L’8 agosto il Senato argentino, con un margine molto stretto, ha bocciato la proposta di Legge per l’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG), che avrebbe legalizzato l’aborto nel Paese. La Chiesa Cattolica si compiace, avendo condotto una campagna spietata contro l’aborto sicuro e legale per le donne. Vari attori politici, dai politici borghesi a leader sindacali, erano stati implicati in un’intensa retorica anti-abortista. Questo per due ragioni: la prima, la loro generale resa all’ideologia dei “valori familisti” sostenuta sia dalle forze neoliberiste che dalla Chiesa; la seconda, perché erano terrorizzati da una nuova forza sociale nata come riposta alla predazione neoliberista e che adesso sta decisamente plasmando il terreno politico: il movimento femminista.
L’ondata femminista argentina è esplosa attorno al movimento di Ni Una Menos (“non una di meno”), sorto nel 2015 per protestare contro l’omicidio della quattordicenne Chiara Páez. Il movimento è iniziato come una lotta contro il femminicidio ma si è radicalizzato rapidamente, espandendo l’ambito della “violenza” come categoria analitica per includere i molteplici attacchi da parte del capitalismo alla vita delle donne povere e lavoratrici e delle persone di genere non conforme. È stata l’ampiezza e l’attività politica di Ni Una Menos insieme al movimento femminista polacco a fornire l’ispirazione per l’International Women’s Strike.
In questa intervista, riuniamo alcune femministe argentine che hanno avuto un ruolo di primo piano all’interno di Ni Una Menos e dell’International Women’s Strike. Lo facciamo in un momento di pericolo per le femministe che si stanno organizzando negli Stati Uniti. I legislatori antiabortisti sono anche qui al lavoro, sostenuti da nuove leggi contro i diritti dei lavoratori, che attaccano l’approvvigionamento sociale e alimentano livelli senza precedenti di violenza contro immigrati e musulmani.
Questa è una congiuntura politica particolare in cui il femminismo, se vuole diventare una minaccia ancora una volta per la misoginia e i misogini, non può limitarsi a ciò che le politiche liberali classificano come “questioni femminili”. Se il femminismo vuole fornire un’alternativa alla violenza capitalista deve essere un femminismo anticapitalista. Recentemente, le femministe argentine nelle loro lotte concrete hanno dato forma a un femminismo ribelle, anticapitalista, da cui possiamo imparare e che, si spera, possiamo replicare.
CA: Qual è la vostra risposta al voto del Senato che ha bocciato la legalizzazione dell’aborto in Argentina? Quali sono i prossimi passi per le femministe?
LC, VG: La nostra risposta è furia ed euforia. Furia perché il rifiuto del Senato rappresenta la decisione di ignorare il potere delle donne. È una scena familiare: questa moribonda élite politica fa finta che i nostri sforzi siano invisibili, come se non contassero. Questo atteggiamento fa eco alla loro mancanza di riconoscimento del nostro lavoro, dei modi in cui produciamo valore, dei nostri modi di costruire comunità. Il rifiuto del Senato rappresenta il loro disprezzo ma è anche un tentativo di disciplinarci.
Qui, l’attore principale non è il Senato, ma la Chiesa cattolica, guidata dal Papa (argentino). In Argentina, la battaglia per l’autonomia del corpo delle donne è cruciale perché il dibattito sull’aborto fa parte di un movimento femminista radicale e di massa ed è attualmente un dibattito sulla classe in termini di possibilità differenziate per accedere all’aborto sicuro. Come abbiamo discusso prima del voto della Camera, per la Chiesa il diritto a decidere deve essere tenuto lontano dai quartieri popolari.
Ciò che si è reso chiaro nel rifiuto del Senato è come le forze politiche conservatrici, sotto la guida della Chiesa cattolica e con la complicità di altri fondamentalismi religiosi, percepiscano il movimento femminista come il loro nemico. Questo è qualcosa che vediamo fortemente a livello regionale.
Con ciò intendiamo anche sottolineare che il modo in cui questo dibattito si è ampliato, si è complicato e continua ad essere presente è anche un segnale della forza, della radicalità e dell’intersezionalità di ciò che abbiamo costruito come NiUnaMenos – che ha cessato di essere solo uno slogan per diventare un movimento di massa.
Il primo passo è: “ni olvido, ni perdón” (“né dimenticare, né perdonare”). Praticheremo escraches (umiliazioni pubbliche) contro questi senatori. Lotteremo per rafforzare la rete di ginecologhe/gi che praticano l’aborto, occuperemo ospedali pubblici, chiederemo la produzione pubblica e il libero uso (non solo negli ospedali) del misoprostolo, e per ogni morte dovuta a un aborto malriuscito accuseremo lo Stato e lo chiameremo femminicidio di Stato. Continueremo a esporre come la questione dell’aborto si interseca con altri problemi sociali come lavoro, povertà e razzismo. Una delle caratteristiche peculiari del nostro movimento è che stiamo intrecciando la questione dell’aborto in una rete di altre questioni politiche.
