle legislazioni che limitano i diritti della persona, tutte queste disposizioni sono assortite di una quantità di possibilità di riserve, di sfumature, di eccezioni, … da parte della Stato che imprigiona senza delitto.

Quante scomparse nella clandestinità si nascondono dietro queste cifre? Secondo la Commissione europea, fino al 42% dei richiedenti l’asilo che non sono stati effettivamente trasferiti nel quadro del sistema di Dublino restano durevolmente nell’UE, in situazione detta irregolare. Dublino è non solamente un sistema continentale di maltrattamento e di bullismo di centinaia di migliaia di esseri umani extra-europei, ma anche una fabbrica continentale di erranti e clandestini. Conclusione della Commissione: “È molto probabile che il sistema attuale non sia sostenibile nel contesto della pressione migratoria persistente…”.

Al di la delle cifre spaventose, bisogna prendere in conto le 98’000 espulsioni di cittadini extra-europei per il solo 2017 o delle 360’000 espulsioni dell’UE durante i sette ultimi anni. Cifre che non includono i numerosi rinvii diretti alle frontiere (6).

Il regolamento di Dublino (convenzione nel 1990 e regolamenti nel 2003 e 2013)

Dublino(7) ha creato un sistema centrato sul rinvio di un richiedente l’asilo verso il primo paese o dove ha depositato –o meglio, de facto, dove è stato costretto depositare- una domanda di asilo, considerato come Stato responsabile del trattamento di una domanda di asilo.

La Convenzione di Dublino, che data del 1990, è diventata regolamento nel 2003 (Dublino II). È stata allora estesa a tutta l’UE, poi all’Islanda, alla Norvegia, al Liechtenstein e alla Svizzera dove è stata messa in applicazione dal 2008, accettata per referendum con il 55% dei votanti. Verosimilmente una parte importante di questi ultimi non ha misurato le gravi implicazioni di questo voto, in termini di violenza sistemica e di repressione di massa. I votanti sono stati rassicurati dal sostegno incondizionato, con un discorso detto di apertura all’Europa, delle destre e sinistre ufficiali, e delle direzioni sindacali.

Il Regolamento Dublino III entra in vigore nel gennaio 2014. Oltre alle domande di asilo, ingloba anche le procedure di protezione sussidiarie (non rinvio provvisorio malgrado il rifiuto di asilo). Dublino III contiene dei cambiamenti considerati, sorprendentemente, come dei reali miglioramenti da centinaia di difensori dell’asilo (le sconfitte accumulate sono tali, per certi ambienti, che talvolta accettano il peggio, per paura del peggio del peggio…):
• Menzione sui diritti dell’uomo del richiedente l’asilo (v. Considerandi), principi che de facto resteranno praticamente ignorati:
• Più protezione della famiglia e dei minori (art. 9 e 11), compresi i minori non accompagnati (art. 8), ma si tratta di rassicurazioni precarie;
• Garanzia del diritto di ricorso e di assistenza giuridica (art. 27), assortito di tutte le restrizioni possibili e immaginabili, compreso il non accesso a questi diritti;
• Limiti alla detenzione (art. 28), con una nozione di proporzionalità molto vaga;
• Limiti per il trasferimento verso una altro Stato Dublino responsabile della domanda d’asilo dove esiste una “pressione particolare” (art. 33) per quanto concerne la funzionalità del sistema, il fallimento nella procedura d’asilo e le condizioni d’accoglienza, il “rischio di trattamenti inumani o degradanti” (art. 3); ebbene questi limiti non sono né automatici (sulla non espulsione) né tantomeno vincolanti (per lo Stato responsabile);
• Precisioni sulle scadenze da rispettare nelle diverse tappe della procedura, fatto che raramente è un vantaggio per il richiedente l’asilo.

Tutto ciò avviene all’interno di spazi di non diritto, in luoghi dove l’arbitrario e la rassegnazione sono il pane quotidiano dei salariati sorveglianti che temono di perdere il loro impiego e il loro reddito. In altre parole, un personale che perpetua al quotidiano questo sistema carcerario europeo, confrontato con dei richiedenti generalmente impossibilitati nel far valere i loro diritti, il tutto con dei ritmi mai gestibili dalle vittime.

Questa realtà è inquadrata –nel testo ufficiale (Regolamento Dublino)- da innumerevoli formulazioni che permettono di relativizzare tutto, del tipo “termini ragionevoli”, “il più breve possibile”, “se necessario”, “in condizioni umane”, “nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità umana”.

È inoltre un processo nell’ambito del quale i richiedenti l’asilo possono attendere fino a 10-12 mesi prima che la procedura di esame della loro domanda di protezione internazionale cominci. Del resto i “termini ragionevoli” del ricorso, per le vittime di Dublino, variano dai tre ai sessanta giorni secondo lo Stato –in alcuni casi con effetto sospensivo. Allo stesso modo, le condizioni di detenzione prima dell’espulsione sono sempre inumani, ma sempre differenti da uno Stato all’altro.

Una crisi senza soluzioni?

Le condizioni di “disaccoglienza” e di rifiuto, nell’Unione europea e i paesi associati sono cosi dure che Dublino conosce delle sospensioni, di diritto e di fatto, dei suoi propri meccanismi.

