La mobilitazione degli edili a difesa del contratto nazionale mantello cominciata questa settimana con lo sciopero e la manifestazione di Bellinzona devono attirare la nostra attenzione per tre ragioni.
La prima è semplice: lottare, scioperare, mobilitarsi è possibile.Non vi sono ragioni “oggettive” per le quali sia possibile farlo nell’edilizia e non negli altri settori; non vi sono ragioni per le quali sia possibile farlo in Ticino e non, in modo così netto, negli altri cantoni, nelle altre regioni.
Il settore edile conta, in Ticino, una stragrande maggioranza di frontalieri, categoria di lavoratori che, ci si ripete spesso, è ricattabile, si accontenterebbe di quello che gli si offre, non vorrebbe mettere a repentaglio, partecipando all’azione sindacale, un situazione di “privilegio” rispetto ad altri lavoratori che vivono e lavorano oltre frontiera.
La massiccia partecipazione allo sciopero mostra che questi elementi oggettivi, che pure esistono, possono essere superati attraverso una politica sindacale che permetta di conquistare la fiducia di questi lavoratori, di tutti i lavoratori.
È quanto è successo nel settore dell’edilizia in Ticino, e poi, bene o male è continuato, a partire dagli anni ‘90, quando si è avviata una svolta profonda e, come vediamo, duratura nella politica sindacale (in particolare allora con il SEI) che ha reso legittimo e utile, agli occhi della stragrande maggioranza dei lavoratori edili, il ricorso allo sciopero.
La seconda ragione di attenzione è il comportamento padronale.
Agli occhi del padronato un contratto collettivo di lavoro ha sostanzialmente tre funzioni: garantire la concorrenza interna al settore, evitare conflitti permanenti sui luoghi di lavoro, fissare ad un dato prezzo la vendita della forza-lavoro.
Se alcune di queste condizioni vengono a mancare il padronato è spesso spinto a rinunciare alla stipulazione di CCL.
Nel caso del padronato dell’edilizia è evidente che il problema nasce dal primo aspetto, quello legato alla garanzia della concorrenza interna. Le proposte fatte dal padronato rappresentano di fatto uno smantellamento delle protezioni previste dal CCL. La flessibilità spinta all’accesso, il mancato riconoscimento delle classi acquisite in caso di cambiamento di posto di lavoro, abolire il divieto di lavorare in caso di intemperie, introdurre la possibilità di stages non pagati di quattro mesi non sottoposti agli obblighi contrattuali (soprattutto senza rispettare i minimi salariali) altro non sono che l’indicazione di un padronato che vuole andare verso sempre maggiore concorrenza interna e esterna: e che quindi vede in un CCL che offre ancora molte protezioni, molte regole, molti divieti un ostacolo allo sviluppo della concorrenza.
La terza ragione che deve attirare la nostra attenzione la mobilitazione degli edili è la necessità di riflettere su strumenti di difesa di salariati che vadano oltre a quelli tradizionali.
Pensiamo al fatto che i CCL, sebben debbano essere difesi a spada tratta, sono sempre di meno strumenti atti alla difesa delle condizioni di lavoro e di salario.
Da un lato perché vengono sempre più sottoscritti CCL di fatto vuoti di sostanza: spesso pure e semplici riprese della già scarsa legislazione sul lavoro, ai quali si aggiungono salari da fame.
Dall’altro poiché la divisione e l’atomizzazione del salariato (pensiamo solo all’enorme crescita del lavoro precario) necessita di regolamentazioni che vadano al di là dello strumento dei CCL. Non a caso, quando il padronato ha voluto far fare un passo indietro alle garanzie dei lavoro di alcuni settori pubblici (ferrovie, poste, etc.) ha pensato bene di sostituire le disposizioni di legge che ne regolavano le condizioni con la stipulazione di contratti collettivi di lavoro.
Infine, non da ultimo, il movimento sindacale dovrebbe riflettere (ed è un aspetto che investe soprattutto la Svizzera tedesca ed in particolare i centri economici e produttivi fondamentali) sulla propria capacità di mobilitare in questi centri: senza di ché, mobilitazioni in regioni tutto sommato marginali (come il Ticino) rischiano di tradursi in semplici, seppur generose, testimonianze.