«La proprietà privata è sacra e sono troppi gli Italiani vittime di occupazioni da parte non di bisognosi, ma di furbi e violenti». L’odio di Salvini per i senza casa non è nuovo, pure Minniti non scherzava e ci aveva già provato, con il “decreto casa”, Maurizio Lupi, ministro con Renzi, uomo di Cl, feroce apparato affaristico clerico-liberista, più volte nominato nelle carte di indagini su grandi e piccole opere, oggi deputato Udc in procinto di transitare in Forza Italia. La prima cosa che salta agli occhi è, anche stavolta, la continuità nelle politiche repressive e antipopolari tra governi Pd e Gabinetto Salvini-Di Maio. Quel decreto era un pacchetto di sgravi e deregulation per i palazzinari condito, all’articolo 5, da una norma che voleva colpire i movimenti per il diritto all’abitare: “chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”. La circolare del Viminale con data primo settembre è più esplicita nell’ordine di eseguire sgomberi tempestivi, senza nemmeno la finzione della ricerca di soluzione alternativa come avviene attualmente. In genere la soluzione è punitiva, separa i nuclei familiari e li colpevolizza per la condizione di povertà affidandoli a servizi sociali stremati da decenni di tagli, gestiti da sindaci che cercano consenso sulla guerra ai poverissimi, quasi sempre migranti o rom.
Gli immobili occupati abusivamente devono essere sgomberati con la «dovuta tempestività», recita la circolare, per evitare il consolidarsi di situazioni di illegalità che possano pregiudicare la tutela dell’ordine e della sicurezza pubbliche. E’ necessario, si legge nella nota inviata ai prefetti, ai commissari per le province autonome di Trento e Bolzano e al presidente della Regione Valle D’aosta, «attendere agli sgomberi con la dovuta tempestività, rinviando alla fase successiva ogni valutazione in merito alla tutela delle altre istanze, nella consapevolezza che il consolidamento di situazioni d’illegalità possa recare un grave pregiudizio ad alcuni dei principali valori di riferimento nel nostro ordinamento».
«L’occupazione degli immobili costituisce da tempo una delle principali problematiche che affliggono i grandi centri urbani del Paese», è la premessa della circolare che ricorda il decreto legge in materia del 2017, rilevando come «nonostante gli sforzi profusi da tutte le componenti del sistema, alla luce delle evidenze emerse, la gestione del tema dell’occupazione arbitraria degli immobili non ha compiuto significativi passi avanti, se non rispetto alle misure di natura preventiva rivolte ad evitare nuove occupazioni».
In questo modo, Salvini costruisce un elemento fondamentale della sua narrativa politica, che lo riconnette alle paure, ma anche alle aspirazioni, di una piccola borghesia pulviscolare che è oggi la massa di manovra delle operazioni razziste e classiste condotte da questo governo.
La questione della casa e della paura per la violazione della “proprietà privata” sono, infatti, un potente fattore ideologico nella costituzione materiale di questa classe nella specifica configurazione sociale italiana. Senza contare che, nella materialità dei fatti, provvedimenti di questo tipo andranno in realtà a beneficio delle grandi società immobiliari e finanziarie, che, nelle grandi città, sono proprietarie di un numero molto elevato di appartamenti, spesso lasciati vuoti piuttosto che fittarli a prezzi non soddisfacenti per i criteri di mercato.
L’operato di Salvini non può quindi essere sottovalutato nella maniera più assoluta.
La Lega oggi rappresenta il partito più temibile e radicato socialmente, il perno della reazione in Italia, che combina la salvaguardia degli interessi del grande capitale con la mobilitazione reazionaria della piccola borghesia, soprattutto del Nord e dei grandi centri metropolitani.
Uno dei più potenti collanti di questa egemonia è l’odio per i e le migranti, che, non a caso, è pientamente implicito in questa dichiarazione, e produce una saldatura anche con settori sociali impoveriti e arrabbiati nel meridione.