Dall’applicazione dei memorandum (pianificazione sulla durata di un’austerità brutale), il governo greco non ha più garantito il minimo dei suoi impegni verso i migranti e i rifugiati. Le autorità europee hanno sospeso l’applicazione di Dublino nel 2011, per riattivarlo solo da poco (8), ripresa indipendente dal fatto che nulla è cambiato in Grecia, a parte il fatto che l’UE ha firmato, nel 2016, un accordo di espulsione massiva di migranti e rifugiati dalla Grecia verso la Turchia. Si tratta di un accordo da 6 miliardi di euro (due rate di 3 miliardi), di cui solo 2 miliardi sono stati versati a tutt’oggi (9). Un accordo che ha spinto una massa di migranti, che devono così evitare la Grecia, a cadere nell’inferno delle bande armate e torturatrici, di paramilitari e altre milizie che controllano il territorio libico e che ricevono degli aiuti dall’UE e dai suoi Stati membri, malgrado le condanne ufficiali (10). Altrimenti, per i migranti e rifugiati che vogliono evitare l’inferno libico, si rischia di cadere, per esempio, nelle mani delle forze repressive ufficiali dell’Algeria, che li espellono a migliaia attraverso la frontiera con il Niger (11). Si stimano in circa 30’000 tra Nigeriani e Maliani, i migranti e rifugiati espulsi in tre anni e mezzi, talvolta abbandonati in pieno deserto.

In Ungheria è applicata la detenzione quasi sistematica dei richiedenti l’asilo, quando non sono espulsi ancora prima di aver esaminato la loro domanda. Ne è seguita la sospensione dei trasferimenti verso questo paese da parte di alcuni Stati membri dell’UE. A seguito di una politica quasi sistematica di detenzione dei richiedenti l’asilo a Malta, alcuni tribunali di Stati dell’UE hanno sospeso i trasferimenti Dublino verso quest’isola. I respinti Dublino verso l’Italia sono sovente gettati in strada, senza domicilio, senza accesso alle cure, senza minimo vitale. Ritornano quindi spesso in clandestinità nel paese che li ha espulsi, che li respinge di nuovo se vengono controllati dalla polizia.

Dublino è un gommone di migranti che imbarca acqua da tutte le parti fin dai suoi inizi, diventato il relitto del Radeau de la Méduse. A tutt’oggi sono più di due anni che le autorità europee non riescono a lanciare un nuovo negoziato interno per definire Dublino IV. Quasi tutti gli Stati interessati, ad eccezione di quelli bagnati dal Mediterraneo, vogliono conservare le disposizioni che definiscono lo Stato membro “responsabile” della domanda di asilo, fatto che rende Dublino impraticabile, e invece, per quanto riguarda la messa in campo di un meccanismo correttore, in caso di “gestione di crisi”, il tutto dipende ancora dalla buona volontà degli Stati. Con il nuovo governo nazional-sovranista italiano, da fine maggio, e con la nuova presidenza austriaca dell’UE, dal 1° luglio, i malfunzionamenti “attorno” a Dublino aumenteranno. Questo regolamento è certamente ripugnante, ma bisogna tenere presente il fatto che l’aggravamento della crisi non fa presagire nulla di buono.

Dei meccanismi “correttori”

A tutt’oggi, tre meccanismi correttori congiunturali di Dublino sono stati adottati dall’UE.

Il primo (settembre 2015) consiste nel “ricollocare” 160’000 richiedenti l’asilo dall’Italia, la Grecia e l’Ungheria, entro settembre 2017. In seguito al rifiuto dell’Ungheria, si è passati a 100’000 persone (Italia e Grecia). Nel marzo 2018, la Commissione europea indicava che sono il 33% dei richiedenti l’asilo toccati dalla misura erano stati “ricollocati” (12). Altre fonti non ufficiali affermano che in realtà di tratta di molto meno del 33%.

Il secondo (luglio 2015) consiste nel “reinsediati” circa 22’000 rifugiati dagli Stati esterni all’UE verso gli Stati membri. Tre anni dopo nulla è stato realizzato.

Quanto al terzo meccanismo correttore, è stato messo sul tavolo quando le imbarcazioni delle organizzazioni non governative (ONG), che salvano i migranti dalla morte in occasione di naufragi o dall’inferno delle polizie e delle milizie del Nordafrica, si fanno respingere sempre più sovente dagli Stati europei mediterranei. Questo meccanismo sarebbe dovuto uscire della riunione del Consiglio europeo (14) del 28 giugno, destinato a discutere nuovamente di nuove “ricollocazioni”.

Da un lato, il maggior comun divisore uscito da questa riunione consiste in… un vecchio punto fermo dell’UE: tendere verso l’immigrazione selezionata e scelta e lottare contro l’immigrazione detta illegale (i migranti e rifugiati) e contro i passatori (la cui esistenza e forza è di fatto un sotto-prodotto del fatto che l’UE abbia costruito la Grande muraglia d’Europa) (15).

D’altro canto, sono stati anche discussi i punti seguenti:
• Installare, sulle coste del Nordafrica, delle “piattaforme regionali di sbarco” (in linguaggio corrente, prigioni d’ufficio al di là del Mediterraneo) per migranti e rifugiati. Non si è candidato nessun paese;
• Aprire dei “centri controllati” sul territorio europeo (prigioni d’ufficio al di là del Mediterraneo), più precisamente in Grecia, Italia, Spagna, ma non a Cipro, Malta o Francia. Anche qui nessun candidato;
• Procedere, da questi centri, prima a uno smistamento assortito di selezione per il rinvio o per l’accesso alla domanda di asilo, poi alla “ricollocazione” verso altri Stati dell’UE, “su base volontaria”. Una quindicina di Stati su 28 hanno dichiarato una loro eventuale disponibilità. Malgrado ciò nessuno ha superato lo stadio della dichiarazione di intenti e poi, questo non significa nemmeno nulla dato che i centri in questione non esistono (ancora);
• Organizzare in parallelo, da un lato, una piccola selezione di eletti, nelle prigioni per migranti esterni all’UE, con la collaborazione dell’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati (HCR) e, d’altro canto, le numerose espulsioni “volontarie” dalle prigioni per migranti e rifugiati interne all’UE, con la collaborazione dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni (OIM).

