Tempo di lettura: 3 minuti

Nella «civile» Australia che piace tanto a Salvini 17 migranti arrivati dopo 1.400 giorni di tolleranza zero sono stati «catturati». In carcere – negli ultimi dieci anni – sono morti ben 147 indigeni, alcuni bambini.

Diciassette migranti vietnamiti che per giorni hanno tentato di raggiungere le coste australiane sono stati «catturati» in una zona di mangrovie infestata da coccodrilli del Far North Queensland. Catturati è la parola giusta perché il sistema di sorveglianza australiano sta già provvedendo a spedirli a Christmas Island, un’isola a 1500 chilometri dalla costa dove, come a Nauru e Manus in Papua Nuova Guinea (la «Libia» australiana), si trovano i centri di detenzione per chi ha forzato il varco marittimo.

È LA PRIMA VOLTA che succede in quattro anni: una falla nel sistema di sorveglianza che, nelle parole di Peter Dutton, il ministro dell’Interno di Canberra, «per 1.400 giorni» ha garantito la tolleranza zero dell’Australia verso chi vi cerca rifugio. Quella politica di No way che piace tanto al suo omologo italiano. Ma non sono solo i migranti a passarsela male nel grande Paese dell’Oceania.

In questi giorni, già al centro di polemiche per il recente rimpasto di governo, una denuncia del Guardian sui decessi degli aborigeni nelle galere australiane sta surriscaldando il clima. Il giornale britannico ha documentato con un’accurata inchiesta la violenza costante verso i nativi. Violenza connotata, oltre che dalla negazione del diritto, anche dalla stessa venatura razzista che si proietta poi nelle politiche di protezione dai migranti.

Una violenza che si è consumata ai danni di 147 aborigeni – alcuni dei quali bambini – uccisi negli ultimi dieci anni dal sistema carcerario. L’inchiesta – il cui risultato è stato bollato dall’opposizione come «vergogna nazionale» – ha fatto chiedere ai gruppi indigenisti di consentire un immediato monitoraggio indipendente di tutti i centri di detenzione, specie se vi sono prigionieri nativi: benché solo il 2,8% della popolazione australiana si identifichi come indigena, gli aborigeni costituiscono il 27% di quella carceraria, il 22% dei decessi in carcere e il 19% delle morti durante «custodia» in centri di polizia. Le notizie riferite dal Guardian arrivano poi in un momento in cui è in corso un’inchiesta nell’Australia del Sud per la morte di Wayne Morrison, un uomo che è morto in ospedale tre giorni dopo un alterco con le guardie penitenziarie di una prigione di Adelaide.

UN FILMATO RESO PUBBLICO lunedì (disponibile sul sito del giornale britannico e su Youtube) mostra l’incidente che vede oltre una dozzina di funzionari di polizia affollare il corridoio dove alcuni colleghi stanno avendo ragione di Morrison. Nessuno interviene se non per dar man forte alle guardie.

MIGRANTE O GALEOTTO, peggio ancora se aborigeno, la vita è dura nella “civile” Australia, presa come modello dai fautori della tolleranza zero. Oltre 400 aborigeni sono morti dalle conclusioni di una Commissione reale che, quasi trent’anni fa, aveva delineato le modalità che avrebbero dovuto prevenire il decesso di chi si trova in carcere con l’aggravante di essere un nativo.

MA LE CONDIZIONI non sembrano affatto migliorate: gli aborigeni vengono trattati peggio sia sul piano sanitario sia sotto il profilo giudiziario. Sono i problemi di salute mentale a essere all’origine di quasi la metà dei decessi sotto custodia, mentre alcune famiglie hanno aspettato fino a tre anni per i risultati di inchieste relative al caso dei loro parenti.

LA SENATRICE DEI VERDI Rachel Siewert ha definito l’inchiesta del Guardian «un’iniziativa incredibilmente importante che fa luce su un problema devastante». Pat Dodson, un senatore laburista e aborigeno, ha commentato l’inchiesta con parole che sentiamo ogni giorno anche in Italia: «Come nazione stiamo andando indietro» La polemica per altro infuria su tutti i fronti dopo il rimpasto di governo di qualche giorno fa, che agli australiani non è affatto piaciuto e che ha visto il nuovo primo ministro Scott Morrison succedere a Malcolm Turnbull dopo una votazione del gruppo parlamentare del Partito liberale in quella che la stampa locale ha definito una civil war: una guerra interna partita dalla fazione più conservatrice contro quella «moderata» di Turnbull.

L’ultimo sondaggio pubblicato dall’Australian premia i laburisti che – nelle preferenze tra i due partiti – prevalgono con il 56% sul 44%. E il leader laburista Bill Shorten prevale nettamente su Morrison come premier futuro col 39% contro il 33 del rivale.

MORRISON, famoso per le battaglie contro la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e che era arrivato a proporre che fosse consentito ai genitori di allontanare i bambini dalle classi se si discuteva di unioni «non tradizionali», è uno dei grandi fautori del pugno di ferro: quando nel 2010, quarantotto richiedenti asilo morirono nelle acque della Christmas Island, Morrison criticò la decisione del governo laburista di pagare il viaggio a Sydney ai parenti delle vittime per i funerali, sostenendo che lo stesso privilegio non era esteso ai cittadini australiani (prima gli australiani!). Nel 2013 poi ha lanciato l’operazione Sovereign Borders, la nuova strategia del governo per impedire l’ingresso di imbarcazioni non autorizzate nelle acque australiane.

CAMBIERANNO LE COSE se i laburisti dovessero vincere? La domanda riguarda non solo chi è aborigeno o chi cerca di sbarcare in Australia ma anche, come abbiamo visto, chi è in galera: 40mila nelle prigioni nazionali, gli oltre 200 migranti detenuti a Christmas Island e i 1.600 profughi in «custodia» a Nauru e Manus.

* articolo tratto da il manifesto del 29.08.2018.