Tra meno di una settimana si conoscerà l’esito di questa assurda campagna elettorale, e nel caso – difficile ma non impossibile – di una sconfitta del candidato fascista Jair Bolsonaro per la confluenza di elettori di vario orientamento sul nome del fragile Haddad, designato in extremis da Lula, ci sarà nella sinistra chi si consolerà e magari canterà vittoria. Ma il Brasile è comunque cambiato in peggio, a medio termine irreparabilmente, non solo perché al primo turno sono già stati eletti trionfalmente un gran numero di deputati del finora insignificante PSL di Bolsonaro, ma perché ce ne sono tanti altri dello stesso genere sparpagliati in molti altri pseudopartiti, accomunati da un odio profondo nei confronti del PT e di tutta la sinistra. L’ondata conservatrice ha scavato profondamente nella società brasiliana. Sono poliziotti, ufficiali dell’esercito, imprenditori, comunicatori tenuti insieme da un forsennato conservatorismo. In genere sconosciuti fino a un anno fa, ma che sono stati votati perché propongono una costituzione che metta al bando partiti e movimenti “comunisti” (come il Movimento dei senza terra, o dei senza casa), cacciandoli in esilio o ai lavori forzati (ma c’è chi dice direttamente: “sotto terra”).
Sono personaggi come il pastore evangelico Marco Feliciano o Márcio Labre, un perfetto sconosciuto fino a ieri che è stato eletto al primo turno a Rio de Janeiro, e ha già 35.000 seguaci su un canale di You Tube sul quale propone l’impunità per i poliziotti che hanno ucciso, la castrazione degli stupratori, la catalogazione dei movimenti sociali come terroristi, il ripristino dell’ergastolo, la proibizione dei partiti di sinistra… Erano quasi tutti poco conosciuti alla maggior parte dei brasiliani, ma hanno avuto maggioranze schiaccianti nei loro Stati. Ad esempio il sergente di polizia Fahur, che è stato il più votato nel Paraná. Il suo successo si deve a un discorso rabbioso, che lancia messaggi come “Al vagabondo un colpo nella schiena e un proiettile nel culo”. La sua pagina in Facebook è arrivata nel corso della campagna elettorale a più di tre milioni di seguaci.
Quindi anche se l’emersione di questa feccia della società brasiliana raccolta intorno a Bolsonaro provocasse nel secondo turno del 28 ottobre una mobilitazione di forze eterogenee a sostegno di Haddad, in ogni caso parlamento e senato (già palesemente corrotti e non a caso strumenti essenziali del cosiddetto golpe contro Dilma Rousseff) sarebbero ulteriormente disponibili per condizionare Haddad e magari minacciarlo di destituzione per i brogli denunciati previamente da Bolsonaro. In ogni caso tra i 30 partiti e partitini già entrati in parlamento al primo turno, o in buona posizione per entrarvi al ballottaggio, è già cominciato un turpe mercato per spartirsi commissioni e incarichi di primo piano.
Se nel parlamento uscente il 45% dei deputati già apparteneva all’area BBB (bala, biblia, boi, cioè proiettile, bibbia e bue), ora i rappresentanti della linea dura sul terreno della sicurezza, delle potentissime chiese evangeliche e degli agrari saranno ben più forti e peseranno anche nel caso di un eventuale insuccesso di Jair Bolsonaro.
Tanto più che il regolamento della Camera dei deputati incoraggia la formazione di “blocchi parlamentari” che raggruppano diversi partiti con un unico capogruppo, per semplificare le procedure di voto. La parte del leone la farà sicuramente il PSL di Bolsonaro, che fagociterà molti dei gruppi minori ostacolati da alcune clausole del regolamento, e potrà controllare facilmente le 25 commissioni permanenti. Il suo peso non è una questione marginale, anche per la possibilità di avviare commissioni parlamentare di indagini finalizzate a una vera e propria caccia alle streghe.
L’ipotesi di una sconfitta di Bolsonaro è comunque poco probabile, soprattutto perché la vita parlamentare non si è deteriorata e corrotta solo dal momento della destituzione di Dilma, ma aveva caratterizzato sia il periodo immediatamente successivo alla fine della dittatura, sia in forme più discrete ma non marginali anche gli anni del lulismo. Ed evidentemente c’era stata un’assuefazione dell’elettorato.
In ogni caso c’è anche un nuovo pericolo: questa campagna elettorale ha visto emergere un gran numero di militari di vario grado, tutti nostalgici come Bolsonaro della dittatura ed anzi fautori di una sua maggiore durezza. Ce ne sono 20 tra i 52 deputati del PSL già eletti al primo turno, ma ce ne sono molti altri in buona posizione per vincere il ballottaggio, nelle liste del PSL e in quelle di molti altri partiti che lo sostengono. È una conferma in più della pericolosità della linea di Lula, che non solo ha scelto alleanze eterogenee per arrivare alla presidenza, ma ha sempre rinunciato al pur minimo conflitto con la gerarchia militare, che ha evitato quindi qualsiasi autocritica e ha rappresentato una spada di Damocle permanente sul governo. In passato non c’era stato bisogno di andare al di là di una tacita minaccia, per l’autolimitazione dei programmi del governo lulista, ma ora l’esercito – mai sfiorato neppure da un simulacro di epurazione – si è rivelato pronto a far pesare di nuovo direttamente il suo ruolo in politica. E lo ha fatto pesantemente per accelerare la destituzione di Dilma.