Dopo questo Consiglio europeo ha avuto luogo, domenica 29 giugno, una riunione informale che ha riunito sedici Stati dell’UE (16), senza grandi risultati, convocata sotto l’egida della Commissione europea (17). Il suo scopo: conciliare le diverse posizioni divergenti sulle proposte menzionate.

Tuttavia, quello che avanza al di fuori di ogni riunione formale, è la messa in pratica dell’idea che non si tratta semplicemente di impedire ai migranti e rifugiati di arrivare in Europa, ma che si tratta piuttosto di impedire loro di partire dall’Africa e dal Vicino e Medio Oriente (18). Questo si concretizza con importanti appoggi finanziari, materiali e di formazione, forniti dall’UE o direttamente da alcuni dei suoi Stati membri alle polizie, guardie costiere, milizie paramilitari e autorità governative, principalmente in Libia, ma anche in Turchia, Egitto, Algeria e Marocco. Tutto questo è diffuso all’interno di notifiche in seno a mille documenti puntuali, nazionali o europei. Delle fughe mediatiche talvolta ne rivelano l’esistenza. C’è poi l’aumento di più del 600% (da 1500 a 10’000) degli effettivi dell’Agenzia europea delle guardie di frontiera e guardia costa (ex agenzia Frontex), con l’ampliamento delle loro prerogative –tra cui la possibilità di pattugliare il Nordafrica- e dei suoi scambi di informazioni e di collaborazioni pratica con le istituzioni marittime e terrestri dei paesi del Nordafrica (19).

Un territorio sempre più militarizzato

L’UE è qui partita dall’anello debole, i migranti detti “illegali”, per militarizzare la “questione migratoria” (20) attraverso:
• La militarizzazione delle frontiere: un articolo del Guardian ricorda che, tra i paesi più ricchi del pianeta, 15 avevano dei muri o delle reti alle loro frontiere nel 1990, e invece 70 dall’inizio del 2016 (21);
• I campi su dei margini sempre più lontani dell’Europa;
• L’estensione della rete di campi di detenzione per migranti in Europa, in Italia e in Grecia, con gli hot-spots (identificazione e registrazione in campi di primo smistamento);
• L’ampliamento del sistema di schedatura di massa dei migranti illegali extra-UE (Eurodac), compresi i bambini dai 6 anni;
• L’istituzione del sistema europeo ETIAS, vale a dire una schedatura avanzata dei visitatori di 60 paesi che non hanno bisogno di visto per entrare nell’UE;
• L’introduzione di sanzioni europee molto severe (perdita dell’accesso ai mezzi di sussistenza) contro i richiedenti l’asilo colpevoli di non rispettare le norme di Dublino, sapendo che nel 2014 (non c’è uno studio più recente), 11 anni dopo l’introduzione del Regolamento Dublino II, il 24% dei richiedenti l’asilo aveva già depositato una domanda in un altro Stato, secondo un documento del 2016 della Commissione europea (22);
• Il rafforzamento della schedatura delle popolazioni europee, in caso di uscita dallo spazio Schengen (allargamento dello schedario SIS, Sistema d’Informazione Schengen);
• L’introduzione di chip elettronici obbligatori nei documenti d’identità dei cittadini degli Stati dell’UE e associati;
• La pericolosa interoperatività (permeabilità) dei diversi schedari elettronici dell’UE, che prepara il Big Brother Parlamento europeo; quest’ultimo, non contento di non avere reali poteri, si applica a essere a “Voce del padrone”: i poteri dei paesi dell’UE e della Commissione europea.

Così il dispositivo messo in campo nell’ambito dell’asilo serve a testare gli attacchi ai diversi diritti dell’insieme dei salariati, cosa che si profila già in numerose leggi di tipo autoritario messe in atto nei paesi europei e nelle pratiche poliziesche e repressive durante i diversi movimenti sociali.

Evidentemente questa militarizzazione delle frontiere dell’UE ha un “prezzo umano”. Mancano in effetti da questo dipinto i cimiteri eretti alla frontiere dell’UE. The Migrants’ File e United Against Refugee Deaths stima che, tra gennaio 2000 e giugno 2015, 30’000 persone sono morte tentando di entrare in Europa. Se aggiungiamo i più di 10’000 morti tra aprile 2015 e aprile 2018, arriviamo alla cifra terrificante di 40’000 morti “documentati” (quanti in realtà?), in diciassette anni (23)!

Tutto ciò genera peraltro un’importante cifra d’affari prodotta dalla gestione poliziesca e militarizzata delle migrazioni: con dei subappalti di (semi)prigionia, di sorveglianza attraverso tecnologie di punta, di spiegamento di polizie terrestri e marittime, di centri con consulenza e di sostegno, di reti di viaggi clandestini,… Quello che Claire Rodier chiama il “business della migrazione” (24).

Degli elvetismi dublinesi

In questo contesto di inasprimento della caccia ai migranti e richiedenti l’asilo e della loro selezione le autorità svizzere e il loro ministro socialdemocratico (Simonetta Sommaruga) del Dipartimento di giustizie a polizia (sic) sono all’avanguardia.

