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Gli Usa possono porre fine al riscaldamento globale e costruire un’economia giusta e sostenibile con un budget di 50 miliardi di dollari l’anno. E come dimostra la storia, quando si vuole è un impegno possibile.

È tempo che l’America sia nuovamente ambiziosa. I sostenitori nel congresso di un “Green New Deal” stanno invocando una «mobilitazione nazionale, sociale, industriale ed economica di una portata che non si vede dai tempi della Seconda guerra mondiale e dell’Era del New Deal» al fine di de-carbonizzare l’economia statunitense entro il 2030.

Prendere sul serio la crisi climatica significa portare gli Stati Uniti a inquinamento zero o negativo entro dieci anni, tentando nel frattempo di rimediare ai danni già fatti. Ciò implica non solo ripensare la nostra rete elettrica, ma anche la mobilità e i trasporti, il sistema agricolo, finanziario, sanitario, le infrastrutture già costruite, gli scambi e la produzione, l’uso della terra, le relazioni di genere e l’apparato militare: la nostra intera economia, le relazioni che intratteniamo l’uno con l’altro e con il resto del mondo.

Seppur tutto questo sembra impossibile a chi guadagna nel settore dei combustibili fossili, sarebbe comunque perseguibile se gli Stati Uniti si mobilitassero sul piano finanziario in modo paragonabile a quello avuto nella storia nazionale durante la Seconda guerra mondiale.

La mozione del Green New Deal prevede che gli Stati Uniti raggiungano «livello zero di emissioni gas a effetto serra […] attraverso una mobilitazione nazionale di dieci anni». L’obiettivo di una rapida e totale de-carbonizzazione è gli antipodi degli intenti dell’amministrazione Trump e delle proiezioni di giganti inquinanti come l’ExxonMobil; ed è anche considerevolmente più ambizioso rispetto ai recenti piani della leadership del Partito Democratico, che mirano a una riduzione dell’80% rispetto al livello del 2005 entro il 2050, mantenendo come riferimento la campagna Step It Up del 2007.

Una rapida e totale de-carbonizzazione è necessaria in questo periodo di emergenza climatica. Le conseguenze dell’estrazione e combustione di centinaia di miliardi di tonnellate di carbon fossile nei decenni recenti sono oggi visibili. Gli stati nazionali stanno vacillando a causa di un clima sempre più degradato: siccità catastrofiche, inondazioni, incendi, tempeste, aumento del livello dell’acqua, scioglimento dei ghiacciai e il collasso della biodiversità stanno mettendo in un pericolo colossale gli individui in tutti gli angolo del globo.

Se l’umanità non mette fine all’utilizzo dei combustibili fossili cercando di invertire il processo di deforestazione, la possibilità che condivida il destino della stragrande maggioranza delle specie esistite su questo pianeta – l’estinzione – è irragionevolmente troppo alto. Il prezzo di un’azione insufficiente, come ricorda l’economista di Harvard Martin Weitzman con il “dismal theorem”, è potenzialmente infinito, «in quanto le catastrofi che causerebbero l’estinzione umana rimangono troppo plausibili per essere ignorate».

Gli Stati Uniti, il più longevo governo ininterrotto sul pianeta e il più grande produttore e beneficiario dell’inquinamento di carbonio, affrontano questo pericolo come una qualunque altra nazione. Dopo aver perso case e mezzi di sussistenza, milioni di americani sono divenuti migranti climatici all’interno delle nostre frontiere. Le nostre istituzioni politiche e sociali stanno cadendo a pezzi, mentre c’è una gara tra i capitalisti esperti nei disastri per estrarre tutto il profitto che possono dalle nostre risorse naturali e sociali sempre più impoverite.

Le conseguenze del riscaldamento globale di 1°C sperimentate finora sono considerevolmente più gravi delle proiezioni scientifiche, e ciò ha portato le nazioni del mondo a raccomandare (senza impegno) di mantenere il riscaldamento globale se possibile sotto l’1.5°C, o al massimo 2°C. Gli impegni presi dall’amministrazione Obama (e rinnegati da Trump) di abbassare l’inquinamento prodotto dell’80% entro il 2050 sono insufficienti per mantenere il riscaldamento globale sotto i 2°C, figuriamoci sotto l’1.5°C.

Il piano di non azione di Trump (nella migliore delle ipotesi) porterebbe il riscaldamento globale a 2°C entro dieci anni, e probabilmente ci potrebbe portare all’inimmaginabile e catastrofico 4°C, o addirittura più alto. A un certo punto, anche l’economia globale troverebbe necessaria una rapida de-carbonizzazione: attraverso una catastrofe globale che ridimensionerebbe la vastità della Grande Depressione o delle Guerre Mondiali.

