Crescono, come si è potuto constare, le opposizioni al progetto di Nuova Officina al centro dell’accordo di massima tra Cantone, Città di Bellinzona e FFS.
Oltre a coloro che criticano il fondo dell’accordo, vi sono coloro che si concentrano solo sull’ubicazione del futuro stabilimento industriale; alcuni comuni della Media Leventina ritengono il loro sito (ex-Monteforno) più adeguato rispetto a Castione, lo stesso pensano alcuni comuni della Riviera. Vi sono poi ragioni ambientali: il sacrificio di decine di migliaia di metri quadrati di terreno agricolo ha messo in moto alcuni cittadini, le associazioni contadine, alcune associazioni ambientaliste. Tutte hanno, giustamente, fatto valere le loro ragioni, in alcuni casi interponendo dei ricorsi. È, dovrebbe essere, una normale procedura democratica, che necessita l’analisi delle ragioni di tutti (quelle di principio sull’accordo e quelle relative all’ubicazione). Una procedura che, come tutte le procedure democratiche, necessita tempo, discussioni, riflessioni, dibattito.
Una concezione della democrazia e del dibattito democratico che non è proprio quella del CEO delle FFS, Andreas Meyer che, nella tradizionale conferenza stampa estiva, ha di fatto posto un ultimatum al Ticino, alle sue autorità, alla popolazione che vive e lavora in questo Cantone. Meyer in sostanza ha detto che o ci si muove a spazzar via qualsiasi opposizione (giuridica e politica), approvando in fretta i messaggi con i quali Cantone e Comune propongono di realizzare quanto contenuto nella lettera di intenti del dicembre 2017, oppure le FFS sono pronte a decidere di chiudere le Officine e di spostare il tutto in altre parti della Svizzera.
Di fronte a tanta arroganza Cantone e Città hanno fatto come al solito: sono stati zitti, ubbidienti. E hanno cominciato a darsi da fare, formalmente e informalmente, affinché tutto si risolva in fretta e furia, senza discussioni eccessive e al diavolo qualsiasi pretesa democratica.
Questo atteggiamento remissivo, d’altronde, non ci ha sorpresi; perché solo i finti ingenui (come ad esempio il PS) hanno potuto scandalizzarsi di fronte alle esternazioni di Meyer; sì, perché quella esplicitata nella conferenza stampa estiva è da tempo ormai la linea delle FFS. A tal punto che Meyer (bisognava proprio essere distratti per non notarlo) proprio in occasione della conferenza stampa del dicembre 2017 indetta per presentare la dichiarazione di intenti aveva detto la stessa cosa. E cioè che il contributo di Cantone e Città di 120 milioni era in sostanza il prezzo che le FFS chiedevano (esigevano) per mantenere qui una minima presenza nel settore della manutenzione, distruggendo la tradizione produttiva, industriale e logistica dell’Officina.
Nei prossimi mesi sarà questo ricatto che verrà posto avanti nella discussione sul futuro dell’Officina. In realtà le FFS non hanno alcuna intenzione, per ragioni interne alla loro organizzazione, di portare altrove quelle attività di manutenzione che immaginano di sviluppare nella futura “Nuova Officina”. Ma minacciare costantemente di andare altrove è parte integrante della loro strategia per ottenere quanto esse vogliono. E naturalmente possono contare sulla codardia di consiglieri di Stato, municipali e sindaci che non si sognano minimamente di battersi per far valere gli interessi di quella popolazione che dicono di rappresentare.
Secondo Andres Meyer o la popolazione ticinese accetta senza fiatare la soppressione di centinaia di posti di lavoro attualmente in essere presso lo stabilimento di Bellinzona, ottenendo in cambio un misero piatto di lenticchie (di fatto un deposito per la manutenzione leggera dei treni TiLo) o le FFS valuteranno se trasferire le attività previste nel nuovo stabilimento fuori dal Ticino.
Mayer con le sue minacce si dimentica, o vuole dimenticare, che quanto proposto nella lettera d’intenti di dicembre 2017, con la complicità del CdS e del Municipio di Bellinzona, è già di fatto un abbandono della presenza industriale delle FFS in Ticino.
Dunque le minacce proferite oggi risultano essere petardi bagnati, tipici di dirigenti aziendali arroganti ed irrispettosi verso la popolazione ticinese. Ancora una volta la popolazione ticinese ed il Canton Ticino vengono utilizzati per azioni speculative così come già accaduto nel passato in molte altre occasioni.
Non un sito, ma un progetto industriale e produttivo
La discussione sul futuro dell’Officina è entrata, con la presentazione dei messaggi per il finanziamento di 120 milioni (100 del Cantone e 20 della città) e con la dichiarazione di ricevibilità dell’iniziativa “Giù le mani dall’Officina” , in una fase decisiva. Una discussione già iniziata per la verità lo scorso mese di dicembre quando FFS, Cantone e città di Bellinzona, firmando la dichiarazione di intenti, hanno deciso che l’attuale Officina andava chiusa e che per il 2016 si sarebbe costruito un nuovo stabilimento. La decisione di insediare questo nuovo stabilimento a Castione ha concluso la prima fase.