Non era né facile né dato. È stato l’effetto di un intenso lavoro politico costruito attraverso dibattiti, incontri e assemblee, elaborando collettivamente l’analisi sulla rete di violenza in cui è inscritta la questione dell’aborto. La sovranità sui corpi non è una questione individuale, ma si trova nell’incrocio tra interdipendenza e precarizzazione della nostra esistenza. Questo problema è stato ripreso in spazi in cui prima era tabù, come ci hanno detto le compagne campesinas (rurali) del Movimento Campesino di Santiago del Estero (MOCASE-Vía Campesina).
PV: Cosa impariamo dal voto? In primo luogo, l’ennesima lezione sulla natura del regime politico in Argentina. Il Senato è una delle istituzioni più conservatrici, dove i governatori del Partito Justicialista, di Cambiemos e dei partiti politici locali operano come signori feudali. Il Senato è anche il luogo in cui l’influenza dei “poteri reali” si rivela in maniera più trasparente: in questo caso della Chiesa cattolica (in altri casi si può vedere la pressione delle corporazioni economiche, per esempio). Per chiunque abbia avuto illusioni su questo regime politico, il voto del Senato ha mostrato come i “poteri reali” operano quando i loro interessi sono minacciati e come i partiti tradizionali, come il peronismo, sono il veicolo di tali interessi.
Quindi, la prima conclusione che traiamo dal voto è che dobbiamo attaccare i “poteri reali”. La richiesta di “separare la Chiesa dallo Stato”, che ha cominciato a circolare quasi naturalmente, è senza dubbio un obiettivo primario del movimento delle donne. Questa istituzione oscurantista, che ha fatto pressioni su molti ragazzi e ragazze affinché indossassero il fazzoletto azzurro (simbolo dei militanti contro l’aborto), che definisce una ragazzina di sedici anni un’assassina per aver abortito, è sostenuta economicamente dallo Stato, che paga lo stipendio dei vescovi e sovvenziona le scuole religiose, che sono le stesse scuole in cui l’educazione sessuale è negata.
La seconda conclusione è che dobbiamo anche combattere contro coloro che sono veicoli di questo “potere reale”: i politici borghesi. I senatori che hanno votato contro la legge di interruzione volontaria della gravidanza provengono da varie tendenze politiche: peronismo, Cambiemos e persino il Kirchnerismo.
L’unica corrente politica con rappresentanza parlamentare in Argentina che difende la legalizzazione dell’aborto è la sinistra anticapitalista del Fronte della Sinistra dei Lavoratori (Frente de Izquierda de los Trabajadores, FIT), i cui deputati hanno votato a favore dell’IVG e fanno parte delle mobilitazioni. Le altre correnti politiche erano divise attorno al dibattito sull’aborto.
Ma c’è un’altra conclusione direttamente legata alla tua seconda domanda. L’8 agosto è la prova che abbiamo bisogno di più forza per rendere legale l’aborto. Non sono d’accordo con l’idea che, anche se abbiamo perso il voto al Senato, abbiamo già vinto la battaglia. La battaglia non è finita. Era e continua ad essere una rivoluzione nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle strade e in casa. Ovunque ci siano donne, e siamo ovunque, questa è stata la discussione. È di per sé un trionfo? Sì. Ma non abbiamo vinto. Perché abbiamo bisogno di più potenza di fuoco.
Cosa sarebbe successo se avessimo ottenuto uno sciopero generale in Argentina per la legalizzazione dell’aborto? Cosa sarebbe successo se la “marea verde” avesse invaso i sindacati e l’8 agosto in Argentina, i trasporti, le scuole, gli ospedali, le fabbriche, le agenzie statali avessero paralizzato il paese?
Cosa sarebbe successo se le organizzazioni territoriali dei lavoratori avessero paralizzato i quartieri e bloccato le arterie del paese? Non si può prevedere il risultato, ma il prezzo per aver ignorato le milioni di persone che sarebbero uscite in strada a lottare sarebbe stato più alto per il governo.
Penso che dobbiamo diventare più minacciose. E per questo dobbiamo iniettare il nostro verde nel grigio conservatore, nella routine grigia, nel grigio burocratico della maggior parte dei sindacati. Perché l’accesso all’aborto è un problema per la classe lavoratrice nel suo complesso. Quindi, mentre sono le donne che devono decidere, è la classe operaia nel suo complesso che deve combattere per ottenere questo risultato.
