In occasione dell’uscita del suo libro la Possibilité du fascisme (Edizioni La Découverte), abbiamo incontrato Ugo Palheta [sociologo militante e collaboratore della rivista marxista francese Contretemps, n.d.r].
Il tuo libro è intitolato la Possibilité du fascisme. Prima di tutto, potresti dirci cosa intendi con “fascismo”? C’è un importante problema di definizione intorno a questo concetto, che ha delle conseguenze per l’analisi … e per la pratica.
Il fascismo in quanto regime indica un potere capitalistico che serve gli interessi delle frazioni del grande capitale industriale e finanziario, ma è un potere capitalistico di un tipo particolare, dal momento che, tra le altre cose, non cerca di integrare, ma di annientare completamente il movimento operaio. Ma sebbene il fascismo abbia ovviamente bisogno del sostegno della classe dominante per raggiungere il potere, specialmente attraverso le strette alleanze con suoi rappresentanti politici, nulla si comprende del modo in cui si sviluppa come movimento se si immagina che sia solo un giocattolo nelle mani della borghesia. Durante tutto il suo periodo di ascesa, il fascismo conquistò un pubblico di massa ricevendo sostegno da tutte le classi sociali, anche se il suo nucleo sociologico è situato nella piccola borghesia in senso lato (piccoli imprenditori, professionisti, quadri intermedi, ecc.) da cui recluta la maggior parte dei suoi quadri. In tal senso, il fascismo gode di una relativa autonomia nei confronti della classe dominante e può sviluppare una critica sua propria del sistema capitalista: una critica opportunista (i fascisti non hanno scrupoli ad allearsi con i capitalisti quando è loro necessario), nazionalista (ciò che viene criticato non è lo sfruttamento padronale in sé ma la dimensione finanziaria e globalizzata del capitalismo), e innocua (non chiamano mai in causa i fondamenti di questo sistema, vale a dire la proprietà privata dei mezzi di produzione). Ma è comunque una critica, e proprio per questo motivo, nei tempi in cui il capitalismo entra in crisi (economica e politica), il fascismo può conquistare settori sociali che, per vari motivi, si sentono danneggiati o addirittura in uno stato di disperazione. Lo fa sviluppando un progetto politico che ha legami con alcune frange delle destre, ma che è ad esso specifico: un progetto di rigenerazione nazionale attraverso la ricostituzione fittizia dell’unità politica, dell’omogeneità etnico-razziale e dell’integrità culturale del corpo nazionale, schiacciando, con una combinazione di violenza statale ed extra-statale, i «nemici» e i «traditori», in altre parole i movimenti di contestazione (in primo luogo il movimento operaio, il suo nemico più pericoloso) e le minoranze (in particolare etnico-razziali).
Hai uno sguardo molto critico nei confronti della nozione di «populismo». Perché?
Penso che il «populismo» sia una delle peggiori categorie del linguaggio politico e delle scienze politiche. Lo si vede benissimo dal fatto che mescola movimenti le cui ideologie e i cui programmi sono opposti (confusamente, Thatcher e Corbyn, Chavez e Orbán, Mélenchon e Le Pen, ecc.). Ciò accade perché questa categoria si fonda su criteri estremamente vaghi: demagogia (ma chi decide ciò che è demagogico o no?), l’appello al popolo (ma chi non si appella al popolo nei regimi in cui è l’elezione a suffragio universale a decidere l’accesso al potere politico?), o ancora l’ostentazione di un atteggiamento “anti-sistema” (ma non è presente oggi in tutto il campo politico, anche da parte di Macron e seguaci?). Se si è coerenti, troveremo del populismo quasi ovunque, quindi da nessuna parte. Non è perciò per ragioni intellettuali, ma principalmente per le sue funzioni politiche che la categoria del populismo si è imposta dagli anni Ottanta. In particolare, essa ha permesso di non fare distinzioni fra tutte le critiche al “sistema”, che vengano dall’estrema destra o dalla sinistra radicale, e quindi ha avuto l’effetto di disarmare qualsiasi protesta di sinistra paragonandola all’estrema destra. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che alla radice della categoria di “populismo” c’è il “popolo” e che la critica politica o giornalistica del “populismo” è molto spesso, esplicitamente o meno, un’accusa contro le classi popolari ed espressione di un disprezzo classista, molto diffuso nel campo politico e dei media: “il populismo” sarebbe così proprio di queste classi, considerate irrazionali per natura, disposte a farsi trascinare in derive autoritarie o xenofobe. Infine, la diffusione di questa categoria di populismo –invece di quella di fascismo– ha avuto due effetti positivi per il FN diventato RN [Rassemblement National]: con il bollino di “populista” è stato ripulito dai suoi legami, ancorché evidenti, con il fascismo e posto implicitamente dalla parte del popolo, mentre inizialmente il FN non aveva alcun ancoraggio elettorale nelle classi popolari (e ancora oggi, nei suoi organi direttivi, è completamente estraneo alle classi popolari, poiché il suo comitato centrale non comprende nessun operaio né impiegato).
