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Ogni volta che si interroga il Consiglio di Stato chiedendo ragguagli su come vivono i disoccupati che hanno esaurito le indennità e non sono in assistenza, quante persone fanno lavoretti precari con cui non riescono più a maturare il diritto alle indennità, quanti entrano ed escono in continuazione dalla disoccupazione, come ha inciso la situazione del mercato del lavoro sulla qualità di vita delle famiglie e sul loro potere di acquisto, ebbene in tutti questi casi le risposte sono sconcertanti: non sappiamo, non ci sono i dati, le cifre non esistono, ecc., ecc.

Fino al 2015 esisteva un Piattaforma interdipartimentale sul monitoraggio del mondo del lavoro che ha pubblicato diversi interessanti studi contenenti cifre e analisi; ma il consigliere di Stato Christian Vitta, appena entrato in carica, ha deciso scioglierla.

Da allora l’informazione si limita praticamente solo al commento mensile dei dati SECO da parte dell’IRE. In quattro anni di legislatura la piattaforma non è stata sostituita con nulla di simile, cioè un gruppo di esperti indipendenti che analizzavano il problema a partire da dati reali.

Apprendiamo ora che lo stesso Christian Vitta ha intenzione di creare a breve “un gruppo di riflessione sul mondo del lavoro” sul modello del tavolo dell’economia. Attorno a quel tavolo il Dipartimento delle finanze e dell’economia aveva invitato i rappresentanti del mondo accademico, delle organizzazioni padronali e sindacali e della politica.

Se riunendo queste persone si potessero risolvere i problemi del mondo del lavoro ticinese, saremmo il cantone come meno disoccupazione e povertà in Svizzera: invece è vero il contrario. Ci scuseranno i partecipanti, ma questi sono sempre e solo gli stessi nomi che vediamo in tutte le occasioni e in tutte le salse da anni ormai. Questi tavoli sembrano più l’occasione per confortarsi reciprocamente nel fatto di “rappresentare” qualcuno o qualcosa più che un luogo nel quale si affrontano proposte concrete per dare risposte efficaci ai problemi del mercato del lavoro.

Essi rappresentano interessi particolari, ci forniscono la loro interpretazione della situazione, quasi mai un’immagine il più aderente possibile alla realtà. Quello che pensano i rappresentanti dei partiti lo sappiamo, visto che possono esprimersi in Gran Consiglio e sui media. Il prof Rico Maggi ha avuto più volte l’occasione di ripetere che i salari bassi sono un “vantaggio concorrenziale” per il Ticino e che la gente ha una “percezione” sbagliata delle disoccupazione (per altro nel famoso studio “Approfondimento della situazione del mercato del lavoro ticinese negli anni successivi all’introduzione dell’Accordo sulla Libera Circolazione delle Persone” i dati sulla disoccupazione ILO erano parzialmente errati). Quanto ai rappresentanti delle associazioni economiche, a cui i giornali dedicano ampissimo spazio, non sembrano molto ferrati con le cifre: 1’000 non è il numero di disoccupati ricollocabili in assistenza, ma quello di occupati con un salario talmente basso da dover comunque ricorrere all’assistenza per sopravvivere (1). Chi afferma senza vergogna che “per i redditi più bassi esiste l’aiuto sociale” non è sicuramente interessato a misure per ridurre il tasso di povertà e rischio di povertà, che in Ticino sono i più alti della Svizzera.

Se si vuole davvero affrontare un problema la prima cosa da fare – e lo abbiamo già ripetuto più volte – è conoscerlo a fondo. Se i soliti noti vogliono “riflettere” attorno a un tavolo lo facciano, ma quel che manca davvero in Ticino è un gruppo di esperti che raccolga e analizzi i dati reali sul mondo del lavoro e che vada a indagare anche nelle zone di ombra, perché ce ne sono parecchie.

Ad esempio, dall’ultimo Monitoraggio congiunturale risulta che in Ticino il numero di disoccupati ILO è fino al triplo rispetto ai disoccupati iscritti agli Uffici regionali di collocamento (URC), contrariamente alla Svizzera dove i due dati corrono paralleli. Questo significa che due terzi dei senza lavoro probabilmente non ha ancora o non ha più diritto alle indennità, ma nessuno sa come vive: di lavoretti precari? È a carico della famiglia?

Come si ripercuote questo fenomeno sul potere di acquisto delle famiglie? Sappiamo che il Ticino detiene il triste record dei maggiori tassi di povertà e di rischio di povertà, che risultano essere oltre il doppio della media nazionale:

Tasso di povertà in Ticino 16,5%, in Svizzera 7,5%

Tasso di rischio di povertà in Ticino 31,4%, in Svizzera 14,7%

E non è vero, come affermano alcuni, che bastano gli aiuti sociali per raddrizzare la situazione, perché il tasso di povertà è già calcolato tenendo conto di tutti gli aiuti sociali possibili, sia statali che privati (trasferimenti sociali).

