Tempo di lettura: 5 minuti

Ritorna spesso, in queste prime fasi del dibattito politico in vista delle elezioni, la questione delle finanze cantonali e della loro “salute”.

A far la parte del leone sono naturalmente tutti coloro che, in una prospettiva neoliberale, hanno, ormai da qualche tempo – dall’epoca Sadis per l’esattezza, messo al centro della politica finanziaria del Cantone il contenimento, vedi la diminuzione del debito pubblico, e il raggiungimento del pareggio dei conti nella gestione corrente. Corollario di questa impostazione l’adozione, per via costituzionale, del principio del contenimento dei disavanzi. Un orientamento, come si vede, del tutto conforme alla dottrina neoliberale, diffusa in tutta Europa e, nel nostro paese, applicata da molto tempo, rappresentando la Svizzera una sorta di modello al quale si sono ispirate molte delle politiche neoliberali in atto in Europa. Basti pensare che le disposizioni di legge e costituzionali a livello federale sono state adottate a livello nazionale già all’inizio degli anni Duemila.

Questa impostazione, con qualche del tutto secondario distinguo, è stata difesa di fatto da tutte le forze presenti in governo (e anche da alcune formalmente all’”opposizione” come, ad esempio, i Verdi). Una volontà di andare in questa direzione che si era condensata in due momenti: l’adozione del principio della “road map” con la quale discutere la revisione dei compiti dello Stato (considerato uno degli elementi di fondo per raggiungere questi obiettivi) e l’adozione della riforma costituzione sul freno ai disavanzi (anche qui tutti d’accordo sul principio: divisi solo sulle modalità – e di dettaglio per giunta – della loro applicazione).

Finanze risanate, defiscalizzazione programmata di 125 milioni

Persino una persona sprovvista di conoscenze sulla situazione politica ticinese farebbe fatica a non cogliere il nesso profondo che vi è stato (e che è tuttora in atto) tra questi obiettivi legati alla finanza pubblica cantonale e il desiderio di procedere in direzione di una defiscalizzazione, sia sulle persone giuridiche che su quelle fisiche.

Un programma condotto con determinazione dal ministro delle finanze Vitta, che ha potuto contare su tutto il governo, sui gruppi parlamentari dei partiti di governo e su altri sostegni e che ha saputo “surfare” anche sulle previste (ma non ancora realizzate) riforme fiscali proposte a livello federale.

Se la RFFA (riforma fiscale e del finanziamento dell’AVS) dovesse essere approvata come auspicano Vitta e, con lui, tutte le forze del governo cantonale (il referendum è riuscito proprio in questi giorni e quindi andremo a votare) avrà importanti ripercussioni sulle finanze cantonali. Infatti oggi una parte importante del gettito delle persone giuridiche in Ticino è determinato da società con statuto fiscale privilegiato, dalla cui abolizione muove la RFFA.

Ricordiamo infatti che il gettito complessivo dell’imposta cantonale delle persone giuridiche in Ticino è di circa 300 milioni. Questo importo è formato da:

– 210 milioni derivanti dalle società tassate ordinariamente (quindi, senza alcun privilegio fiscale);

– circa 90 milioni derivanti dalle società a statuto speciale agevolate dal diritto cantonale (art. 28 LAID), dalle cosiddette società Principali e dagli stabilimenti finanziari d’impresa sulla base delle agevolazioni della nostra legge cantonale.

In caso di approvazione popolare della RFFA e, di conseguenza, l’avvio di una riforma fiscale cantonale, il Consiglio di Stato, a suo tempo, aveva delineato una proposta di riduzione dell’aliquota proporzionale sull’utile delle persone giuridiche, dal 9% attuale al 6%. La conseguenza, con riferimento ai dati di cui sopra, comporta una riduzione del gettito per le società a tassazione ordinaria pari a 1/3 di 210 milioni, vale a dire di 70 milioni, poiché la riduzione dell’aliquota dal 9 al 6% corrisponde ad 1/3.

Alla proposta governativa ha fatto seguito il postulato avanzato dal consigliere di Stato Christian Vitta volto a ridurre il moltiplicatore dell’imposta cantonale dal 100% al 95%. La decisione spetta al Gran Consiglio con maggioranza semplice. Nel caso di accoglimento per tutti i contribuenti, siano esse persone fisiche o persone giuridiche, il prelievo fiscale si ridurrebbe del 5%. La contrazione finanziaria, supposto un gettito dell’imposta cantonale complessiva (persone fisiche, persone giuridiche, imposta alla fonte, imposta di successione, recupero d’imposta in sede di amnistia fiscale, imposta di bollo, etc) comporta una riduzione strutturale delle entrate del Cantone di 75 milioni (5% di 1.5 miliardi).

