In Ticino ci sono almeno due tipi di logistica: una principalmente dedicata al contesto locale, di servizio alle imprese sul territorio, e una invece più legata ai flussi internazionali, di più recente insediamento e che tende a localizzarsi nelle aree meglio collegate al sistema autostradale, secondo uno studio dell’Osservatorio dello sviluppo territoriale[1].
Quest’ultimo tipo aziende si è sviluppato negli ultimi anni per svolgere attività di sdoganamento delle merci in entrata e in uscita dall’area metropolitana di Milano. Si tratta di aziende che dispongono di ingenti mezzi finanziari, necessitano di aree molto più vaste rispetto alla logistica tradizionale, con un consumo di suolo per posto di lavoro molto elevato, e che svolgono attività molto specializzate, senza reali contatti con le aziende locali. Il caso più conosciuto è quello della logistica legata alla moda, che si è sviluppata a partire dall’inizio degli anni 2000.
L’arrivo di queste imprese legate all’hub logistico milanese “in alcuni casi provoca una pressione sul mercato fondiario e può quindi dar luogo fenomeni speculativi sui prezzi dei terreni. Infatti le nuove aziende di logistica paiono in grado di offrire prezzi più elevati, a volte fuori mercato, rispetto a ciò che può offrire l’imprenditore locale”.
Inoltre “la rapida crescita di queste attività comporta un uso del suolo non indifferente, quindi indirettamente costi aggiuntivi per i comuni coinvolti (anche soltanto in termini di infrastrutture e di opere di urbanizzazione), non sempre compensabili con le imposte pagate da queste aziende (in ragione del numero esiguo di addetti, ma anche della ramificazione nazionale e internazionale in cui si inseriscono)”, afferma lo studio che si concludeva invitando a monitorate meglio queste attività e a riflettere ad eventuali misure di contenimento.
In sei anni il cantone non ha ritenuto necessario seguire il consiglio degli esperti. Quest’anno l’Osservatorio dello sviluppo territoriale ha pubblicato lo studio “Nuove geografie della logistica in Ticino” da cui emerge che la situazione si è ulteriormente aggravata. La maggior parte delle imprese logistiche (segnatamente quelle organizzate sotto la forma di Holding con più specializzazioni nei servizi ai trasporti) non hanno relazioni con il territorio in cui sono insediate e non sono inserite in dinamiche di cluster.
“Così ad esempio, per un trasporto tra l’Italia e la Germania, un operatore basato in Ticino può far capo ad aziende di trasporti stradali situate in paesi UE dell’est europeo, come la Lituania o la Romania (i cui costi sono verosimilmente inferiori a quelli dei trasportatori svizzeri, italiani o tedeschi). Abbiamo pure potuto osservare quanto è facile per una azienda (anche di grandi dimensioni) spostarsi da un impianto all’altro, aprire o chiudere una piattaforma in funzione delle circostante congiunturali. Per le imprese logistiche situate presso la frontiera e che operano su flussi transfrontalieri, i valori determinanti sono il cambio franco-euro e le questioni fiscali. Variazioni dei cambi (un rafforzamento del franco svizzero rispetto all’Euro) o delle politiche tributarie potrebbero così scatenare un rapido processo di delocalizzazione”, si legge nello studio.
Gli esempi più lampanti sono quelli di Armani e della LGI: la prima è tornata in Italia in fretta e furia dopo aver raggiunto un accordo con le autorità fiscali italiane, la seconda ha delocalizzato a seguito di un’inchiesta della procura di Milano per evasione fiscale.
Nello studio del 2018 gli esperti hanno nuovamente formulato un auspicio:
“Il presente contributo può quindi essere completato e valorizzato attraverso uno studio socioeconomico del settore che comprenda
a) una valutazione rigorosa delle ricadute fiscali dell’insediamento delle aziende logistiche e
b) una indagine sulle condizioni di lavoro del settore, segnatamente per quanto attiene alle specializzazioni, alle retribuzioni e alla provenienza dei lavoratori.”
Con la presente mozione chiediamo quindi di incaricare l’Osservatorio dello sviluppo territoriale di svolgere un simile studio, tenendo conto anche degli sviluppi più recenti e delle possibili implicazioni degli standard BEPS contro l’erosione della base fiscale e il trasferimento degli utili, sapendo che né i marchi né il design potranno esseri inclusi nei patent box. Occorrerà prendere in conto anche i costi esterni causati da queste imprese per valutare il reale apporto al territorio.
*Mozione del Deputato MPS Matteo Pronzini del 17 dicembre 2018
[1] Attività economiche e uso del suolo nel Cantone Ticino 2000 – 2010