A trentasette anni dall’entrata in vigore della Legge sull’asilo (LAsi), nel 1981, dopo undici revisioni di fondo e decine di revisioni puntuali o parziali, quest’ultima è sottoposta al tritacarne della sua 12a revisione (25). Si tratterà di integrare la nuova situazione europea alla luce della crisi di Dublino.

In questo contesto di erezione della fortezze-matrioska, i partiti di governo difensori della Fortezza Svizzera –dai socialdemocratici all’UDC, passando per i liberali-radicali e i democristiani- sono in allerta con le loro autorità federali, le guardie di frontiere e la loro amministrazione.

Nella loro grande angoscia di Überfremdung (26), “la catastrofe è imminente”. Il carattere ideologico di questo discorso è svelato da queste semplici cifre: lo 0.29% della popolazione svizzera rappresentata dai permessi N (richiedenti l’asilo) nel 2017 potrebbe raddoppiare e rappresentare lo 0.58% nel 2018 o 2019, se le autorità italiane decidessero di aggirare Dublino!

Il linguaggio “dublinese” del rifiuto dello straniero

Nel quadro degli Accordi di Dublino, il vocabolario dei partiti politici di governo di destra o di sinistra, delle autorità preposte all’asilo, degli interventi parlamentari, e spesso dei media e dei sindacalisti, deborda di espressioni destinate a ancorare due idee nell’immaginario collettivo. Da un lato, l’idea dell’abuso e, dall’altro, del numero troppo grande di rifugiati, richiedenti l’asilo, clandestini.

Indipendentemente dalle realtà quantitative. Così, non si è mai tanto parlato di arrivi dei migranti e rifugiati allorché sono al loro minimo statistico.

Nel primo caso, ci sono le fraseologie che separano nettamente i rifugiati detti economici da quelli detti politici, i veri e i falsi richiedenti l’asilo. Si tratta di un duplice ossimoro, dato che non solo la Carta internazionale dei diritti dell’uomo dell’ONU (27) riconosce il diritto alla migrazione per tutti. Ma lega anche indissolubilmente i diritti economici, sociali e culturali ai diritti civili e politici.

Nel secondo caso, si parla di aumento importante di arrivi di richiedenti l’asilo o di domande d’asilo, di afflussi massicci, di entrate massicce sul territorio, di flussi continui, di ondate, di inondazioni, di invasioni, di tsunami, di esplosioni dei costi dell’asilo e di aiuto sociale ai rifugiati, di bombe a orologeria finanziarie legate all’asilo, di sovraccarico del sistema asilo,…

Perfettamente conformi alle rappresentazioni collettive dipinte da un “discorso ufficiale” che implica la costruzione di una cecità sul rapporto tra discorso e azione, dove non si nominano esplicitamente le persone stigmatizzate e maltrattate dalla politica dell’asilo; gli acronimi amministrativi camuffano le tragedie umane e sono sovente ripresi dalla sinistra e le ONG, senza misurarne la funzione specifica:
• Le vittime della Non-Entrata in Materia diventano dei NEM.
• Le vittime di una decisione negativa d’asilo e di rinvio, o “NEGazione d’Entrata”, diventano NEGE.
• Quelli colpiti dall’aiuto d’urgenza di lunga durata diventano dei “Beneficiari di Aiuto d’urgenza di Lunga Durata”, i BALD.
• Gli esiliati dell’inferno dei paesi d’Europa che li gettano per strada diventano “Richiedenti l’Asilo Multipli”, i RAM.
• Sovente i migranti e richiedenti l’asilo diventano dei casi – un caso è sempre un problema in sé, il che si trasforma in “caso Dublino”, “nuovo caso”, “vecchio caso”,…
• I nuovi arrivati, denominanti “clandestini”, “entrate illegali” o “senza documenti”, “migranti economici”, messi automaticamente in opposizione con la legittimità della loro migrazione o con la legalità, parole che rimano con “minaccioso”, “in violazione della legge”.
• Le prigioni per richiedenti l’asilo appena arrivati e estranei a qualsiasi delitto sono chiamate “Centri di Registrazione e di Procedura” o CRP.
• L’imprigionamento di un (ex) richiedente l’asilo e altro straniero in via d’espulsione è designato con l’espressione “misure di coercizione”; ebbene non si costringe qualcuno che non dovrebbe esserlo o che non costituisce un pericolo.
• C’è anche la carcerazione amministrativa di stranieri, messi in prigione che, con la parola amministrativo, prende un’aria quasi inoffensiva.

Del resto, spesso le autorità ingaggiano dei veri e propri match burocratici –ma reali- di ping-pong di esseri umani, giustificati dal Regolamento di Dublino e messi in pratica da poliziotti disciplinati.

Menzioniamo un caso recente, a Ginevra, che è stato controllato e arrestato 5 volte dalla polizia colpevole di avere una faccia da furfante, e rispedito ogni volta in Italia in aereo, sulla base di quella che si chiama una decisione di giustizia, assortita di multe salate, inducendo anche delle pene per non pagamento delle pene e anche per spaccio (come sopravvivere?).

“Oltre i segni e il loro inizio (…), scrive il poeta portoghese Antonio Ramos Rosa (28). Oltre i segni di maltrattamenti e violenze, che sono paradossalmente sia sistematicamente organizzati e profondamente disordinati su scala globale nei paesi Dublino, maltrattamenti e violenze appena accennati in queste linee, cosa si può vedere? Siamo confrontati con delle manifestazione della vecchia tradizione degli Stati autoritari e con la crudeltà organica e abitudinaria delle classi dominanti europee messe in pratica storicamente di fronte “alle classi pericolose”? Sono delle manifestazioni particolarmente brutali di una politica di dissuasione, che non ha limiti che nel suo risultato finale, indipendentemente dagli effetti collaterali, indipendentemente dalla loro drammaticità e mortalità? C’è una forza inerziale in tutto questo, una sorta di auto-riproduzione dei processi, legata al business che rappresenta il tentativo continentale di contenere e reprimere le migrazioni e il rifugio, che implica effettivamente molte imprese e profitti? È una pipe-line per clandestini aperta a discrezione, per servire le esigenze d’accumulazione del capitale?

