Le elezioni regionali in Baviera confermano le tendenze in atto non solo in Germania, ma anche in gran parte dei Paesi europei, sia pure con alcune particolarità.
In sintesi:
1) la destra estrema (Alternativa per la Germania) conquista una significativa percentuale di voti, anche se al di sotto delle sue aspettative;
2) la destra di governo (Unione cristiano-sociale) subisce un’emorragia di voti, perdendo la possibilità di governare da sola, pur confermandosi, di gran lunga, il primo partito;
3) le perdite subite dalla CSU vanno in gran parte alla AfD, ma in misura non trascurabile si riversano su partiti vicini a essa vicini (Partito liberaldemocratico e Liberi elettori);
4) il Partito socialdemocratico viene dimezzato, scendendo al livello più basso da quando si vota in Baviera;
5) i Verdi raddoppiano in voti e diventano la seconda forza bavarese;
6) la Linke guadagna qualcosa, ma non riesce a entrare in parlamento e, soprattutto, non riesce a intercettare che una minima parte dei voti in fuga dalla SPD.
La “vittoria mutilata” dell’AfD. Il partito di estrema destra Alternativa per la Germania (AfD, Alternative für Deutschland) si presentava per la prima volta in Baviera, forte dei suoi ripetuti successi a livello sia nazionale sia regionale. Con oltre 680.000 voti e il 10,2 %, conquista 22 seggi. Un successo innegabile, e che sarebbe sciocco sottovalutare, ma che resta piuttosto al di sotto non solo delle aspettative dei suoi dirigenti, ma anche delle previsioni di molti sondaggi delle settimane precedenti le elezioni. Ciò che più conta è il fatto che l’AfD puntava a diventare il secondo partito bavarese, trasformandosi quindi effettivamente in una “alternativa” credibile. Non è andata così. Se l’AfD infatti scavalca il Partito socialdemocratico, resta pur sempre molto distanziata dalla CSU e, soprattutto, è superata sia dai Verdi che dal partito dei Liberi elettori, trovandosi relegata al quarto posto. Per alcuni commentatori questo risultato rappresenterebbe il primo segnale di un “rallentamento” nell’espansione della AfD, che avrebbe così raggiunto il tetto. Può anche essere, ma sembra piuttosto prematuro affidarsi a questa speranza. Da dove vengono i voti della AfD? In mancanza di affidabili studi sui flussi elettorali, ci si può basare solo su ipotesi basate sulle differenze di voti. Ora, nelle precedenti elezioni regionali del 2013 quasi 100.000 voti (1,6 %) erano stati raggranellati da due liste di estrema destra, più o meno richiamantesi al nazismo (i Republikaner e il Partito nazionaldemocratico), che questa volta non si sono ripresentate. Probabile dunque che i loro voti siano andati all’AfD. Che però ne ha presi altri 580.000 altrove, e che possono essere venuti in parte dai nuovi elettori, in parte dagli astensionisti (l’astensionismo è fortemente diminuito) e per il resto dai partiti mainstream, CSU innanzi tutto ma anche SPD.
La CSU: una sconfitta storica. Se è vero che con i suoi oltre due milioni e mezzo di voti, il 37,2 % e 85 seggi l’Unione cristiano-sociale (CSU, Christlich-Soziale Union) resta di gran lunga il primo partito bavarese, è altrettanto vero che subisce una cocente, e umiliante, sconfitta. Che si misura nelle sue esatte dimensioni non tanto nel numero dei voti (meno 270.000) o dei seggi (meno 16) persi [1], quanto nel crollo della sua percentuale: meno 10,5 %, più o meno equivalente a quella conquistata dalla AfD. Si tenga conto del fatto che da oltre un sessantennio la CSU ha governato da sola la Baviera (fa eccezione, per pochi anni, una coalizione con i liberaldemocratici). Era, ed è ancora per certi versi, un partito-Stato che per quasi quarant’anni (1970-2007) ha goduto oltre che della maggioranza assoluta dei seggi, anche di quella dei voti (con punte del 62,1 % nel 1974 e del 60,7 % nel 2003). Dopo essersi spostata molto a destra, soprattutto sulla questione dei migranti, nel tentativo di sottrarre argomenti alla AfD, ed essersi accorta negli ultimi giorni della campagna elettorale che in realtà così non faceva che spianare la strada all’estrema destra, la CSU ha virato un po’ al centro, recuperando forse un po’ di elettori “moderati”, ma perdendone altri sia verso la AfD, sia verso altre formazioni di centro/centrodestra.