Diciamo che questa prima fase di discussione non ha certo portato chiarezza. I difensori del nuovo progetto sono riusciti a spostare la discussione dai contenuti alla localizzazione. Infatti in questi mesi (e volutamente) la discussione si è sempre concentrata sulla localizzazione del nuovo stabile e, ancora di più, sulle prospettive pianificatorie per il sedime che la chiusura dell’Officina lascerebbe libero e che in parte verrebbe ceduta dalle FFS a Cantone e Città. Dei contenuti della “Nuova Officina” niente.
Un assegno in bianco
La presentazione dei due messaggi ha confermato questa tendenza. In altre parole Cantone e Città verseranno alle FFS 120 milioni senza sapere praticamente nulla sulla “nuova” Officina. Lo confermano, qualora ce ne fosse bisogno, i due messaggi presentati che, su una trentina di pagine per ognuno, dedicano pochissime righe ai contenuti della nuova struttura.
E ripetono praticamente quelle quattro indicazioni generiche già contenute nella dichiarazione di intenti. Indicazioni generiche, ma anche molto precise per capire il rapporto tra la nuova struttura e quanto oggi si fa all’Officina.
Le indicazioni sono presto riassunte: si farà della manutenzione leggera (e in parte pesante) per qualche tipo di treno: la flotta TILO, i GIRUNO (entreranno in servizio tra poco), ETR 610. Tutte attività legate al traffico viaggiatori. Di conseguenza tutte le attività legate al traffico merci, nonché quelle legate alla revisione della locomotive di vecchia generazione (tuttavia ancora attive), verrà abbandonato. Ciò significa, per chi non lo avesse ancora capito, che praticamente circa il 70% dell’attuale tipo di attività che si svolgono all’Officina verrà abbandonato.
È questo che deve essere messo al centro della discussione e non l’aspetto, per finire del tutto secondario, di dove le attività di manutenzione si dovranno svolgere. Nel progetto che ci è presentato il nuovo stabilimento industriale avrà un’attività fortemente ridotta, limitata al traffico viaggiatori, con attività tutto sommato poco qualificate e tutt’altro che garantite in una prospettiva di lungo periodo.
È da queste considerazioni che emergono anche i dati relativi all’occupazione. La convenzione e le FFS parlano in continuazione di un’occupazione iniziale di 200 persone; ma si tratta di indicazioni assolutamente poco credibili vista la prospettiva estremamente limitata che abbraccerà il futuro impianto. Prospettive contraddette in diversi incontri nei quali le indicazioni fornite sulle ore lavorate spingono a sostenere che la prospettiva, nella migliore delle ipotesi, è di 120-130 posti di lavoro.
Ora questa scelta di rinunciare alla grande maggioranza delle attività che oggi si svolgono all’Officina non ha alcuna base seria, se non l’esigenza delle FFS di avviare una politica di razionalizzazione in un settore nel quale già in passato essa ha agito in modo assolutamente inadeguato. I carri merci, ad esempio, sono un segmento fondamentale nella prospettiva dei trasporti futuri, con grandi possibilità di sviluppo, di innovazione e di ricerca.
L’iniziativa “Giù le mani dalle Officine”
L’iniziativa, come si ricorderà, è stata dichiarata “ricevibile” dal Parlamento che si è limitato a stralciarne solo qualche punto marginale. Il cuore della stessa è rimasto intatto, ed è quell’articolo due che indica attraverso una trattativa tra il Cantone e le FFS sarà costituita una società pubblica che: “ rilevi le attuali attività delle Officine FFS di Bellinzona” e “ sviluppi nuove attività, nuovi servizi, attività di ricerca ed innovazione nel campo della gestione e della manutenzione dei vettori di trasporto”.
Evidentemente di questo Cantone, città e FFS non vogliono sentir parlare. Perché non vogliono che le attività attuali dell’Officina continuino e perché non vogliono sviluppare alcuna attività di ricerca e di innovazione nel campo della gestione e della manutenzione. Perché è questa la vera alternativa ad un progetto che sarà invece poco più di un deposito dove ci si limiterà alla semplice manutenzione.
In altre parole l’iniziativa vuole sviluppare, in una prospetta moderna, tecnologica ed ecologica la tradizione industriale e produttiva dell’Officina di Bellinzona. È questa la via per creare occupazione di qualità, per sviluppare sul serio progetti industriali, per offrire occasioni di formazione (e l’Officina, proprio per la sua logica industriale, ne ha fornite migliaia e migliaia di occasioni di formazione), per sviluppare un indotto industriale e produttivo.
Due progetti alternativi
Si tratta, non vi sono dubbi, di due progetti alternativi che hanno implicazioni diverse dal punto di vista di vista produttivo che occupazionale.
L’elemento fondamentale è che Cantone e città sono disposti a investire 120 milioni; una somma che impiegata a sostegno del progetto contemplato dall’iniziativa permetterebbe di avviare una nuova stagione produttiva e industriale, mantenere tutti i posti di lavoro e crearne di nuovi, avere un effetto moltiplicatore importante.
Per questa ragione è necessario poter votare il più presto possibile sull’iniziativa: la sua accettazione aprirebbe una pagina nuova nella storia dell’Officina.