Naturalmente non si può dimenticare che Bolsonaro non è un diretto rappresentante dei militari.
L’ostacolo è il suo passato ambiguo: nel 1988 era stato espulso dall’esercito per aver organizzato l’esplosione di ordigni a basso potenziale in diverse caserme per capitalizzare l’insoddisfazione di parte dei militari per una riorganizzazione delle retribuzioni, e solo al termine di un controverso processo era stato reintegrato ma collocato nella riserva col grado di capitano. Ma nella sua lunga peregrinazione politica Bolsonaro aveva anche espresso simpatia per Hugo Chávez… Insomma, non sembra proprio un portavoce accettabile per un esercito temibile. Ma indubbiamente la sua rozza propaganda mira a raggiungere settori che si sentono in sintonia con la lunga dittatura. Alcuni dei suoi consiglieri d’altra parte sono ufficiali superiori in pensione, ma con molti agganci tra i commilitoni in servizio. Tra gli eletti, due generali: Elieser Girão Monteiro Filho, che ha fatto campagna per abbassare l’età di punibilità penale a 14 anni, e Roberto Sebastião Peternelli Júnior. Ma c’è anche il generale Mourão, candidato come vice-presidente, che si è distinto per la proposta di abolire la tredicesima, e di affidare la modifica della costituzione a un gruppo di persone non elette ma scelte dal governo- D’altra parte Mourão ha ammesso che se eletti lui e Bolsonaro potrebbero fare un “autogolpe” eliminando le elezioni e la democrazia… Vedi anche https://www.esquerda.net/artigo/perguntas-e-respostas-sobre-jair-bolsonaro/57616
Parte della sinistra brasiliana e latinoamericana ha discusso a lungo se Bolsonaro si può definire fascista o neofascista, pur non avendo già un vero partito ben radicato. Un po’ meno ci si è confrontati sul “che fare” dopo il 28 ottobre. In questo momento è ovviamente inevitabile la scelta di votare Haddad, ma il difficile è individuare la strada della ricostruzione della sinistra, che sarà lunga e difficile perfino nel caso di un suo successo. Haddad non ha mai rappresentato molto nel PT, e pesa su di lui la sconfitta a São Paulo, di cui è stato sindaco non rimpianto. Scarsa traccia ha lasciato la sua attività precedente come ministro dell’educazione. Se, come dicono quasi tutte le previsioni, sarà sconfitto, non è la figura intorno a cui può raccogliersi la resistenza necessaria a un governo che sarà terribile. Ma anche se – aiutato dal clima di allarme di fronte a un pericolo gravissimo – riuscisse a battere Bolsonaro e la sua incredibile armata, non è certo l’uomo adatto per rompere con quel passato di collaborazione interclassista e di accordi parlamentari di incerta moralità che ha portato il PT a perdere molte delle sue roccaforti, e che lui come gran parte dell’apparato del PT non ha mai contrastato pur non beneficiandone direttamente come gli esponenti di molti altri partiti “moralizzatori”.
In un’interessante intervista a un dirigente del Movimento Senza Terra, Ernesto Puhl, apparsa il 9 ottobre sul Manifesto, si ammetteva francamente la coincidenza tra l’ultimo periodo della presidenza di Dilma Roussef e la crescita della destra: “È a partire dalle manifestazioni di protesta del 2015 contro Dilma Rousseff – un effetto della recessione dovuta alla crisi economica internazionale – che ha iniziato a imporsi, dietro la bandiera della lotta alla corruzione, un discorso fortemente conservatore, moralista, antidemocratico e anti-popolare, lanciato dall’élite brasiliana e accolto dalla classe media.” Io retrodaterei questo processo perlomeno al 2013, quando le proteste contro l’aumento dei trasporti urbani coincidente con lo sperpero di miliardi per organizzare Olimpiadi e Mondiali furono duramente represse. Ma è importante soprattutto l’ammissione di Puhl: “occupando lo spazio istituzionale, il Pt si è dimenticato di alcune sue bandiere storiche, a cominciare dal compito di formare i militanti, di organizzare la classe lavoratrice, di operare cambiamenti strutturali: la riforma politica, la riforma agraria, la riforma urbana, quella dei mezzi di comunicazione, quella della giustizia.” Puhl aggiunge poi che “non è per i suoi limiti che si è scatenata la campagna d’odio contro il Pt, bensì per i suoi successi”, ma li descrive poi in questo modo: “i governi del Pt hanno puntato sulle politiche pubbliche, sulla crescita dei livelli di consumo e sullo sviluppo del mercato interno, sulla base di un modello di conciliazione di classe che ha portato grandi vantaggi anche (?) al settore finanziario, a quello dell’agroindustria e a quello delle infrastrutture. Nel portare avanti questo progetto, però, il Pt ha rinunciato alla lotta di classe, trascurando la formazione politica, ideologica e culturale della popolazione brasiliana. Con conseguente de-ideologizzazione della società.” Non è una critica da poco.
È da questa analisi che si deve ripartire, per ricostruire – insieme al PSOL e a tutte le tendenze marxiste che sono state respinte dal lulismo – un partito che sia veramente dei lavoratori, che si riallacci alle lotte che avevano trasformato il Brasile in un punto di riferimento per tutto il continente…