Tutte domande pertinenti. Ma restano comunque tre altri elementi primordiali da prendere in considerazione.

L’intossicazione attraverso la questione demografica

Il primo dei tre elementi ci pone una questione: le istituzioni dell’UE e della maggioranza degli Stati membri o associati sottostimano i bisogni demografici (apporti esterni dunque migranti) dei capitalismi europei da qui alla fine del secolo (in particolare in relazione al ruolo dell’aumento della popolazione per le sviluppo del capitalismo)? A seconda delle diverse stime decennali per il XXI secolo (2015-2080) (29), nessuno dei paesi dell’UE (ad eccezione della Francia nel 2020 e della Svezia nel 2060) raggiungerà un tasso di riproduzione del 2.1 (30) di nascite viventi per donna (riproduzione senza apporti migratori). Anche se paesi che, come l’Ungheria, la Slovacchia, la Polonia, la Romani e la Spagna, avessero il più alto tasso di fecondità, non raggiungerebbero il tasso di riproduzione di 2.1.

Peraltro, un paradosso è da sottolineare. Da un lato, paesi che hanno ricevuto il numero più importante di migranti extra-europei tra il 2013 e il 2016 (31) (Germania, Regno Unito, Italia, Spagna, Francia) ne hanno ricevuti 2.3 volte in più degli altri paesi dell’UE; tra loro la Germania, che rappresenta il 12% della popolazione totale dell’UE, ha ricevuto il 28% degli immigrati in questione. Dall’altro, se ci interessiamo al numero di migranti extra-europei in percentuale della popolazione del paese, quelli che hanno accolto più migranti sono Malta, Lussemburgo, Svezia, Germania, Cipro e Austria, la metà di questi paesi è sovente qualificata dai media come “molto chiusi”.

Da un altro punto di vista, possiamo considerare che l’UE conoscerà una stabilizzazione demografica, eventualmente una leggera forma di crescita, più probabilmente sotto forma di decrescita, durante i prossimi decenni. Con un tasso di dipendenza (numero di persone in pensione per numero di attivi) in aumento. Così i paesi con le percentuali di persone anziane più elevate sono l’Italia, la Grecia, la Germania, il Portogallo, la Finlandia e la Bulgaria (32). Invece quelli che hanno conosciuto l’invecchiamento più importante, in dieci anni (2008-2017), sono la Repubblica Ceca, Malta, la Finlandia, i Paesi Bassi, la Slovacchia e la Danimarca.

Detto questo, da un lato, queste cifre si riferiscono a delle evoluzioni endogene che non tengono conto dei fenomeni migratori che “sono importanti a causa della forte attrattiva e vicinanza dell’Africa” (33).

D’altro canto, bisogna tener conto del fatto che le previsioni demografiche sono aleatorie, anche su una durata di circa 30 anni (una generazione). Infine, questi dati statistici ci permettono di comprendere che non sarebbe possibile spiegare attraverso delle considerazioni sulle prospettive di evoluzione demografica a medio termine le politiche più o meno flessibili in relazione agli arrivi “ammessi” o “illegali” di immigrati, o la più o meno grande integrazione dei migranti.

Infatti, in materia, il basamento del discorso demografico serve da paravento a una problematica mai esplicitata dai governi e istituzioni di potere: “i governi attaccano i migranti non desiderati, danno alle forze di polizia dei poteri estesi che sono stati poi utilizzati contro i loro stessi cittadini”, come lo afferma chiaramente The Guardian. In altre parole, “quale è la probabilità che gli Stati che trattano i migranti con tanta insensibilità si comportino alla stessa maniera con i loro propri cittadini?” (34).

Da questo punto di vista, il dibattito all’interno dei governi e delle amministrazioni europee, come delle diverse frazioni della borghesia e delle opinioni pubbliche, gira attorno a un’equazione complessa a più variabili sconosciute, apparentemente senza soluzione a corto e medio termine. Quest’equazione rinvia a tre aspetti, che possiamo qualificare in quanto tale di demografici. Il primo si rapporta al punto di vista “di ciascuno” sulle migrazioni, sull’”altro”, sul “noi”, sui “nostri valori” (35). Il secondo, attraverso le decisioni da prendere in materia di politica migratoria, si riferisce ai meccanismi delle decisioni politiche, dunque al funzionamento delle istituzioni in generale. Il terzo è da mettere in relazione con le strategie di appropriazione della ricchezza prodotta socialmente dai salariati, attraverso innumerevoli restrizioni economiche inflitte ai migranti in termini di aiuto sociale, livello salariale,…. Si tratta di realtà permeabili tra ciò che è inflitto ai migranti e ciò che colpisce anche i salariati in generale.