Non è vero neppure che “abbiamo un sistema molto sociale”. L’Ufficio federale di statistica calcola infatti la percentuale di riduzione della povertà tenendo conto anche degli aiuti sociali. In Ticino la povertà viene ridotta del 42% grazie ai trasferimenti sociali in senso stretto e del 67% tenendo conto anche dei trasferimenti nel loro insieme, sono i peggiori risultati di tutta la Svizzera.

Siamo anche l’unica grande regione dove i salari mediani sono diminuiti in ben sette sezioni economiche su 17 (2), e il Consiglio di Stato si rifiuta di fare effettuare un’analisi di questo fenomeno. I giovani formati e ne vanno dal Ticino (3), molte donne rinunciano ad avere figli a causa della loro situazione finanziaria (4), aumenta il numero degli ultracinquantenni in cerca di impiego e in assistenza.

La mancanza di dati e analisi affidabili causa il diffondersi di “leggende metropolitane” come quella che vorrebbe che i beneficiari dell’assistenza aumentino a causa degli uomini divorziati.

I divorziati in assistenza sono comunque meno delle donne nella stessa situazione e il loro numero è cresciuto in maniera importante a partire dal 2011, così come quello dei disoccupati e occupati in assistenza, a causa della revisione della Legge contro la disoccupazione. Se si parte da un’osservazione sbagliata, la soluzione al problema sarà evidentemente sbagliata: non sono i divorzi il problema, ma la disoccupazione e la sottoccupazione.

Stessa cosa vale per una rivendicazione più che legittima come quella della conciliabilità lavoro-famiglia: gli asili nido e altre strutture di accoglienza per bambini sono necessari alle madri che vogliono tornare al lavoro, sempre che qualcuno sia disposto a dar loro un lavoro. L’accesso al mercato del lavoro per le donne rimane più difficile e i salari sono ancora inferiori a quelli degli uomini: in Ticino nel settore privato i salari delle donne sono più bassi del 15,8% rispetto a quelli degli uomini, vale a dire circa 850 franchi in meno al mese 400 franchi dei quali non sono dovuti a fattori oggettivi come l’anzianità di servizio, la responsabilità, il ramo economico, la posizione nella professione e il livello di formazione (5).

Il tasso di sottoccupazione per le donne nel nostro cantone ha raggiunto il 14,9%. Se si guardano i dati a livello svizzero (per il Ticino non esistono) sono le donne oltre i 40 anni a segnare i tassi di sottoccupazione più elevati, spesso svolgendo due o più lavoretti per sbarcare il lunario e, a quell’età il, problema è raramente il posto in un asilo nido.

Fra 2011 e il 2015 il tasso di creazione in Ticino di imprese è stato doppio rispetto alla media nazionale e quello di creazione di posti di lavoro triplo; eppure il numero di disoccupati (secondo la statistica ILO) è rimasto costante e sta di nuovo risalendo (7% nel III trimestre 2018). In compenso è aumentata costantemente la sottoccupazione che nel 2017 ha raggiunto il 9,9%; e noi non sappiamo esattamente di quanto dispongano le famiglie per vivere visto che la statistica dei salari presenta solo salari lordi standardizzati, vale a dire trasformati in un ipotetico 100% di occupazione.

È inutile che le associazioni padronali – come fanno ormai da qualche tempo – ci ripetano che bisogna meglio sfruttare la forza di lavoro femminile e dei lavoratori “anziani” se poi gli ultracinquantenni vengono licenziati e alle donne vengono offerti lavoretti malpagati. È inutile che ci si parli di quanto siano responsabili le imprese che creano asili nido finanziati con i soldi pubblici se poi assumono solo lavoratori a paghe ignobili, che vantino i meriti della formazione quando i giovani laureati guadagnano meno di 4’000 franchi o sono costretti ad andarsene oltre Gottardo per trovare un lavoro. I rappresentanti del mondo padronale e dei partiti che li sorreggono hanno sufficienti occasioni per esporci i LORO bisogni, la LORO visione e le LORO soluzioni. Quello che manca invece è qualcuno che faccia un quadro il più possibile aderente alla realtà perché se si parte da una visione parziale del problema la soluzione potrà solo essere sbagliata.

Con la presente mozione chiediamo quindi la creazione di un gruppo di esperti indipendenti che raccolga dati e informazioni sulle dinamiche in atto nel mondo del lavoro, sulle sue ripercussioni a livello socioeconomico e che valuti l’efficacia delle misure. Gli esperti dovranno essere liberi di agire senza imposizioni da parte dell’amministrazione o delle forze politiche e le conclusioni dovranno essere presentate pubblicamente e regolarmente.

Note:
1) USSI, Approfondimento annuale.
2) Extra dati, A. XVII, n. 02, marzo 2017, Salari in Ticino: stato ed evoluzione 2008-2014. I risultati della Rilevazione della struttura dei salari.
3) Migrazioni: Focus sulle partenze dal Ticino, Francesco Giudici, Matteo Borioli e Danilo Bruno Dati – Statistiche e società, A. XVIII, n. 1, giugno.
4) Avere o non avere un (altro) figlio: tra desiderio e realtà, Francesco Giudici, Dati – Statistiche e società, A. XVIII, n. 2, ottobre 2018.
5) Ustat, Le cifre della parità.

*Mozione del Deputato MpS Matteo Pronzini