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Una vera mobilitazione di “persuasori” (non tanto occulti) tenta di contrastare l’ondata di indignazione – non solo genovese – nei confronti degli imprenditori cinici che conoscevano il pericolo ma rinviavano lavori da tempo indispensabili.

Il “Corriere della sera” affida a Sergio Romano il compito di scongiurare il uno scontato “processo sommario al mostro di Genova”, ricordando che un paese rispettabile paga sempre i debiti, e tutti i “giornaloni” hanno la maggior parte degli articoli rivolti a scongiurare quella che ritengono un’inammissibile rottura di un contratto tra lo Stato e le imprese privatizzate, anche se risulta un contratto iniquo.

La CGIL tira in ballo il pericolo per l’occupazione, come se la riacquisizione da parte dello Stato di un bene pubblico come le Autostrade dovesse mettere sulla strada chi vi lavora e non solo chi ha diretto la società con scarsa competenza e molto cinismo da “padroni delle ferriere”.

Pochissimi (a parte i pennivendoli dei grandi mass media) hanno dubbi sulla scandalosa immoralità della penale di 20 miliardi pretesa da chi si è comprato un’impresa redditizia come Autostrade utilizzando pochissimi liquidi: appena 2,5 miliardi di euro, completati col ricavato dei pedaggi. Un articolo molto tecnico di Fabio Savelli sul Corriere di oggi ammette che in meno di tre anni la “Schemaventotto” (così si chiamava la finanziaria usata dai Benetton nel 1999 per la scalata iniziale) “recuperò quanto speso per la concessione fino al 2038”.

Invece molte autorevoli firme insistono sul fatto che la responsabilità della mancata vigilanza ricadrebbe in parti eguali su Autostrade e Ministero dei trasporti, e questo scopo fanno un gran battage sulle dichiarazioni di alcuni tecnici sull’esistenza di “concause” che alleggerirebbero la responsabilità della banda Benetton.

Dimenticano che, come sempre in uno Stato capitalista, le spese per la vigilanza sull’applicazione di leggi a favore dei lavoratori e dei cittadini sono ridotte sistematicamente: lo denunciava già Karl Marx a proposito della mancata applicazione delle norme che avrebbero dovuto limitare il lavoro minorile per la assoluta scarsità di ispettori. Nel caso di Autostrade si è passati da 1.400 ispezioni nel 2011 alle 850 del 2015. Lo ha denunciato in un’audizione del 7 settembre 2016 quello che per anni è stato il direttore generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali, l’architetto Mauro Coletta, che ha aggiunto “a malincuore” un particolare inquietante: “i collaboratori che si recano in missione per svolgere i sopralluoghi devono anticipare le spese”! Per giunta i funzionari che devono trattare con potenti società, sono senza assistenza legale: eppure sono “chiamati a confrontarsi con fior di avvocati sugli investimenti promessi dalle concessionarie”.

Vergogna: non sono solo i Benetton e i loro scherani e complici a dover essere puniti, in primo luogo privandoli delle ricchezze accumulate, ma tutti quelli che a livello parlamentare e governativo hanno tagliato i fondi per le attività di controllo pubblico sui privati.

“Livello parlamentare”, ho scritto. Ma in realtà il parlamento è da lungo tempo esautorato, per indifferenza, accumulo nominale di funzioni, uso larghissimo del segreto. Incredibile a dirsi, il “Segreto di Stato” copre perfino i piani economici-finanziari presentati dalle concessionarie delle autostrade. Una buona ragione per considerarli come attività potenzialmente criminali da punire.

Accertando naturalmente le responsabilità di ciascuno, ma non affidandosi ai tempi lunghissimi e alla dubbia indipendenza della magistratura ordinaria, e creando invece una commissione di audit per accertare la natura dei debiti dello Stato con queste sanguisughe. Di informazioni su come questi arrampicatori hanno creato dal nulla le loro ricchezze, non con il loro lavoro ma con l’appropriazione di beni comuni, ce ne sono tante, vanno rilanciate in una campagna sistematica perché finalmente paghi chi non ha mai pagato.