Il tuo libro mostra un interesse particolare nei confronti delle condizioni di possibilità dell’affermazione di una corrente, o addirittura di un potere, fascista. Cos’è? E come si traduce nella situazione francese?
Cerco di dimostrare che non è sufficiente una crisi economica per far avanzare la xenofobia e l’estrema destra. Ciò che rende possibile il fascismo è una crisi globale delle mediazioni politiche, ideologiche e istituzionali che, in tempi normali, assicurano la riproduzione pacifica del sistema attraverso una combinazione di violenza statale e di consenso popolare, laddove quest’ultimo ha un ruolo da protagonista. Questo tipo di crisi rimanda a ciò che Gramsci chiamava una “crisi di egemonia”, e non è identificabile con una crisi rivoluzionaria, che invece suppone un crollo dello Stato e una crescita improvvisa del livello di spirito combattivo, di fiducia e di auto-organizzazione delle classi subalterne. Una crisi di egemonia può avere cause diverse a seconda delle circostanze storiche e delle caratteristiche di una società, ma, nel caso della Francia contemporanea, mi sembra legata al fatto che l’offensiva liberista sia stata così forte da spezzare una parte degli equilibri sociali costruiti dal dopoguerra fino agli anni Settanta, colpendo quindi la situazione materiale di larghe fasce di popolazione e la loro fiducia nel futuro. Tuttavia le proteste contro questa offensiva sono state abbastanza forti da impedire l’affermazione di un nuovo consenso politico, anche per inerzia, e di una nuova egemonia. Questa crisi ha avuto diverse conseguenze e in una spirale di radicalizzazione, in cui l’una alimenta l’altra, ha contribuito alla dinamica fascista: la crescente e sempre più rapida delegittimazione del personale politico; la recrudescenza autoritaria dello Stato, che garantisce il richiamo all’ordine dei quartieri popolari e la repressione dei movimenti di protesta; la radicalizzazione del nazionalismo francese, con la costruzione di un doppio consenso (anti-migranti ed islamofobo); e l’avanzamento di un’organizzazione come il FN che, pur non avendo l’apparato di mobilitazione, inquadramento e violenza proprio del fascismo storico (le squadracce in grado di attaccare il movimento operaio) , ha lavorato sin dalla sua nascita alla modernizzazione, alla banalizzazione e alla diffusione di massa di questo progetto fascista.
“Condizioni di possibilità” significa anche “possibilità di modificare le condizioni”, e quindi di invertire la tendenza. Quali progetti per la lotta antifascista oggi?
Vorrei menzionare (non in ordine di importanza) quattro indicazioni che mi sembrano discendere dall’osservazione dell’attualità del pericolo fascista. In primo luogo l’importanza di rafforzare le strutture di autodifesa di cui i movimenti sociali e della sinistra radicale hanno (e avranno) un bisogno vitale per affrontare le organizzazioni di estrema destra, ma anche lo Stato liberista ed autoritario. Poi la necessità di mobilitazioni locali per bloccare lo sviluppo di un movimento fascista militante impedendo, screditando ed emarginando sistematicamente le iniziative di estrema destra sul terreno. Terzo, la divulgazione di un antifascismo politico (e non solo morale), con un programma che articoli la lotta senza concessioni contro l’estrema destra e tutto ciò che la nutre (politiche liberiste, autoritarismo, acutizzarsi del razzismo) e quindi per un’altra società, in particolare attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione, la conquista di una democrazia reale e lo smantellamento delle strutture fisiche del razzismo (discriminazioni sistemiche in particolare). Infine, la centralità di una strategia di fronte unico il cui obiettivo permanente deve essere quello di costruire non solo un’opposizione di massa ai governi capitalisti ma anche una maggioranza sociale e politica, quindi un’alternativa al potere.