Questo è l’obiettivo del movimento delle donne: costruire ponti con le donne lavoratrici (che fanno già parte delle organizzazioni dei lavoratori) e discutere collettivamente come far sì che queste organizzazioni vedano il programma femminista come proprio. Non come un’agenda esterna ma come agenda a sé stante, perché i problemi delle donne sono i problemi della classe operaia nel suo complesso.
Le donne sono la metà della classe lavoratrice, siamo la maggioranza del corpo delle insegnanti e delle infermiere, abbiamo la maggior parte dei lavori precari e svolgiamo la stragrande maggioranza del lavoro riproduttivo a casa. Ecco perché, un diritto fondamentale come la libertà di decidere sul proprio corpo, di decidere sulla maternità, è un diritto per cui tutta la classe operaia deve lottare. Allo stesso modo, ecco perché la precarietà del lavoro, la mancanza di fondi per la salute e l’istruzione (che ha strappato la vita a due insegnanti la scorsa settimana), l’estensione della giornata lavorativa (che rende insopportabile il doppio carico di lavoro, domestico e salariato), tutti questi attacchi alla classe lavoratrice devono essere rivendicazioni del movimento femminista.
CB, GM: Il voto ha rivelato l’esistenza di un nucleo di destra che continua a parlare in termini astratti della difesa della vita facendo affermazioni misogine e ripugnanti, secondo sui le donne sono mere incubatrici. Anche quando ci si riferisce ai casi in cui l’aborto è legale in Argentina, ad esempio se la gravidanza è il risultato di uno stupro, il senatore Urtubey della provincia di Salta ha affermato che non tutti gli stupri sono un atto di violenza contro le donne.
Ma fuori dal Senato c’era un’atmosfera completamente diversa. Eravamo migliaia e migliaia di compagne per le strade. Organizzazioni sociali e politiche, collettivi femministi, organizzazioni della società civile di tutto il paese, che hanno viaggiato verso la capitale e hanno sopportato dodici ore di pioggia e freddo durante il giorno del voto.
La nostra risposta sarà raddoppiare i nostri sforzi organizzativi. Rafforzeremo la Campagna Nazionale per il Diritto all’Aborto Sicuro e Gratuito. Consolideremo altri spazi femministi come la Rete delle Professioniste della Salute per il diritto a Decidere, che sta conducendo una campagna all’interno del sistema sanitario pubblico. Vogliamo ampliare i collettivi femministi, come Pink Relief, che ha lavorato in tutto il Paese per fornire informazioni su come eseguire aborti sicuri.
Continueremo a chiedere l’effettiva applicazione della legge per l’Educazione Sessuale Integrale, che consente discussioni e riflessioni in spazi educativi su sessualità, ruoli di genere, femminismo e strumenti di depatriarcalizzazione. E naturalmente combatteremo per la prossima legge sull’aborto.
Questa sarà l’ottava volta che lo facciamo. Sappiamo che anche se questo è un momento di frustrazione, non ci hanno sconfitte. L’aborto sarà legale. Abbiamo compiuto passi sorprendenti negli ultimi mesi: rendere pubblico il dibattito, politicizzare l’aborto, rimuoverlo dalla sfera intima e mettere in evidenza le sue dimensioni economiche, sociali e culturali.
Per noi è importante sottolineare che anche se non abbiamo vinto questa battaglia, non ci sentiamo affatto sconfitte. Le stesse reti femministe che ci hanno portato qui sono quelle che ci permetteranno di continuare a lottare. E siamo felici di dire che apparteniamo a una nuova sinistra popolare che non può pensare all’anticapitalismo senza parlare del femminismo. E viceversa, ovviamente. Qui c’è una lezione da trarre: i partiti politici e le strutture politiche in generale dovrebbero essere all’altezza della situazione e capire che il femminismo non è solo uno slogan di moda. È un modo di concepire e discutere tutto.
CA: Che ruolo hanno avuto i sindacati nella battaglia per l’aborto in Argentina? Per voi è collegata la questione dei diritti lavorativi a quella della giustizia riproduttiva? E se sì, come?
LC, VG: Il dibattito all’interno dei sindacati è vivace. Il fatto è che il movimento femminista ha posto il diritto all’aborto sull’agenda dei sindacati. Un sacco di lavoratrici hanno partecipato nei pañuelazos e questo metodo di lotta è stato adottato in diversi conflitti lavorativi negli ultimi mesi.
Uno di questi conflitti si è svolto davanti alla sede della Confederazione generale del lavoro (Cgt) nel giorno dello sciopero generale il 25 giugno. La battaglia per l’aborto, le sue pratiche e politiche hanno influenzato lo sciopero. Questo non vuol dire che i dirigenti sindacali accettano tutte le richieste del movimento per l’aborto. Ma la questione dei diritti del lavoro e della giustizia riproduttiva sono ormai collegate perché lo sono state durante lo sciopero femminista, quando abbiamo riconcettualizzato l’idea del lavoro da un punto di vista femminista.