Finalmente, il Consiglio europeo del 28 giugno scorso ha dimostrato che i diversi membri dell’UE, compreso il gruppo di Visegrad, la Slovenia, l’Austria, Malta, Cipro e l’Italia del nuovo governo Giuseppe Conti (Lega-5 Stelle), la Germania del nuovo compromesso di governo (CDU, CSU, compresa la SPD), sono tutti a favore di una politica selettiva-repressiva in materia di migrazioni extra-europee, certamente con delle variazioni e sfumature. Ben inteso che “aprire ulteriormente le frontiere ai migranti” non significa in alcun modo un’apertura al diritto democratico allo spostamento della persona (Carta dei diritti dell’uomo dell’ONU), ma una forma, più o meno congiunturale, secondo il caso, di utilitarismo migratorio. I democristiani tedeschi di Angela Merkel, su questo terreno, non sono più “progressisti” dei nazional-conservatori ungheresi di Viktor Orban, né dei partiti di governo svizzeri.

Tutto ciò non significa pertanto che la risposta dei diversi capitalismi europei alla questione demografica non costituisca una parte notoria delle loro divergenze.

La crisi delle istituzioni europee

Il secondo di questi tre elementi di spiegazione della crisi di Dublino consiste in un fascio eterogeneo di cause che si manifesta nel marasma delle politiche d’asilo e d’immigrazione in seno all’UE. Così, i bloccaggi attorno a Berlino, che avranno delle conseguenze sulla configurazione dell’UE, non sono che il riflesso più o meno diretto delle differenti visioni che si affrontano sullo spazio e la strutturazione dell’Unione europea e sull’evoluzione delle configurazioni politiche in ogni paese, con l’affermazione di forze della destra estrema e dell’estrema destra. Un elemento importante per comprendere questa crisi è certamente il peso in aumento dei “sovranismi”, il cui radicamento sociale inizia negli anni 1980.

Le sconfitte cumulative dei salariati di quelli che vengono chiamati a torto i Trenta gloriosi (36) si accompagnano a uno sviluppo dell’integrazione socio-politica –sotto diverse forme- da parte delle classi dominanti delle loro “opposizioni di sinistra” e di pratiche autoritarie, vale a dire di attacco ai diritti democratici e sociali.

Queste evoluzioni si producono nel quadro di un capitalismo che mette in concorrenza diretta –sotto l’impatto di una manodopera di riserva mondializzata e dell’internazionalizzazione delle catene di produzione industriale e dei cosiddetti servizi –ogni salariato contro tutti gli altri salariati. Questo non è separato da una sorveglianza sociale qualitativamente accentuata. Fatto che spiega l’attualità ritrovata di un 1984 di Orwell, pubblicato nel 1949.

Il capitalismo predatore si getta sui migranti

Il terzo di questi elementi che costituiscono la tela di fondo della crisi di Dublino consiste nell’imperativo dei grandi capitalismi predatori –europei e extra-europei, in particolare americano, cinese,…- di spremere l’Africa come un limone, di tutte le sue materie prime, risorse territoriali, più di quanto è stato fatto nel passato (neo)coloniale. Saccheggio di materie prime minerali e vegetali attraverso il grande commercio internazionale, di cui la Svizzera (in particolare Ginevra, Zugo e Lugano e in misura minore l’Arco lemanico), è uno dei principali centri mondiali (37). Un saccheggio che opera un sacco ambientale colossale e delle condizioni di lavoro spaventose (38). Saccheggio delle risorse finanziarie con il meccanismo del debito, di cui il settore bancario e finanziario svizzero fa parte. Durante il XXI secolo (39), la crescita del debito pubblico dell’Africa sub-sahariana si è sviluppata più rapidamente del PIL e delle entrate provenienti dall’estrazione mineraria. Nel 2016, la Nigeria, lo Stato più popoloso del continente (188 milioni di abitanti), ha consacrato il 40% delle sue entrate globali al servizio del debito.

Le politiche in materia di migrazioni e dei rifugiati extra-europei dell’UE e dei paesi associati, tra cui la Svizzera, si iscrive in questa prospettiva di saccheggio globale. Le “competenze” e le “risorse umane”, sono ammesse legalmente attraverso una stretta porta detta “politica migratoria e d’asilo”. I più qualificati e i più adattabili fanno parte di questo ventaglio di rapine. Lo scopo –“ideale” ma lungi dall’essere raggiunto- è di lasciar passare solo quelli che le autorità e i loro commessi, considerano i “candidati all’integrazione”, quest’ultima intesa come “assimilazione”. Si tratta di coloro che, benché già formati scolasticamente e già auto-formatisi a una grande resistenza “laggiù”, sono scelti non per essere integrati, ma assimilati “qui”. Si tratta evidentemente di “immigrazione scelta”, formula che si è imposta nel discorso ufficiale. È così che bisogna leggere i propositi della ministra socialista svizzera del Dipartimento di giustizia e polizia, Simonetta Sommaruga, quando pronuncia questa formula per celebrare il (non)accordo sulle migrazioni dell’ultimo Consiglio d’Europa: “Il rinforzamento delle frontiere esterne dell’UE non deve condurre a una chiusura delle frontiere ai rifugiati”(40). Intendendo che lo sviluppo del capitalismo svizzero ha articolato, dalla fine della seconda guerra mondiale, l’esportazione di capitali (investimenti diretti all’estero – IDE) e importazione di forza lavoro, moltiplicando e modificando i diversi “permessi di soggiorno”.

Di fronte a ciò…

Di fronte a ciò, ogni movimento di resistenza e disobbedienza legale e civile, anche locale, parziale ed effimero che sia, di sostegno a dei gruppi di richiedenti l’asilo respinti, di aiuto a dei clandestini, di partecipazione a una mobilitazione contro un’espulsione, di denuncia di incarcerazioni arbitrarie, di finanziamento di ONG che agiscono in mare o ai margini dell’Europa, di lotta per delle migliori condizioni di vita dei migranti in una paese, è un mattone prezioso per edificare l’edificio di un “vivere meglio insieme”, messo così già in pratica. Il lavoro di SOS Mediterraneo e di Medici senza frontiere, in particolare con la nave Acquarius, è da questo punto di vista esemplare. Allo stesso modo L’appello contro l’applicazione cieca del regolamento di Dublino, consegnato alle autorità elvetiche (41).

