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È sempre difficile trovare, nel linguaggio quotidiano, begli esempi di figure retoriche che permettano di fare capire agli studenti i meccanismi del linguaggio.

Per questo, quando il capo di una delle maggiori aziende del Paese ce ne fornisce un esempio, per di più legato all’attualità sociale cantonale, per un povero insegnante come me è una grande gioia.

Scrive il Corriere del Ticino di giovedì 18 ottobre, citando l’intervento di Andreas Meyer ad un incontro organizzato dal PLR, il giorno precedente: «Premetto che non è una minaccia, ma tante regioni al nord delle Alpi fanno di tutto per avere posti di lavoro moderni…»: esempio perfetto di una particolare forma di preterizione, la figura retorica che consiste nell’affermare una cosa negandola.

Quella di Andreas Meyer, in realtà e contrariamente a quanto «premette», altro non è che la solita e indegna minaccia. E non è la prima volta che gli sentiamo dire cose del genere; in meno di un anno, siamo già alla terza o quarta occasione pubblica nella quale minaccia apertamente di spostare le Officine fuori dal Ticino se cittadini e cittadine, partiti e sindacati, lavoratori delle FFS si ostineranno a voler prolungare la discussione sul futuro delle Officine, ricorrendo a tutti gli strumenti democratici a disposizione. Meyer aveva già proferito questa minaccia in occasione della presentazione, nel dicembre del 2017, della dichiarazione di intenti; l’aveva poi ripetuta, in un incontro con la stampa lo scorso luglio; eccolo ora ripetersi, con più finezza e ricorrendo alle armi della retorica: affermare negando!

Si tratta di un nuovo, pesante schiaffo ai cittadini e alle cittadine; una mancanza di riguardo e di considerazione che si accompagna alla mancanza di riguardo e di attenzione che le FFS, in questi ultimi anni, stanno mostrando nei confronti dell’utenza ticinese.

Non penso sia necessario ricordare, poiché ormai entrati a far parte della nostra quotidianità, le interruzioni, i ritardi, le soppressioni, i disguidi che in questi ultimi mesi, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, investono il servizio offerto dalle FFS. Qualsiasi persona che utilizza il treno in Ticino per recarsi al lavoro può sicuramente confermare questi episodi, ai quali si sommano situazioni di sovraffollamento sistematico negli orari di punta.

Una situazione talmente difficile che, di recente e di fronte ad un leggero miglioramento della situazione, le FFS si sono sentite in dovere di convocare la stampa per segnalare questi miglioramenti (il Corriere vi ha dato ampio risalto, dedicandovi quasi una pagina!). Non solo veniamo minacciati, ma ci si offre un servizio come fossimo cittadini di serie B: altro che rispetto e considerazione per il Ticino!

Quanto al contenuto della minaccia sappiamo tutti che è, purtroppo, per metà vera e per l’altra metà una grande menzogna. È vera nella misura in cui il progetto del nuovo stabilimento industriale contempla di trasferire fuori dal Ticino il 60-70% delle attività che oggi vengono svolte all’Officina: saranno altre aziende, altre officine FFS, a svolgere quei lavori, in particolare tutti quelli legati alla manutenzione e alla lavorazione dei carri merci.

È una balla sacrosanta nella misura in cui le FFS non possono permettersi di rinunciare (per ragioni di costi e di organizzazione che a tutti risultano evidenti) ad avere uno stabilimento industriale in Ticino che si occupi della manutenzione. Uno stabilimento come quello annunciato che offrirà al massimo 120 posti di lavoro, profumatamente pagati attraverso quella sorta di pizzo di 120 milioni di franchi che le FFS hanno imposto. E che le autorità cantonali e comunali hanno deciso, abbassando la testa, di pagare!

* Opinione pubblicata sul Corriere del Ticino del 20 ottobre 2018.