Abbiamo bisogno di sostenibilità. Prendere la crisi climatica seriamente implica portare gli Stati Uniti a inquinamento zero o negativo entro dieci anni. Per arrivarci, è necessaria una mobilitazione finanziaria come quella effettuata durante la Seconda guerra mondiale. Per eguagliare quel livello di mobilitazione, la spesa federale statunitense dovrebbe raggiungere una cifra tra i 30 e gli 80 miliardi di dollari l’anno. La mobilitazione nazionale per la Seconda guerra mondiale ha visto la spesa federale crescere dal 10% del Pil (che rappresentava già il doppio rispetto alla spesa precedente alla Grande Depressione) a oltre il 40% nel 1945, una cifra ampiamente superiore al livello delle spese federali fino a quel momento.

Uno degli attacchi più comuni contro qualsiasi tipo di investimento federale nella salute dei suoi cittadini è lo spettro dei “deficit elevati”. Di nuovo, se guardiamo all’esempio del del New Deal o alla Seconda guerra mondiale, possiamo riconoscere che c’è poco di cui preoccuparci (ci sarebbe poi anche la questione per cui i deficit di bilancio non sono poi così importanti quando l’alternativa alla spesa è l’estinzione). Il deficit federale ha raggiunto il 25% del Pil al picco della spesa per la Seconda guerra mondiale, un deficit enormemente superiore a quello odierno.

Nota: poiché il Pil degli Stati Uniti è cresciuto in maniera notevole grazie alla mobilitazione della spesa per la guerra, la spesa federale non è quadruplicata dal 1940 al 1945, ma è cresciuta di sette volte. La scalata della spesa dall’inizio della Grande Depressione fino al picco della mobilitazione per la Seconda guerra mondiale è ancora più netta: un aumento di venti volte rispetto al livello iniziale.

Quella spesa senza precedenti è meglio definita come investimento – l’economia americana ha triplicato le sue dimensioni dal 1929 al 1959. Come riassume l’analista economico Kimberly Amadeo, «il New Deal ha funzionato».

Sorprendentemente, l’alta percentuale di spesa federale degli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale finirebbe nella fascia bassa tra i livelli di spesa attuali in Europa.

Dopo la Seconda guerra mondiale, la spesa federale del governo è rimasta stabile a circa il 20% del Pil (l’impulso del 2009 ha aumentato per un breve periodo la spesa al 25% del Pil).

Il budget federale degli Stati Uniti attualmente è di circa 4 miliardi l’anno. Se il governo federale incrementasse gli investimenti da sette a venti volte – come ha già fatto, in parallelo alla scalata che ha fatto uscire il mondo dalla Grande Depressione, alla sconfitta dei nazisti e alla consacrazione del paese come l’indiscussa superpotenza del mondo – vedremmo un budget federale tra i 30 e gli 80 miliardi di dollari l’anno.

Possiamo fermare l’inquinamento globale e costruire un’economia giusta e sostenibile in dieci anni con un budget di 50 miliardi l’anno. Ma come riconoscono i promotori del Green New Deal, un focus tecnico sui numeri dell’effetto serra manca da una parte l’effettivo pericolo attuale, dall’altra la promessa di progresso sociale. «Perché ridisegnare il nostro impatto ambientale significa ripensare la nostra economia», scrive Jedediah Britton-Purdy, «ci saranno visioni inevitabilmente in competizione su chi dovrebbe beneficiarne e che tipo di economia dovremmo costruire».

La scomoda verità del cambiamento climatico è che il capitalismo speculativo neoliberale non riesce a fornire alle persone stabilità, sicurezza e dignità. La promessa di democrazia, giustizia e di diritti per tutti che è stata utilizzata come principio guida americano è venuta meno. La situazione attuale è letteralmente insostenibile. Come scrive Naomi Klein, la «tripla crisi del nostro tempo: l’imminente crollo ecologico, un’enorme disuguaglianza economica (inclusa la distribuzione razziale e di genere della ricchezza) e la crescente supremazia bianca» sono «inestricabilmente legate – e possono essere superate solo con una visione olistica della trasformazione sociale ed economica».

Non possiamo rimediare ai tanti danni già fatti dal sistema globale di sfruttamento e oppressione alimentato a combustibili fossili; ma attraverso il Green New Deal possiamo sostituirlo velocemente, se solo la nostra ambizione è abbastanza alta. Come attesta la storia della nostra nazione, il potenziale prezzo per investire nella nostra sopravvivenza futura non è un fattore limitante.

*Brad Johnson è autore di un libro di prossima pubblicazione sul movimento per la giustizia climatica.

Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com.