Liberi elettori e Liberaldemocratici Il tradizionale partito liberale tedesco, il Partito liberaldemocratico (FDP, Freie Demokratische Partei) è uno dei beneficiari dell’emorragia socialcristiana. Con quasi 340.000 voti (più 140.000) e il 5,1 % (più 1,8 %), riesce a superare la soglia di sbarramento e a conquistare 11 seggi, rientrando nel Parlamento dopo esserne sparito nel 2013. Un successo, certo, che però non appare molto stabile. L’andamento del FDP è da sempre altalenante (nel 2008 aveva superato i 420.000 voti), ed è legato alle sorti della CSU. Per molti aspetti, questo partito in Baviera rappresenta una riserva di voti per la CSU: alternativamente si gonfia o si sgonfia a seconda che i suoi elettori, laici ma di centrodestra, vedano in pericolo l’egemonia delle forze liberiste. Più significativo, nella stessa area conservatrice, è il successo dei Liberi elettori (FW, Freie Wähler), un partito nato proprio in Baviera e che sta progressivamente mettendo qualche radice in altre regioni tedesche. Con circa 760.000 voti (più 230.000), l’11,6 % (più 2,6 %) e 27 seggi (più 8), i FW diventano il terzo partito bavarese (superando anche la AfD), e questo in un arco di tempo relativamente breve: al loro esordio, nel 1994, non vanno oltre lo 0,1 %, per poi aumentare gradualmente, con una flessione nel 2013, sino al risultato attuale. Si tratta di un partito di orientamento conservatore, centrato più sui problemi di normale e concreta amministrazione, spesso spicciola, che sui “grandi temi” politici. Significativamente, nel suo programma il tema dell’immigrazione quasi non compare. In altre parole, il suo non trascurabile successo sembra riflettere la stanchezza, magari venata di qualunquismo, di una parte non trascurabile dell’elettorato di centro/centrodestra, nei confronti dello scontro fra AfD e partiti di governo. Un mettersi da parte per pensare agli “affari che contano”. Difficile dire se i FW avranno un futuro data la loro concezione un po’ troppo terra terra della politica. Per ora sembrano avere il vento in poppa, e rappresentano, sulla carta, il candidato più probabile per la formazione di una coalizione di governo a guida CSU.
Per amore di completezza, poche righe per due altri piccoli partiti di quest’area, il Partito della Baviera (BP, Bayern-Partei) e il Partito ecologista democratico (ÖDP, Ökologisch-Demokratische Partei). Il primo, d’orientamento autonomista/indipendentista, è la pallida ombra di un partito che nei primi anni Cinquanta faceva una seria concorrenza alla CSU (17,9 % nel 1950), ma che ora è ridotto quasi al lumicino (1,7 %, in calo dello 0,4). Il secondo è il risultato di un tentativo di dar vita, negli anni Ottanta, a un partito ecologista di destra, con risultati se non nulli, certamente trascurabili (ha ottenuto l’1,6 %, in calo anch’esso dello 0,4).