Questa “intersezione” è un effetto prodotto dallo sciopero femminista come processo politico. Ha a che vedere con le dimensioni di classe dell’aborto che menzionavo prima. È anche importante dire che molte donne dirigenti di differenti sindacati hanno fatto dichiarazioni pubbliche a sostegno della legalizzazione dell’aborto. Però, nuovamente, la pressione della Chiesa sui sindacati è stata enorme.
È importante sottolineare come le donne hanno sfidato i e le loro dirigenti sindacali in molti casi. Per esempio le assistenti di volo (organizzate nel sindacato Cgt) hanno realizzato azioni in tutti gli aerei sia l’8 agosto a sostegno dell’aborto che l’8 marzo quando hanno toccato gli aeroporti. Il movimento femminista riceve anche supporto da lavoratici e lavoratori dell’economia popolare (dai raccoglitori dell’immondizia alle lavoratrici delle mense popolari, delle sartorie popolari e del settore della cura), che hanno creato nuove forme di sindacalismo e le cui occupazioni mettono in discussione la nozione tradizionale di “lavoro”.
Dallo sciopero femminista in poi la nozione stessa di “lavoratore” è stata estesa, risignificando anche ciò che intendiamo per “lotta di classe”, oltre i dogmi della sinistra partitica. Stiamo sviluppando una capacità di pressione dal basso sulla direzione sindacale quando si tratta di fare sciopero, trasformando lo sciopero medesimo. Questa mappatura e riconcettualizzazione non è una proposta teorica astratta. È stata elaborata in innumerevoli assemblee popolari, trasformando le assemblee stesse in strumenti organizzativi.
Ad esempio, assemblee di NiUnaMenos sono state organizzate dalle lavoratrici licenziate della compagnia transnazionale Pepsico e con le lavoratrici di Linea 144 che risponde a chiamate riguardante la violenza di genere in tutto il paese, ma anche con lavoratrici dei media (l’Agenzia Telam che ha licenziato 357 dipendenti il mese scorso) e con donne delle comunità mapuche criminalizzate da proprietari fondiari come la Benetton. Il movimento NiUnaMenos ha anche generato spazi politici nuovi come #NiUnaMigranteMenos e adottato slogan come #NiUnaTrabajadoraMenos (non una lavoratrice di meno) o #NiUnaMenosPorAbortoClandestino (non una di meno per un aborto clandestino).
PV: Il ruolo dei capi della Cgt è stato patetico; il 7 luglio hanno pubblicato una dichiarazione esprimendo la loro “preoccupazione” per i costi economici che comporterebbe la legalizzazione dell’aborto per le mutualità o le assicurazioni sociali legate ai sindacati.
Ma il movimento dei lavoratori non è solo la sua direzione peronista. In risposta alla dichiarazione dei capi di è data una mobilitazione di dirigenti sindacali donne e ci sono stati molti pañuelazos in parecchi posti di lavoro: scuole, ospedali, uffici pubblici, università, ecc. In più negli ultimi anni ci sono state molte campagne interessanti della base, alcune su iniziativa di militanti della sinistra.
Per esempio, c’è stato un caso di uno sciopero contro le molestie sessuali in una fabbrica di alimenti a Buenos Aires. Nel 2011 l’intera fabbrica ha scioperato perché una lavoratrice era stata molestata da un manager. Non abbiamo altri casi di sciopero con queste caratteristiche in Argentina. È uno sciopero di donne o di lavoratori/trici? È una domanda molto importante. La vittima era una donna, coloro che hanno diretto lo sciopero erano donne, delegate della Commisione interna (alcune erano militanti dell’organizzazione socialista di donne Pan y Rosas) e la questione potrebbe essere vista come una “questione femminile”, ma la forma d’azione collettiva scelta dalle lavoratrici è un’azione classica del movimento operaio. Lavoratori maschi hanno anche aderito allo sciopero. Infatti senza di essi lo sciopero sarebbe stato impossibile.
Questo esempio dimostra la necessità di smettere di pensare alla classe operaia come un attore cui rivendicazioni riguardano solo i salari e di cominciare a pensarla come un attore che abbia la forza sociale di lottare per la totalità delle condizioni sociali; per la dignità della vita nel suo insieme. Da questo punto di vista ci sono molte rivendicazioni che diventano centrali per la classe operaia: non dovrebbero tutte le organizzazioni del lavoro lottare contro le molestie sessuali sul lavoro, perché questi abusi umiliano le lavoratrici e cercano di disciplinare i corpi? Non dovrebbero lottare per un buon servizio di cura per i bambini, per gli anziani, per le mense, se tutti questi lavori di cura esauriscono e spezzano i corpi delle donne della classe operaia?