Complessivamente, l’attenuazione delle aliquote dal 9 al 6% e l’attenuazione del moltiplicatore dal 100 al 95% comporterebbe una minore entrata periodica certa, quindi strutturale, di 145 milioni. Questa viene a ridursi a 125 milioni, in seguito all’aumento della partecipazione del Cantone all’imposta federale diretta dal 17 al 21.2%, al netto di un riconoscimento di parte di questo importo ai Comuni.

Al di là del meccanismo di questo calcolo, si deve concludere che la riduzione dell’aliquota dal 9 al 6% e la riduzione del moltiplicatore cantonale di 5 punti percentuali comporta almeno una certezza, ossia una defiscalizzazione secca di 125 milioni di franchi.

Un debito così oneroso?

Attorno alla questione del debito, lo abbiamo scritto più volte, vi è di fatto un dibattito fortemente ideologico. Lo sforzo dei partiti maggiori (e tutti condividono questa impostazione, basti andare a leggere cosa ha scritto pochi giorni fa su La Regione l’economista liberale Amalia Mirante, in corsa per il PS al consiglio di Stato) è di presentare una situazione “drammatica” e “insopportabile” che impedirebbe qualsiasi “progettazione”, consegnando “ai nostri figli” un futuro pieno di ipoteche, proprio a causa di questo indebitamento.

Per dare un’apparenza di credibilità a questa costruzione fantastica si fa capo ad una serie di sottolineature: a cominciare dal riferimento al dato assoluto del debito (attorno ai 2 miliardi), al rapporto tra il costo di questo debito e le entrate fiscali, etc: il tutto a sostegno di questa immagine di “insostenibilità” e, di conseguenze, all’idea di dover mettere mano a debito e deficit d’esercizio.

Naturalmente le cose stanno assai diversamente. E basterebbe che questo debito, il suo “insopportabile” peso venissero confrontati con dati che misura la “forza” economica del Cantone e la sua robustezza patrimoniale per renderci conto della dimensione ideologica dei discorsi più ricorrenti.

Il primo fondamentale elemento è il riferimento alla ricchezza prodotta nel Cantone. L’ultimo dato (provvisorio) relativo al Prodotto Interno Lordo (PIL) del Cantone si riferisce al 2016. Il PIL cantonale è pari a circa 29,5 miliardi di franchi.

Se rapportato a questo dato il debito pubblico del Cantone mostra tutta la sua esiguità. 1,9 miliardi di franchi (è questo l’ammontare del debito pubblico) rispetto ai 29,5 miliardi del PIL rappresenta una percentuale (circa il 7%) da far schiattare di invidia anche i più rigorosi economisti europei, quelli che faticano (anzi non ci riescono) a far rispettare il rapporto PIL/debito all’interno del parametro del 60%. Certo, i metodi di calcolo sono diversi e i riferimenti pure. Ma anche se al debito cantonale dovessimo aggiungerci anche quello dei comuni (1,6 miliardi) il rapporto fondamentale non muterebbe di molto.

Un secondo elemento fondamentale è quello relativo agli oneri finanziari, cioè la differenza tra quanto il Cantone deve pagare per interessi (per onorare il debito) e quanto incassa in interessi attivi dal proprio patrimonio (gestito e mantenuto anche con il ricorso al debito).

Ebbene, gli oneri finanziari del Cantone sono pari a circa 30 milioni all’anno; sono meno della metà degli interessi attivi che incassa dal suo patrimonio (BancaStato, AET, etc.) che sono (Preventivo 2019) di circa 67 milioni all’anno.

È un po’ come essere proprietario di un palazzo con un’ipoteca (il mio debito) che mi costa 10 all’anno di interessi; ma questo stesso palazzo mi rende (ad esempio attraverso gli affitti) il doppio, cioè 20. Sarei un indebitato felice!

E che la situazione non sia per nulla tragica, né preoccupante, lo testimonia proprio la razzia fiscale (125 milioni) alla quale sembra disposto a rinunciare Vitta e, ci pare di capire, tutto il governo. Se si può rinunciare a 125 milioni, allora vi sono altre importanti e decisive priorità.

 

Print Friendly, PDF & Email