La Waterloo socialdemocratica. Se c’è un grande sconfitto in queste elezioni, questo è il Partito socialdemocratico di Germania (SPD, Sozialdemokratische Partei Deutschlands). I dati elettorali sono eloquenti: con poco più di 630.000 voti, il 9,7 % e 22 seggi, la SPD perde quasi 590.000 voti, il 10,9 % e 20 seggi. Come si vede, un vero e proprio dimezzamento, che porta il partito al suo livello più basso dal 1946, da quando cioè si vota per il parlamento regionale. Dove vanno questi voti? Un po’ in tutte le direzioni, pure alla AfD, anche se in gran parte si riversano sui Verdi e, in misura purtroppo ridotta, sulla Linke. Sembra evidente che la SPD, pur essendo opposizione in Baviera, paga un prezzo salatissimo alla sua alleanza a livello nazionale con l’Unione cristiano-democratica (CDU): è cioè percepito sempre meno come una “alternativa” valida.
L’ondata verde, e i suoi lati oscuri. Assieme alla AfD, i grandi vincitori di queste elezioni sono sicuramente gli ecologisti della Alleanza 90/I Verdi (Bündnis 90/Die Grünen). Le cifre non lasciano dubbi: quasi 1.200.000 voti (quasi 680.000 in più), il 17,5 % (più 8,9 %) e 38 seggi (più 20). Diventano cioè il secondo partito bavarese, sia pure a grande distanza dalla CSU. Come si spiega il loro grande successo? Evidentemente hanno “pescato” non solo fra l’elettorato socialdemocratico, ma anche in quello centrista, oltre che fra i nuovi elettori e in qualche misura fra gli ex astensionisti. I primi commenti giornalistici, quanto meno quelli “progressisti” [2], non lesinano elogi ed entusiasmi per questo vero e proprio exploit (in passato i Verdi avevano raggiunto la loro punta massima nel 2008, con il 9,4 %), suggerendo la possibilità che i Verdi prendano gradualmente il posto della SPD come principale partito dell’opposizione “democratica”. Che agli occhi di molti elettori questa appaia come una prospettiva credibile è sicuramente un fatto: i Verdi, nonostante siano sulla scena da molti decenni, appaiono in un certo senso come un partito ancora “giovane”, più “moderno”, meno compromesso con i maneggi del potere. Ma un conto sono le apparenze, un conto è la realtà. Se da una parte è vero che i Verdi sono effettivamente “progressisti” in una serie di tematiche (ovviamente in quella ambientalista, ma anche su quella importante dei migranti), è altrettanto vero che su altre sono piuttosto disposti a transigere, né più né meno che dei socialdemocratici. Non è del tutto trascurabile il fatto che i Verdi bavaresi, nella loro campagna elettorale, abbiano fatto proprio, sia pure verniciandolo di progressismo, il tema della Heimat (la Patria) bavarese, e si siano non tanto ermeticamente dichiarati disposti a formare un governo con la CSU, ovviamente in funzione anti-AfD. E del resto, è un fatto che già in alcuni governi di altre regioni tedesche i Verdi siedono accanto alla CDU. Le loro “piccole coalizioni”, insomma, le hanno fatte, e non disdegnano di continuare a farle. Che concludere? Che i Verdi sono passati “dall’altra parte”? Le cose non stanno così. Ma è giocoforza ammettere che una notevole dose di opportunismo caratterizza la loro politica, che spesso il “governismo” prevale sulle spinte più ideali. Pertanto, non c’è certo da disperarsi per il successo verde: per ora, rappresenta un temporaneo argine contro la destra e l’estrema destra. Ma non è il caso nemmeno di entusiasmarsi, perché si tratta di un argine eretto su basi piuttosto fragili.
La Linke: “eppur si muove”, ma non basta. Quanto alla Linke, il risultato è purtroppo deludente. Certo, rispetto al 2013 c’è un certo progresso: quasi 220.000 voti (91.000 in più), il 3,2 % (più 1,1 %), e nessun seggio per via dello sbarramento del 5 %. Ma occorre anche ricordare che alla sua prima prova elettorale in Baviera, nel 2008, la Linke aveva già ottenuto un discreto 4,4 %. E soprattutto occorre paragonare questo guadagno dell’1,1 % alle perdite della SPD, quasi l’11 %. In altre parole, la Linke, se attira il voto di una frazione dell’elettorato giovanile, conquista solo le briciole di quello in uscita dalla SPD. Sembra evidente che questo magro risultato si spieghi in parte con la spinta al “voto utile”, che ha premiato i Verdi (le intenzioni di voto per la Linke, in certi sondaggi pre-elettorali, sfioravano il 5 %). Ma “voto utile” a parte, è altrettanto evidente che la Linke non è in grado nel breve-medio periodo di “riempire il vuoto” provocato dal progressivo e continuo declino della SPD. Ciò che pone non pochi problemi, non solo in Baviera ma in tutta la Germania, ma che non ci azzarderemo ad affrontare qui.