Tornando alla domanda precedente, in aggiunta alla separazione della Chiesa dallo Stato, il compito strategico più importante per la marea verde è di portare questo spirito sovversivo che attraversa le strade, le scuole, le case e le fabbriche, e usarlo per scuotere lo spirito conservatore ancora prevalente nel movimento operaio. Le donne della classe operaia potrebbero essere coloro che cambieranno il corporativismo dei sindacati e introdurranno l’idea che la lotta di classe non riguarda il salario ma bensì la qualità della vita; che si riferisce a ciò che succede sia dentro che fuori i luoghi di lavoro.
Concepito in questo modo, capiamo perché le donne sono le protagoniste in questa ondata attuale della lotta di classe. Sono le prime colpite quando la qualità della vita è attaccata, sia in campo produttivo (precarizzazione, salari, disoccupazione) che riproduttivo (educazione, salute, lavoro di cura). Abbiamo l’opportunità oggi di articolare due forze: l’enorme forza sociale del movimento operaio (che in Argentina possiede una grande tradizione di organizzazione e di lotta) e l’enorme forza di cambiamento del nuovo movimento femminista.
CB, GM: I sindacati nel nostro paese, come in molti altri, sono molto maschili, persino quelli che rappresentano categorie a prevalenza femminile come la scuola. Un momento interessante in questi mesi di lotta è stato quando la Cgt, attraverso i suoi leader, disse che i servizi di salute del sindacato, che coprono gli interventi dei suoi membri, non avevano risorse sufficienti a coprire i costi dell’aborto, qualora la legge fosse passata. La risposta del movimento femminista e delle femministe nel sindacato è stata immediata. Il giorno seguente organizzammo un pañuelazo, una manifestazione con i nostri fazzoletti verdi, (simboli della lotta per l’aborto legale) all’interno della sede principale della Cgt.
D’altronde le nostre compagne si stanno mobilitando per una lista di rivendicazioni all’interno dei sindacati del pubblico impiego; per esempio la difesa dei nostri diritti sessuali e (non)riproduttivi, che vanno di pari passo con le nostre rivendicazioni per la parità in materia di congedi parentali e il suo riflesso sulla distribuzione del lavoro riproduttivo, anche inteso come lavoro femminilizzato non pagato.
TB: Qual’è il contesto storico per il movimento Ni una menos? Lo vedete come una risposta agli attacchi neoliberisti alle vite della classe lavoratrice?
LC, VG: Costruiamo il movimento esattamente come una risposta agli attacchi neoliberisti. Siamo state capaci di fare questo salto grazie allo sciopero: il primo in ottobre 2016 e poi in marzo 2017 e 2018. La chiave era di connettere lo sciopero femminista con il femminicidio e altri tipi di violenza. L’arma dello sciopero è stata ora reinventata dal movimento femminista per politicizzare il problema della violenza contro le donne e per legarlo a questioni sociali, economiche e politiche più ampie. Abbiamo dimostrato come una grande varietà di alleanze e coalizioni inaspettate si sono potute realizzare attraverso lo sciopero, e come queste hanno moltiplicato il suo impatto e i suoi significati. Questo processo politico ha implicato sforzi per forgiare un nuovo internazionalismo, centrato sulla questione della precarietà.
Nel “processo” aperto da questa serie di scioperi, si sono realizzati discussioni e azioni importantissime.
Per esempio a giugno dell’anno scorso, abbiamo fatto un’azione di fronte alla Banca centrale denunciando il controllo del capitale finanziario sulle economie domestiche e in particolare contro le famiglie dove le donne provvedono nel reddito principale.
L’azione era #DesendeudadasNosQueremos (Ci vogliamo libere dal debito). Un anno dopo, per la protesta del 4 giugno il nostro slogan “Ci vogliamo vive, libere, e libere dal debito” è stato ripreso da molti sindacati, collegando la questione del debito pubblico esterno del paese con le esperienze di indebitamente privato. L’inclusione della violenza finanziaria nella rete di violenze contro le donne e i corpi dissidenti è stato un modo per discutere il cuore stesso delle dinamiche di sfruttamento neoliberista del nostro tempo.
Ridisegnando il lavoro, tracciamo le forme di sfruttamento e di estrazione di valore che non sono solo concentrate nel mondo del lavoro salariato. Con questo vogliamo dire che non c’è movimento femminista al di fuori dalla questione di classe. Piuttosto il movimento femminista porta avanti un conflitto sociale che è un conflitto di classe, senza che sia limitato ad un stretto quadro di fabbrica.
