La disoccupazione scende, le misure per ricollocare i disoccupati funzionano a meraviglia, le aziende sono responsabili e la crescita economica ha portato grande benessere a tutti: è questa la personale versione di «La vie en rose» che il consigliere di Stato Christian Vitta ci ha offerto qualche giorno fa dalle pagine del Corriere del Ticino. Peccato che il «Ticino delle meraviglie» che ci descrive faccia a pugni con la realtà in cui vivono migliaia di persone e con i dati ufficiali. Ignorare i problemi invece di risolverli sembra ormai diventata la strategia preferita del governo.
Se il numero di disoccupati, secondo i dati del Segreteria di Stato dell’economia (SECO), diminuisce è soprattutto perché, dopo la revisione della legge contro la disoccupazione, sempre meno persone hanno diritto alle indennità di disoccupazione. Proprio a causa dell’incremento di disoccupati senza indennità e occupati che non hanno più nessun mezzo di sostentamento o guadagnano troppo poco per sopravvivere che i beneficiari dell’assistenza sono raddoppiati dal 2011 a oggi.
Quel che poi non sappiamo è come tirano avanti le persone che non hanno diritto all’assistenza, concessa solo se non si hanno altri mezzi di sussistenza. Molti sono a carico delle loro famiglie, altri – soprattutto gli ultracinquentenni – devono liquidare tutto quel che hanno messo da parte in una vita di lavoro prima di aver diritto all’aiuto dello pubblico.
Basterebbe dare un’occhiata alle cifre, quelle vere, per rendersi conto che questa categoria di «invisibili» sta aumentando a dismisura. Nel III° trimestre i disoccupati ILO (cioè la statistica secondo i criteri internazionali fissati dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro – ILO) in Ticino erano ben 12.700 (sono aumentati, non diminuiti!), il triplo rispetto agli iscritti agli Uffici regionali di collocamento (URC).
Se non sappiamo nulla di queste persone è proprio perché, appena entrato in carica, Christian Vitta ha pensato bene di sciogliere la piattaforma interdipartimentale sul monitoraggio del mondo del lavoro; così, da allora l’informazione su temi di vitale importanza si limita al commento mensile dei dati SECO da parte dell’Istituto delle Ricerche Economiche – IRE (che, naturalmente, si guarda bene dal far riferimento a dati scomodi quali, ad esempio, quel 31,4% di persone a rischio di povertà nel nostro Cantone o il reddito disponibile in calo per metà della popolazione).
Le nuove misure a favore dei disoccupati riguardano i giovani in assistenza fra i 18 e 24 anni senza formazione professionale, che rappresentano solo l’8% del totale dei beneficiari disoccupati.
E tutti gli altri? Gli ultracinquantenni, che devono ricorrere all’aiuto sociale, sono aumentati del 66% dal 2011 ad oggi, ma l’iniziativa dell’MPS per vietare i licenziamenti di sostituzione è ferma nei cassetti da oltre due anni. I «lavoratori anziani» vengono scaricati perché considerati troppo costosi, mentre i salari dei giovani e dei nuovi assunti diminuiscono.
È comodo mettere sul conto delle «difficoltà economiche della vicina Italia» tutti i problemi del mondo del lavoro ticinese, ma la verità è che da anni ormai governo e maggioranza del Parlamento sabotano qualsiasi proposta per ridurre la pressione sui salari: controlli a tappeto per bloccare sul nascere il dumping, divieto di imporre stage gratuiti, monitoraggio indipendente delle misure nell’ambito del mercato del lavoro e Contratti normali di lavoro che abbiano salari minimi con i quali sia possibile tentare di vivere. Anzi, oltre al danno anche la beffa, se si pensa che i consiglieri di Stato vanno in visita ad aziende che rifiutano perfino di introdurre salari minimi da 3.000 franchi lordi, come nella logistica, o che retribuiscono con salari di 3.579 franchi lordi i laureati residenti e 2.250 gli ingegneri frontalieri. In questo modo i nostri consiglieri di Stato non fanno altro che dare la loro benedizione alla politica di sostituzione sistematica della manodopera con l’obiettivo di approfondire e sviluppare in modo sfrenato la politica di dumping salariale.
Questi posti di lavoro sono luoghi di super-sfruttamento, e come tali non meritano alcuna tutela pubblica, ma una lotta estrema contro la miseria che offrono a tutti coloro che sono costretti, per una ragione o l’altra, ad accettarli.
E non è certo favorendo con continui sgravi l’insediamento di imprese come la Luxury Goods che si potrà garantire l’occupazione e il tenore di vita di chi vive e lavora in questo Cantone.
Sarebbe ora che Christian Vitta, e i suoi compagni di Governo, cominciassero a parlare (e ad occuparsi) di queste cose.
*Candidate al Consiglio di Stato della Lista MPS-POP-Indipendenti
Opinione pubblicata sul Corriere del Ticino di sabato 12 gennaio 2019.