In conclusione. I riflessi del voto sulla politica bavarese appaiono ovvi. Salvo sorprese, si formerà una coalizione CSU-FW, eventualmente allargata alla FDP. La possibilità di una coalizione CSU-Verdi è stata esplicitamente esclusa dai dirigenti della CSU, così come quella di un allargamento alla AfD.
A livello tedesco, i riflessi del voto sono più complessi. La batosta subita dalla CSU, se da una parte non può dispiacere troppo alla Merkel (che vede indebolito un alleato di governo che l’attaccava da destra), dall’altra non può che preoccuparla, perché entrambi e solo i partiti della “grande coalizione” (CDU-CSU e SPD) ne escono con le ossa rotte. Se fra quindici giorni i risultati delle elezioni regionali in Assia sanciranno, come sembrerebbe, un’ennesima sconfitta della CDU, la durata del governo nazionale potrebbe essere messa in discussione. E allora si aprirà tutt’altro discorso.
Note
[1] La forte diminuzione dell’astensionismo, e quindi l’aumento dei voti validi, maschera in gran parte l’entità effettiva delle perdite subite da CSU e SPD. Lo stesso vale per i seggi. Dal 2003 il loro numero è fissato in 180 (dal 1950 al 1998 era 204), ma non in modo rigido. Per mantenere infatti la proporzionalità della loro distribuzione fra i partiti il sistema elettorale bavarese, che prevede che metà dei seggi sia assegnata su base maggioritaria e metà su base proporzionale di lista (come del resto è quasi regola in Germania), ha introdotto un (complicato) correttivo: si sommano i voti della parte maggioritaria e di quella proporzionale, e su questa base si distribuiscono i seggi. C’è però una complicazione. Può accadere infatti che in una circoscrizione (ve ne sono sette) un partito ottenga più seggi al maggioritario (è il caso della CSU) di quanti gliene spetterebbero su base proporzionale. In questo caso, a quella circoscrizione vengono aggiunti dei seggi supplementari, da suddividere fra gli altri partiti. In questo modo, il numero totale dei seggi aumenta rispetto alla cifra “normale” di 180. È successo nel 2008 (con l’aggiunta di sette seggi), ed è successo in maggiori proporzioni ora, con l’aggiunta di ben 25 seggi. Tutto quanto precede per dire che la diminuzione dei seggi di SPD e CSU sarebbe stata ben maggiore senza il “soccorso” dei seggi supplementari. In conclusione: nel nostro caso solo le variazioni in percentuale riflettono adeguatamente i reali mutamenti di forza fra i partiti.
[2] Un solo esempio. «La Repubblica» di oggi, 15 ottobre, titola in prima pagina: La Baviera è Verde, crolla l’alleato di Merkel, sale la destra. Che il “crollo” sia maggiore fra i socialdemocratici e venga passato sotto silenzio, passi pure come una distrazione, ma che basti un 17,5 % a dipingere di verde uno Stato ci sembra un tantino esagerato. Tanto più che a voler insistere a tutti i costi nel dare un’immagine cromatica alla situazione, si dovrebbe ricorrere piuttosto al 37,2 % della CSU, il cui colore “partitico” ufficiale è purtroppo il nero. Piccole cose, ma che testimoniano della confusione regnante fra tanti “progressisti”, che in mancanza di meglio si aggrappano all’ultimo arrivato come al “salvatore della patria”: ieri Macron, oggi i Verdi, domani chissà.