Quello che è fondamentale è che oggi il femminismo popolare può connettere i conflitti e funzionare da cassa di risonanza che si traduce in un antiliberismo radicale e di massa.
PV: Ni una menos in quanto movimento non può essere compreso senza collocarlo nel contesto delle politiche neoliberiste contro le vite della classe operaia e la crisi nei rapporti sociali che queste politiche producono. I femminicidi sono espressioni di questi attacchi. Prendi l’esempio delle chiusure di fabbrica e degli attacchi al sindacalismo di base così come quello delle lavoratrici di Pepsico nel 2017.
Ni una menos era in solidarietà con questa lotta e ha fatto molte attività di sostegno.
Ni una menos non ha una chiaro discorso anticapitalista. Però è un movimento in evoluzione. Il fatto stesso che Ni una menos in 2015 ha fatto campagna contro i femminicidi, una campagna quasi monotematica, e che tre anni dopo stiamo lottando per legalizzare l’aborto, è un segno che il movimento delle donne nel suo insieme sta evolvendo e crescendo. Il fazzoletto verde è diventato un simbolo di massa.
CB, GM: Stiamo attraversando un periodo di profondi attacchi ai nostri diritti, di soppressione di tutti i programmi statali tranne quelli repressivi. L’effervescenza del movimento femminista, delle donne e delle persone LGBTQ, combina l’accumulazione di quattro decenni di esperienze forgiate nei nostri Incontri nazionali di donne (che si sono succedute dal 1986), con l’emergenza di un femminismo giovane, di studentesse nelle scuole e nei quartieri. Questo si diffonde attraverso i social e denuncia la violenza sessista in tutte le sue forme.
L’attacco neoliberista evidenzia il fatto che il lavoro che sostiene la vita è fatto dalle donne lavoratrici. Lo smantellamento dello stato sociale ha comportato che le compagne si siano organizzate nei quartieri per cercare di sopravvivere collettivamente. In modo simile, la logica ultraconservatrice del neoliberismo rende le vite delle persone LGBTQ più precarie, concedendo condizioni di vita dignitose solo a coloro che se le possono permettere.
Stiamo vivendo la femminilizzazione della povertà, la criminalizzazione delle esistenze trans, un aumento del razzismo verso i e le migranti. Tutti questi elementi hanno ripercussioni per la classe operaia argentina che è il motivo per cui bisogna pensare la nostra classe non solo come maschile, bianca, etero, e nativa.
TB: Quanto è importante l’internazionalismo per il movimento Ni una menos?
LC, VG: È centrale. Pensiamo che è uno dei tratti più importanti del nostro movimento. Stiamo praticando una nuova specie di internazionalismo: #LaInternacionalFeminista, come la chiamiamo, sta producendo una nuova prossimità tra le lotte e lo sentiamo in modo molto concreto.
Inoltre produce un nuovo tipo di campo di battaglia, diverso dalla separazione tra il globale e il locale che esisteva ancora 15 anni fa. Questo implica tessere una rete sulla base delle risonanze, condividere un lessico politico e esperienze organizzative che richiedono un complesso processo di traduzione e di composizione.
Non ci interessano le dichiarazioni anticapitaliste astratte. Ci interessano le connessioni tra lotte concrete. I conflitti per la terra e contro i mega progetti estrattivisti sono importanti quanto i conflitti sui posti di lavoro e nelle economie popolari (che costituiscono il 40 % dell’economia solo nel nostro paese e la maggioranza nel continente), così come la lotta contro le sessualità dissidenti e la criminalizzazione dell’aborto. La chiave è il tipo di rete che stiamo tessendo. Una rete capace di teoria e di azione dal basso, un internazionalismo che fa parte delle nostre lotte quotidiane.
PV: È molto importante perché questa nuova ondata di lotta femminista non è un fenomeno locale ma internazionale. Quando ti chiedi che cosa i vari movimenti femministi nazionali hanno in comune è chiaro che il denominatore comune è che le donne, in particolare le lavoratrici, sono le più bersagliate dalle politiche neoliberiste. Ho scritto un articolo su questo che verrà pubblicato nel prossimo numero di La izquierda diario.
La contraddizione tra il capitalismo neoliberista che spezza i corpi delle donne lavoratrici e il discorso ugualitario del femminismo liberale è esplosiva. Sarebbe una bella esperienza politica se le lavoratrici che hanno portato avanti lo sciopero contro le molestie sessuali in Argentina potessero incontrare le insegnanti in sciopero in West Virginia. Allo stesso modo queste insegnanti possono condividere la loro esperienza con le ragazze che sono in prima linea nella battaglia per legalizzare l’aborto. Perché tutte queste donne hanno molto più in comune di quanto probabilmente pensano.
