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Nella storia dell’umanità lo spettro della fame è stato un incubo permanente. Le cronache ricordano eventi terribili come la carestia che dimezzò la popolazione di Parigi nel 974 o la grande carestia europea successiva alla peste del 1315 o quella in Irlanda nel 1740. Spesso questo flagello è stato coincidente con guerre, (quella dei trent’anni nel XVII secolo, come la grande guerra 1914-18), condizioni climatiche (come quella degli anni “senza estate”, 1816-17), eruzioni vulcaniche (Islanda, 1783), epidemie (colera in Etiopia 1888-92), siccità (Sahel 1968-72). Ancora nel nostro secolo la fame è sempre presente nelle zone di conflitto, tra gli sfollati e i profughi e non bisogna dimenticare che anche a Napoli nel 1943 ci fu un numero imprecisato di morti per fame.

Dati statistici prodotti dalla FAO avevano registrato una riduzione della sottoalimentazione a livello planetario tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nuovo millennio, tanto da far sperare nel raggiungimento dell’”obiettivo di sviluppo del millennio”, cioè il dimezzamento del numero degli affamati. Il rapporto delle Nazioni Unite del 2015 (Lo stato dell’insicurezza alimentare nel mondo) affermava che la percentuale di persone non in grado di consumare cibo sufficiente, erano diminuite nei paesi poveri in 25 anni: dal 23,3% al 12,9%. Lo stesso rapporto stimava in 795 milioni gli abitanti del pianeta che soffrivano per la fame, cioè circa una persona su nove.

Ma questi dati incoraggianti sebbene terribili, sono stati aggiornati nel 2017 con il rapporto della FAO sulla sicurezza alimentare e ne è risultata una inversione di tendenza: è successo quello che non succedeva da molti decenni. Si è registrato un aumento degli affamati, che sono ora stimati 815 milioni. Il rapporto evidenzia che le cause di questo fenomeno sono ascrivibili ai cambiamenti climatici ed alle situazioni di guerra (http://www.fao.org/3/a-I7695e.pdf).

Sono questi dati solo occasionali o indicano una tendenza molto pericolosa nei prossimi decenni? Non stiamo vivendo, in questo, come in altri importanti campi, un momento di svolta epocale nella storia del pianeta?

Cominciamo a riflettere sulla situazione demografica: l’attuale dimensione della “insicurezza alimentare” (parola per non dire più crudelmente “fame”) si riferisce ad una popolazione mondiale di 7,6 miliardi, stimata ad aprile 2018. In ogni minuto nel mondo nascono in media 250 bambini; una proiezione del numero di abitanti del pianeta Terra, secondo il World Population Prospect (https://esa.un.org/unpd/wpp/) calcola in 8,4 e 9,6 miliardi la popolazione mondiale nel 2030 e 2050 rispettivamente . Nel 2100, al limite delle proiezioni possibili, questo dato dovrebbe salire a 11,2 miliardi, distribuiti per il 60% nelle città e solo il 40% nelle campagne. Nel 2050, metà della popolazione mondiale sarà concentrata in nove paesi, quasi tutti molto poveri: India, Cina, Nigeria, Rep. Dem. Congo, Pakistan, Etiopia, Tanzania, USA, Uganda ed Indonesia. L’India sorpasserà la Cina nel 2024 e la popolazione africana risulterà pressoché raddoppiata rispetto ad oggi, mentre il numero degli europei diminuirà di circa il 20%. La popolazione italiana, oggi di 60 milioni di abitanti scenderà alla fine del secolo a 48 milioni.

A più cittadini del mondo dovrebbe corrispondere più cibo, cioè essenzialmente più prodotti agricoli e più estensioni coltivabili. Ma purtroppo non è così: in tutto il mondo ogni anno vengono persi circa tre milioni di ettari di terreni agricoli perché il suolo si degrada e diventa inutilizzabile a causa dell’erosione, fenomeno per cui componenti microscopiche si spostano da un luogo a un altro a causa del vento o dell’acqua. Altri quattro milioni di ettari vengono persi ogni anno quando la terra agricola viene convertita e utilizzata per autostrade, abitazioni, fabbriche e altri bisogni urbani. Attualmente il territorio agricolo del mondo è stimato 49,1 milioni di Km2, dei quali 33,6 milioni di Km2 sono adibiti a pascolo e soli 14,0 milioni di Km2 sono coltivati. Quest’ultimo dato indica quanto è dispendiosa in termini ecologici l’alimentazione a base di carne. Negli Stati Uniti, negli ultimi 30 anni circa 140 milioni di ettari di terreni agricoli sono andati persi a causa del degrado del suolo e della conversione per uso urbano.

Analoga è la situazione europea come rilevabile, dall’ EU agricoltural outlook 2017 – 2030 (https://ec.europa.eu/agriculture/markets-and-prices/medium-term-outlook_en). Il rapporto rileva che la superficie agricola utilizzata nell’UE ha continuato a diminuire negli ultimi anni, e questa tendenza continuerà fino al 2030. La quantità di terra utilizzata a fini agricoli scenderà a 172 milioni di ha dall’attuale livello di 176 milioni ha, con un corrispondente calo del livello delle terre arabili dell’UE, da 106,5 milioni di ettari nel 2017 a 104 milioni di ettari nel 2030. Continua così la tendenza a lungo termine del passato, dovuta in gran parte alla crescente urbanizzazione in Europa.

Altro elemento negativo a livello mondiale è la conversione da culture agricole alimentari a culture di biocarburanti: in Africa occidentale, come in altri posti, multinazionali dell’energia stanno trasformando l’utilizzo del suolo agricolo, da agricoltura di sussistenza dei contadini locali in monoculture per carburanti da trasporto, con conseguenze disastrose in termini sociali.

Il discorso andrebbe ampliato alla perdita di suolo agricolo per la desertificazione di ampie aree subtropicali a causa dei cambiamenti climatici, all’aumento del costo dei fertilizzanti in corso (praticamente raddoppiati dal 1994 al 2017), all’impoverimento di materia organica nel terreno, ed, infine, all’inquinamento delle falde acquifere da veleni industriali.

Tutto ciò è devastante per la prospettiva di alimentazione del pianeta, e lo spettro della fame non è solo fantasia per un film di fantascienza. Ma l’aspetto più inquietante è che le sorti dell’agricoltura mondiale sono ormai concentrate nelle mani di pochissime imprese multinazionali (la fusione Monsanto-Bayer dell’anno scorso ha capitalizzato il 90% del mercato dei sementi per lo più sterili) che decidono alzando o abbassando il prezzo dei semi, quali paesi affamare prima.

Ancora una volta non è avara la terra, ma è criminale il suo sfruttamento da parte del profitto.