*Dario Lopreno è membro del Sindacato dei Servizi Pubblici, Ginevra.

Note:

[1] Commissione europea, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, Bruxelles, 4 maggio 2016.
[2] Eurostat, tabelle concernenti le variabili transfer decisions [migr_dubdo] e [migr_dubdi], transfer [migr_dubto] e [migr_dubti], pending Dublin transfers [migr_dubtpeno] e [migr_dubtpeni], aggiornate a fine 2016.
[3] Direttiva rimpatrio: Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare; Regolamento Dublino III: Regolamento (UE) N. 604/2013 del 26 giugno 2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide; Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide; Direttiva accoglienza: Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.
[4] Decreto federale che approva e traspone nel diritto svizzero lo scambio di note tra la Svizzera e la CE concernente il recepimento della direttiva CE sul rimpatrio (direttiva 2008/115/CE) (Sviluppo dell’acquis di Schengen), del 18 giugno 2010; François Maudoux, «Des mesures controversées», quotidiano Le Temps, Ginevra, 6 ottobre 2011.
[5] Terre des Hommes: Détention illégale de mineurs migrants en Suisse: un état des lieux, Lausanne, 2016.
[6] Eurostat: Statistics on enforcement of immigration legislation. Maggio 2017.
[7] Commissione europea, Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio citata.
[8] Rédaction, «La Belgique peut à nouveau renvoyer des demandeurs d’asile vers la Grèce», 7 sur 7, Bruxelles, 11/06/2018.
[9] AFP, Turquie. L’Union européenne débloque trois nouveaux milliards pour les réfugiés, Ouest-France, Rennes, 14/03/2018.
[10] Mathilde Mathieu, «Les migrants paient le prix fort de la coopération entre l’UE et les garde-côtes libyens», Mediapart, 28/06/2018
[11] Baudoin Loos, «Mourir sans eau ni nourriture dans le désert du Sahara», Le Soir, Bruxelles, 28/06/2018; Zahra Chenaoui, «L’Algérie continue d’expulser les migrants en plein désert», Le Monde, Parigi, 03/07/2018.
[12] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio d’Europa e al Consiglio. Primo rapporto sulla ricollocazione e il reinsediamento, COM (2016) 165 finale e Association Migration Law, Relocalisation des demandeurs d’asile depuis la Grèce et l’Italie, Nantes, 03/04/2018.
[13] Jean-Claude Juncker, Discorso sullo stato dell’Unione europea, Bruxelles, 13/09/2017.
[14] Il Consiglio d’Europa definisce i grandi orientamenti e le priorità politiche dell’Unione europea; i suoi membri sono i capi di Stato e dei governi dei paesi dell’UE, il presidente della Commissione europea, l’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e delle politica di sicurezza e il suo Presidente, attualmente Donald Tusk (https://europa.eu/european-union/about-eu/institutions-bodies/european-council_fr).
[15] Segretariato generale del Consiglio d’Europa, Riunione del Consiglio d’Europa (28 giugno 2018) – Conclusioni, Bruxelles, 28/06/2018 (documento EUCO 9/18, CO EUR 9 CONCL 3).
[16] Si tratta di: Germania, Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Spagna, Finlandia, Francia, Grecia, Italia, Lussemburgo, Malta, Olanda, Slovenia, Svezia; senza la partecipazione dei paesi del gruppo detto di Visegrad. – Visegrad è une città-fortezza ungherese, scelta simbolicamente dalla Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, per far adottare all’UE una politica più dura in materia di immigrazione, obiettivo in via di raggiungimento- e di altri paesi membri dell’UE.
[17] La Commissione europea è il potere legislativo e esecutivo dell’UE, che non ha ancora scoperto al separazione dei poteri; è costituita da un Commissario per Stato membro, di cui uno è presidente, attualmente Jean-Claude Juncker (https://europa.eu/european-union/about-eu/institutions-bodies/european-commission_fr).
[18] Cécile Vanderstappen e Marie-Dominique Aiguillon, «Frontex, le bras armé de l’Europe forteresse» in Demain Le Monde, Bruxelles, marzo-aprile 2013.
[19] European Commission, Migration and border management, Bruxelles, 02/05/2018.
[20] Nina Fabrizi-Racine, «Frontex, nouvelle Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes : Des données et des hommes», La Revue des droits de l’homme, Parigi, marzo 2017; Conseil européen & Conseil de l’Union européenne, «Eunavfor Med Opération Sophia: prorogation du mandat jusqu’au 31 décembre 2018», Bruxelles, 25/07/2017; Caritas Europa e 23 altre organizzazioni dell’asilo, «Forcing children to take their fingertips is unworthy of European values», Brussels, 20/03/2018; iatranshumanisme.com, «Le Parlement européen soutient la mesure d’enregistrement des empreintes digitales des demandeurs d’asile de 6 ans», San Francisco, 08/06/2017; Corinne Balleix, «Point d’étape sur la réforme du régime d’asile européen», 20/12/2017, La documentation française ; OIM citato da Soeren Kern, «Europe: la crise migratoire se déplace vers l’Espagne», Gatestone Institute, 22/08/2017 ; Schengen Visa Information, dicembre 2018, https ://www.schengenvisainfo.com/fr/etias/; Nuno Piçarra, Une réforme qui est une révolution : sur le règlement 2017/458 modifiant le Code Frontières Schengen, sito http ://eumigrationlawblog.eu, 11/07/2017; European Parliament, Interoperability of European information systems for border management and security, Strasburgo, giugno 2017.