E il M5S? Non pervenuto. O meglio, l’amministrazione comunale di Roma si adegua immediatamente alla nuova disposizione e i vertici nazionali dei 5 Stelle tacciono. Ma su questo non opporranno resistenza, se non forse con qualche fumosa dichiarazione, perché questo provvedimento va in direzione della loro natura, è pienamente coerente con le radici sociali, e le preoccupazioni politiche che esprime. E sono precisamente queste, a rendere possibile un’alleanza con la Lega, che quindi non sarà interrotta dai 5S, ma, se lo sarà, dal partito di Salvini.
Ma non è l’unica novità: da mercoledì 5 settembre , da Milano a Catania e in altre dieci città, alcuni agenti delle forze dell’ordine gireranno anche con una pistola elettrica nella fondina. Dopo qualche mese di formazione, comincia la sperimentazione del taser, l’arma ad impulsi elettrici – considerata strumento di tortura dalle Nazioni Unite – che inibisce i movimenti dei soggetti colpiti. Per Matteo Salvini: «Aiuterà migliaia di agenti a fare meglio il loro lavoro – scrive su Facebook – per troppo tempo le nostre Forze dell’Ordine sono state abbandonate, è nostro dovere garantire loro i migliori strumenti per poter difendere in modo adeguato il popolo italiano. Orgoglioso del lavoro quotidiano delle forze di Polizia e Carabinieri».
Dopo un iter partito nel 2014, il decreto per l’ok alla sperimentazione, affidata alla Polizia di Stato, all’Arma dei carabinieri e alla Guardia di finanza, era stato firmato lo scorso luglio quando erano state elencate le prime città: Milano, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Palermo, Catania, Padova, Caserta, Reggio Emilia e Brindisi. Le linee guida emesse dal Dipartimento della Pubblica sicurezza definiscono il Taser «un’arma propria», che fa uso di impulsi elettrici per inibire i movimenti del soggetto colpito. La distanza consigliabile per un tiro efficace è dai 3 ai 7 metri. Il Taser «va mostrato senza esser impugnato per far desistere il soggetto dalla condotta in atto». Se il tentativo fallisce si spara il colpo, ma occorre «considerare per quanto possibile il contesto dell’intervento ed i rischi associati con la caduta della persona dopo che la stessa è stata attinta». Bisogna inoltre tener conto della «visibile condizione di vulnerabilità» del soggetto (ad esempio una donna incinta) e fare attenzione all’ambiente circostante per il rischio di incendi, esplosioni, scosse elettriche. L’Arma è in dotazione alle forze di polizia di circa 107 paesi, tra cui Canada, Brasile, Australia, Nuova Zelanda, Kenya e in Europa in Finlandia, Francia, Germania, Repubblica Ceca, Grecia e Regno Unito. Sul fronte degli sgomberi, invece, le novità riguardano una richiesta con massima rapidità di un censimento degli occupanti abusivi di immobili e l’individuazione di minori o soggetti fragili, per i quali in caso di necessità i servizi sociali dei Comuni attiveranno specifici interventi «non negoziabili». Secondo il documento, il censimento degli occupanti, che deve essere «condotto, anche in forma speditiva, sotto la regia dei Servizi sociali dei Comuni e, laddove occorra, con l’ausilio dei soggetti del privato sociale». Già entro la fine di settembre, è atteso dal Viminale un primo punto riguardo al fenomeno.
Poco importa, a Salvini e Di Maio, che «il confine tra letalità e non letalità purtroppo è molto sottile, facilmente valicabile per una serie di ragioni che vanno dalla potenziale disinvoltura con cui un’arma considerata non letale può essere usata alle condizioni del soggetto nei confronti del quale viene usata», come ha detto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, all’annuncio dell’avvio della sperimentazione dell’uso del taser. Il decreto è stato firmato il 5 luglio, ma già a marzo una circolare della Direzione anticrimine prevedeva l’avvio della sperimentazione in 6 Questure italiane. E già allora Amnesty era intervenuta per mettere in guardia sui “vantaggi apparenti” di queste armi e chiedendo di effettuare uno studio sui rischi per la salute a seguito del suo impiego e garantire una formazione specifica e approfondita per gli operatori che ne verranno dotati, sottolineando che, «anche se venissero soddisfatte queste due richieste, il rischio di violazioni dei diritti umani non verrebbe affatto azzerato. Anzi, se possibile aumenta perché ora siamo nella fase operativa e non sappiamo se le cose che avevamo chiesto, la formazione scrupolosa e un esame degli studi medici, effettuati per esempio negli Stati Uniti, sull’uso delle pistole elettriche, siano stati adeguatamente presi in considerazione prima della partenza della sperimentazione», aveva detto Noury.