CB, GM: Il movimento delle donne e femminista, che va sotto il nome di Ni una menos, costruisce ponti e si alimenta delle lotte comuni, che sono portate avanti da gruppi simili globalmente. Quelle di noi che si definiscono femministe anticapitaliste, sentono l’internazionalismo come parte della nostra identità politica. E per quanto riguarda la battaglia per la legalizzazione dell’aborto, le connessioni internazionali sono state uno strumento necessario per imparare come il dibattito è stato condotto in altri paesi dove l’aborto è legale. Abbiamo studiato varie legislazioni, abbiamo replicato forme di azione politica che hanno avuto successo altrove come quella dell’italiana Pink relief o il collettivo Jane a Chicago.
CA: Di quali metodi organizzativi si è dotato il movimento? Sappiamo delle occupazioni nelle scuole organizzate da Las Pibas in sostegno ad diritto all’aborto. Quali sono altre forme di protesta e quanto sono state efficaci?
LC, VG: Le occupazioni sono state decisive. Sono divenute un luogo di dibattito collettivo e della formazione di una contro-pedagogia forgiata dalle las pibas, questo componente incredibilmente giovane e radicale del movimento femminista nostrano. Ma è importante ricordare anche la proliferazione delle varie assemblee di lavoratrici, che hanno prodotto una diagnosi femminista in ogni conflitto. Ci troviamo in una situazione economica molto dura, con persone che continuano a perdere il lavoro sia nel settore pubblico che in quello privato. Qui, ancora una volta, possiamo vedere la genealogia e le tracce dello sciopero: le alleanze e le pratiche sviluppatesi all’interno di queste assemblee fanno parte del modus operandi che lo sciopero ha prodotto.
PV: Quello che las pibas ha fatto nelle scuole è davvero impressionante. Molti credono che queste occupazioni sono limitate alle scuole della capitale o a quelle più politicizzate, ma non è così. Si tratta di una politicizzazione intensa che attraversa le periferie di Buenos Aires e molte altre regioni del paese e sta formando una nuova generazione di donne attiviste e militanti. L’altro giorno una ragazza sedicenne di Piba, leader del suo centro studentesco, mi ha detto che ha fatto dei discorsi per ragazzi e ragazze tredicenni, e mi ha confessato: “Sono molto felice perché loro sono molto meglio di noi, sono il futuro…”
Una ragazza di 16 anni che dice che il futuro sta nei tredicenni! Questo genere di politicizzazione avviene solo in momenti di forte lotta.
Ci sono anche alcuni importanti esempi dalle lavoratrici che appartengono al movimento, che sono meno visibili. Per esempio, nella fabbrica Madygraf (una fabbrica autogestita dai lavoratori) la Commissione delle Donne e Pan y Rosas hanno convocato un’ “assemblea aperta di donne” il 22 luglio, per discutere come partecipare l’8 agosto e per discutere dei diritti delle lavoratrici. L’assemblea è stata partecipata da più di 700 persone provenienti da differenti contesti di lavoro, come Pepsico, Kraft, l’Ospedale Posadas, il settore aeronautico, INDEC, etc.
Una cosa che ha catturato la mia attenzione è un fatto accaduto nel cantiere navale Rio Santiago (che pure è in mobilitazione perché il governo vuole chiuderlo). L’8 agosto un’enorme fazzoletto verde è apparso a prua della nave Juana Azurduy. Questa è una delle cose che mi ha commosso di più, perché il cantiere navale è storicamente un “territorio maschile”.
Queste, e certamente dozzine di altre esperienze nei luoghi di lavoro devono unirsi in modo che le lavoratrici e i lavoratori possano potenziare la loro forza sociale. Puoi immaginare cosa potrebbe accadere se il prossimo anno, quando la legge sull’IVG comparirà di nuovo sull’agenda del Senato, tutte queste manifestazioni saranno coordinate? Se tutti questi lavoratori e lavoratrici useranno il loro potere in supporto alla legge?
CB, GM: La lotta per l’aborto di questi ultimi mesi si è moltiplicata al punto che sarebbe impossibile tracciare una mappa con tutte le attività che avvengono nel paese. I pañuelazos e queste manifestazioni di strada davanti al Congresso tutte le settimane stanno raccogliendo i punti per ampio spettro di organizzazioni politiche e sociali, collettivi femministi, e artiste.
C’erano i “martedì verdi” durante il dibattito alla Camera dei Deputati, e dopo i “giovedì verdi” quando la discussione si è spostata al Senato. In queste azioni abbiamo letto lettere di attrici, scienziate, scrittrici, poetesse e musiciste. C’erano momenti di dibattito ma anche musica per ballare e per trasformare la manifestazione in una festa. Da questi incontri di strada chiamati dalla Campagna Nazionale per l’Aborto Legale, Libero e Sicuro, sono nati nuovi gruppi, come ad esempio le puentazos.