[21] Daniel Trilling, Five myths about the refugee crisis, The Guardian, quotidiano, Londra, 05/06/2018.
[22] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio d’Europa e al Consiglio. Primo rapporto sulla ricollocazione e il reinsediamento, COM(2016), 165 final, Bruxelles, 2016.
[23] The Migrants’Files, The human and financial cost of 15 years of Fortress Europe. Counting the Dead, 2015; List of 33’305 documented deaths of refugees and migrants due to the restrictive policies of Fortress Europe, Documentation at 15 June 2017 by UNITED ; Julien Duriez, Léo Amar, «Infographie – Plus de 3’100 migrants morts ou disparus en Méditerranée en 2017», quotidiano La Croix, Parigi, 10/01/2018.
[24] Claire Rodier, «Le business de la migration», in Plein droit, la rivista del Gisti, Parigi, giugno 2014; vedere anche sul sito Internet di The Migrants’Files, gli articoli «Follow the money – some of it – into the sub-economy spawned by migration», «Border security: A policy creates an industry», «Software: A favorite security budget item», «Hardware : Drones and boats and walls The high costs of deportation e What migrants pay traffickers.»
[25] Madeline Heiniger: «Trente ans de révisions… La première loi formelle sur l’asile est entrée en vigueur le 1er janvier 1981», Journal du Centre Suisses-Immigrés. Sion, n° 11, 2013.
[26] È con questo termine, che significa sovra-inforestierimento, che la Svizzera ufficiale ha chiamato, per decenni, l’arrivo di stranieri, nella precedente legge sugli stranieri (LDDS, Legge concernente la Dimora e il Domicilio degli Stranieri, in vigore dal 1931 al 2008).
[27] Per Carta internazionale dei diritti dell’uomo dell’ONU si intendono la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (v. http://www.un.org/fr/rights/overview/charter-hr.shtml).
[28] Antonio Ramos Rosa, Par delà les signes, Poema tratto dalla raccolta Accords, Gallimard, Parigi, 1998, 1a edizione portoghese 1989, p. 88.
[29] Eurostat, Hypothèses sur le taux de fécondité par âge et type de projection, Bruxelles, gennaio 2018, tableau proj_15naasfr.
[30] Un tasso di fecondità totale di circa 2.1 di nascite viventi per donna corrisponde al livello di rinnovamento della popolazione nei paesi sviluppati; esprime il “numero medio di nascite viventi per donna per mantenere costante la dimensione della popolazione in assenza di migrazione» (v. Eurostat, Statistiche sulla fecondità. Dati estratti in marzo 2017, Tabelle principali e Database).
[31] Eurostat, Immigration by age group, sex and citizenship, Bruxelles, avril 2018, tableau migr_imm1ctz.
[32] Observatoire des territoires, Le vieillissement de la population et ses enjeux. Fiche d’analyse, Parigi, 2017 ; Eurostat, Taux de dépendance vieillesse par 100 personnes, Bruxelles, maggio 2018, tabella tps00198.
[33] Eurostat, Hypothèses sur le taux de fécondité par âge et type de projection, Bruxelles, gennaio 2018, tableau proj_15naasfr ; Institut national d’études démographiques (INED), Démographie : Estimations et projections mondiales de l’Ined, Parigi, 2017 ; INED, Indicateur conjoncturel de fécondité – Nombre moyen d’enfants par femme. Union européenne et autres pays, Parigi, agosto 2017.
[34] Daniel Trilling, Five myths about the refugee crisis, The Guardian, quotidiano, Londra, 05/06/2018.
[35] Non è una caso se l’espressione “i nostri valori” torna regolarmente nei testi dei partiti politici svizzeri quando si parla di immigrazione.
[36] «Trenta gloriosi»: termine ripreso da Jean Fourastié e dal suo libro de son Les trente glorieuses ou La Révolution invisible de 1946 à 1975 (prima edizione presso Fayard, Parigi, 1979). Questa denominazione è un’ode alla crescita del capitalismo dei decenni del dopo guerra nata sulle ceneri dei fascismi e del nazismo. È un panegirico della crescita economica e della produttività, del saccheggio del Terzo mondo, ma anche del paternalismo e del militarismo neocoloniale, e di un “consumo generalizzato” dal quale i pregiudizi sociali sono spesso cancellati. Le due recessioni degli anni 1973-1975 e 1980-1982, traduzione di una crisi di sovrapproduzione e sovraccumulazione del capitale, hanno sancito la fine di questo periodo.
[37] Dalla Svizzera sono commercializzati, ad esempio, il 35% del petrolio grezzo mondiale, il 35% dei cereali, il 50% dello zucchero, il 60% dei metalli, il 60% del caffè (v. Accademia svizzera delle scienze, Factsheets, vol. 11, n° 1, 2016, Berna).
[38] Bisogna consultare in dettaglio il notevole sito internet di Public Eye sulla questione (ex-Dichiarazione di Berna, https://www.publiceye.ch/fr/), per constatare che la borghesia mondializzata che agisce dalla Svizzera è di una barbarie e una brutalità senza limiti.
[39] Credendo, «Accroissement rapide de la dette publique en Afrique subsaharienne», Bruxelles, 27/02/2018.
[40]/ Sda/Ats, Simonetta Sommaruga salue l’accord européen sur les migrations, Swissinfo, Berna, 29/06/2018.
[41] https://www.dublin-appell.ch/fr/