Tra gli studi sull’uso del taser c’è anche “Shock Tactics”, l’indagine realizzata dalla Reuters che ha riferito di 1.005 persone morte in seguito all’utilizzo della pistola elettrica da parte della polizia: in 9 casi su 10 si trattava di persone non armate e in un caso su 4 di persone con problemi mentali o neurologici.
«Negli Stati Uniti i proiettili fanno mille morti all’anno, i mille morti le pistole elettriche li hanno fatti in 20 anni quindi è chiaro che, dal punto di vista della pericolosità, non sono equiparabili – ebbe a precisare Noury al Redattore sociale – Ma quando si dice che il rischio nell’uso della pistola elettrica è pari a zero, si dice una cosa inesatta». Il taser, infatti, non prevede un contatto anzi, come spiega il portavoce di Amnesty International Italia, «è designata per essere utilizzata a distanza e quindi chi la usa non può avere la minima idea delle condizioni fisiche della persona nei confronti della quale verrà usata. Numerosi studi testimoniano la letalità di questo tipo di armi nei confronti di persone che hanno, ad esempio, problemi di circolazione o cardiaci. Il taser può essere usato al termine di un inseguimento con la persona inseguita in condizioni particolari di affanno, ciò significa che ci sono una serie di circostanze nelle quali il suo uso può essere letale, per questo bisogna essere particolarmente attenti».
Sgomberi e tortura non sono questioni separate ma due ingredienti della guerra ai poveri che si sta aggravando con l’arrivo di una legge di bilancio che, di nuovo, sarà una somma di regali ai super-ricchi e alle aziende e di tagli ai salari e ai diritti sociali. La repressione non è affare per battaglie etiche e in punta di diritto, è uno strumento fondamentale per l’attuazione delle politiche liberiste, per la disgregazione della classe, per l’invenzione di capri espiatori, per la guerra dei penultimi contro gli ultimissimi.
Non ci sono soluzioni pret-à-porter, tantomeno elettorali. L’unico impegno che valga la pena assumere in questa fase è la paziente costruzione di mobilitazioni sociali che intreccino i diversi aspetti della lotta a questo governo: l’antirazzismo, la lotta contro il tradizionalismo e il patriarcato, e la lotta per la riconquista dei diritti sociali e democratici. Centrale, in tal senso, sarà un impegno militante alla costruzione delle migliori condizioni per una ripresa del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici, che è l’asse decisivo che può saldare efficacemente le altre mobilitazioni, che altro non sono se non lati diversi della stessa lotta al dominio capitalistico.
Si annunciano già diverse manifestazioni per il prossimo autunno. benché tutte siano positive e a tutte occorre dare sostegno e partecipazione (eccetto quella convocata dal PD), non ci stancheremo mai, come Sinistra Anticapitalista, di dire che la via maestra resta sempre quella della costruzione di mobilitazioni (incluso gli scioperi, a cominciare da quelli del sindacalismo conflittuale) e manifestazioni unitarie, radicali e plurali, che permettano di colpire insieme, e quindi in modo ben più efficace, su obiettivi utili alla lotta di classe e alla ricostruzione della classe lavoratrice come soggetto politico. La costruzione dell’organizzazione politica o avviene dentro processi di mobilitazione sociale complessiva e unitaria o sarà solo autoproclamazione settaria di gruppi dirigenti politici e sindacali.