“Operazione Ragno” è stato un altro esempio di un’idea tradotta in pratica grazie alla proliferazione della rete. Il collettivo di NiUnaMenos insieme al sindacato combattivo delle periferie (AGTSyP), con l’aiuto della Campagna Nazionale per l’Aborto e più di altre 70 organizzazioni, è riuscito ad organizzare interventi simultanei in ogni linea metropolitana. Ognuno con un suo slogan particolare e proteste artistiche originali.
Nei licei sono state le ragazze a coprire il ruolo di leader nei dibattiti degli edifici occupati – rivendicando l’aborto legale, l’educazione sessuale e un protocollo contro la violenza sulle donne nei propri luoghi di studio. Non è strano che i principali leader dei movimenti studenteschi di oggi siano donne. C’è stato anche un “estudiantazo”: attività di fronte al Congresso e nelle scuole medie, licei e università di tutto il paese. Il livello della mobilitazione era alto e non c’è dubbio che queste azioni sono confluite nelle due mobilitazioni maggiori, le più ampie di questo processo: il 13 luglio e l’8 agosto.
TB: Negli Stati Uniti abbiamo utilizzato il concetto del “femminismo per il 99 per cento” per parlare di femminismo come lotta di classe, o di un femminismo che deve necessariamente essere anticapitalista per poter parlare ai bisogni della maggioranza delle donne. Le femministe argentine come hanno concepito il femminismo come lotta di classe? Quali sono i suoi contorni e obiettivi?
LC, VG: Beh, pensiamo che questo sia un punto molto importante perché è parte della nostra discussione quotidiana. Vogliamo sottolineare che qui non si tratta solo di un dibattito accademico, ma di un dibattito popolare. Per quanto qui il femminismo non si esprima sempre in un linguaggio di classe, pensiamo che il suo approccio di classe sia importante nei termini di adeguamento della nozione di classe, nei termini di movimenti reali ed esistenti.
Oggi, alcuni dei momenti più importanti della politica di classe vengono definiti da lotte contro l’oppressione e da forme politiche che sfidano e trasformano i sindacati e il movimento operaio, spesso sfumando i confini tra vita e lavoro, corpo e territorio, legge e violenza. Questo è interamente grazie al movimento femminista. Stiamo costruendo un movimento che ha bisogno dell’immaginazione ribelle di tutto il mondo e ci stiamo alimentando grazie a tutte queste lotte.
PV: Come dicevo prima, la relazione tra il movimento femminista in Argentina e la lotta dei lavoratori vive in qualcosa che stiamo ancora costruendo. Ma abbiamo tre solidi cardini attorno a cui lavorare: l’enormità del movimento stesso, che assicura che nessuno possa definirlo “un movimento borghese”; una nuova generazione di donne che nella propria pratica politica mischia i confini tra “questione di classe” e “questione di genere”; e l’inevitabile fatto che le donne sono il “corpo dello sfruttamento” sia nel campo della produzione che della riproduzione. Perciò, in quanto socialista chiedo: come possiamo pensare a un femminismo che non intenda distruggere lo sfruttamento che sta distruggendo noi stesse?
CB, GM: Dalla partecipazione di massa delle prime marce sotto lo slogan di Ni Una Menos contro i femminicidi, il movimento femminista in Argentina è ora un punto fermamente intersezionale che intreccia tutte le nostre lotte. Gli slogan che comparivano ogni 3 giugno si sono espansi. La violenza contro i nostri corpi non è solo una violenza fisica. La violenza sta nel gap salariale, nel lavoro non pagato che pesa sulle nostre spalle, nel debito pubblico, nel disciplinamento delle nostre sessualità, nella maternità obbligatoria, nella disoccupazione, e nella possibilità di accesso precaria ai servizi di base.
Riconoscere questa rete di violenza e il meccanismo che la riproduce ci rende in grado di mettere in discussione, attraverso il femminismo, tutti gli aspetti delle nostre vite. Lo slogan “Vogliamo essere Vive, Libere e senza Debito”, in riferimento all’accordo recente con il Fondo Monetario Internazionale, è un esempio di come il femminismo in Argentina non sta limitandosi a rivendicazioni di genere. Il movimento femminista è oggi forse l’unico movimento di massa con dimensioni radicali.
* intervista di Cinzia Arruzza e Tithi Bhattacharya a Luci Cavallero, Verónica Gago, Paula Varela, Camila Barón, Gabriela Mitidieri tratta da jacobinmag.com